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La "Visione della croce", situato nella Sala di Costantino, una delle Stanze Vaticane

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Sono le parole che hanno fatto la Storia. Possono essere frasi ma anche semplici punti di domanda. Possono essere certi sì, oppure certi no: quel che li accomuna è il rumore fatto. Simile a un colpo di cannone. Dal momento in cui quelle parole sono state dette inizia qualcosa di altro, di nuovo, di diverso. Allora, vien da pensare che a volte le nuove epoche iniziano non solo con le guerre, ma anche con una frase – magari estrapolata da un discorso più ampio – in grado di cambiare il corso degli eventi, orientandolo verso una direzione piuttosto che un’altra.

Diversi gli ambiti, tante le storie, i fatti, i luoghi e le date che raccontano come il mondo sia cambiato (anche) in virtù delle parole finite sui libri di Storia o di quelle chiuse nei cassetti delle cronache pronte a venir fuori quando meno te lo aspetti. Amarcord lessicali. Frasi riconoscibili e riconducibili immediatamente alle persone che le hanno pronunciate, alle circostanze in cui sono state dette e alle conseguenze prodotte nel breve, lungo o medio termine. Sui sentieri tortuosi degli uomini è accaduto ed è stato come voltare pagina.

È accaduto, ad esempio, nel tempo presente con l’arrivo del presidente del Consiglio, Mario Draghi. Il suo “Whatever it takes” ovvero “costi quel che costi” o “tutto ciò che è necessario” è rimbalzato dai media alla case degli italiani in questo tempo fragile di giorni sghembi. Eppure, sono trascorsi alcuni anni da quando quelle parole sono state pronunciate. Stesso rombo di tuono, però. Del resto, il Whatever it takes “apre nella politica europea un altro orizzonte che non aveva precedenti – ricostruisce Treccani – È il 26 luglio del 2012. L’Europa dell’euro è in grande difficoltà. […] Draghi, da meno di un anno Presidente della Banca centrale europea, sale sul palco della conferenza di Londra e, senza troppi preamboli, dopo una manciata di minuti di introduzione, pronuncia la frase che cambia la storia della crisi: «Entro il suo mandato la Bce preserverà l’euro, costi quel che costi(whatever it takes, ndr). E, credetemi, sarà abbastanza»”.  Oggi come ieri, la Storia ci offre un alfabeto di storie variegato. Non teme l’usura, ad esempio, il celeberrimo “Il dado è tratto” di Giulio Cesare. Traduzione dal latino “Alea iacta est” – “il dado è tratto” o “il dado è stato gettato” – è l’espressione attribuita a Cesare da Svetonio. L’imperatore romano l’avrebbe detta nella notte del  10 gennaio del 49 a.C. dopo aver varcato il  Rubicone.

Ed è forse solo un po’ meno conosciuta l’espressione “In hoc signo vinces” – “in (sotto) questo segno vincerai”. La comparsa in cielo della scritta in greco accanto a una croce sarebbe uno dei segni prodigiosi apparsi in sogno a Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio. Un sogno, un presagio e una scritta per entrare nella Storia e anche nella leggenda. Zigzagando nel tempo, ecco Giuseppe Garibaldi e la sua “Qui si fa l’Italia o si muore”. Secondo  Giuseppe Cesare Abba, l’eroe dei due mondi avrebbe pronunciato queste parole il 15 maggio del 1860 durante la battaglia di Calatafimi. Qualche anno prima – il 10 gennaio 1859 – Vittorio Emanuele II, re di Sardegna di fronte al parlamento di Torino, dice: “Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi!” . È questa, forse, la frase più celebre di quel discorso redatto dal conte Camillo Benso Conte di Cavour. Un discorso considerato (insieme all’arruolamento dei soldati) dall’Austria provocatorio che dette inizio alla  Seconda guerra d’indipendenza italiana. Ancora avanti.

Resta negli annali quel “Sangue, sudore e lacrime” con cui sir Winston Churchill  si rivolse alla  Camera dei Comuni  del  Parlamento del Regno Unito il 13 maggio  del 1940. Era il suo  primo discorso come primo ministro nell’ora più buia. Un invito vibrante a difendere l’Inghilterra e a non arrendersi mai. Ancora storia e politica. A Gorbaciov è legata una delle parole russe entrate nel lessico di tutti: “perestrojka” ad indicare un insieme di riforme politiche, sociali ma anche economiche. Tra il 15 e il 17 maggio 1985 Michail Gorbaciov – nella veste di nuovo segretario generale del Partito Comunista – va Leningrado e incontra il comitato cittadino di partito. In quell’occasione afferma: «È evidente, compagni, che tutti noi dobbiamo ricostruirci. Tutti». Sceglie il verbo “perestrajvat’sja” che in russo significa ricostruirsi. Da quel momento il termine “perestrojka” diventa lo slogan riconoscibile di una nuova fase storica dell’Unione Sovietica.

Ancora espressioni che fanno rumore come quel “compromesso storico” , entrato di diritto nell’alfabeto della politica italiana che ci riporta immediatamente nell’Italia degli anni Settanta da Enrico Berlinguer. In un articolo su Repubblica – dal titolo “Le paure di Berlinguer e il compromesso storico” – Miriam Maffai ne ricorda la genesi temporale: “Lui sta seduto in pizzo in pizzo alla poltroncina, dinanzi al tavolo tondo del soggiorno, in canottiera, pianelle di cuoio ai piedi, sigaretta accesa tra le labbra, occhio sinistro semichiuso per evitare il fumo, davanti a sé parecchi fogli […] Enrico Berlinguer, in quel caldo pomeriggio di ottobre del 1973, sta scrivendo – è la testimonianza di Antonio Tatò, suo segretario, amico e collaboratore – l’ ultimo dei tre articoli dedicati ad una analisi della situazione italiana dopo i fatti del Cile…”. Ed è proprio nel terzo scritto che Berlinguer pubblica su Rinascita (come i primi due che lo precedettero) che troviamo la chiave di volta. Scrive Berlinguer: “… La gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande «compromesso storico» tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano”. Era il 12 ottobre 1973. Due parole per sintetizzare una strategia politica. Il resto, è nella cronaca politica del Bel Paese.

A volte, però, per fare la Storia basta una domanda fatta al momento giusto, nel posto giusto, all’interlocutore giusto. L’effetto a sorpresa spariglia le carte. È accaduto con colui che viene indicato come l’italiano che fece “cadere” il muro di Berlino. Fatale fu una conferenza stampa datata  9 novembre 1989, a cui Riccardo Ehrman giornalista corrispondente dell’Ansa a Berlino arrivò persino in ritardo. Riportano le cronache che a Ehrman bastò una domanda: “Ab wann?” (“Da quando?”). Per capire come andò, val la pena ricordare come l’ex corrispondente – che a 13 anni fu rinchiuso nel campo di internamento di Ferramonti di Tarsia – ricostruì quei momenti in un servizio fatto dall’Ansa in occasione dei suoi novant’anni.

“Era una noiosa conferenza stampa, come tutte quelle del regime comunista della Germania orientale – ricordò , Ehrman – Durò quasi due ore. Il portavoce, Schabowski, aveva parlato di cose fatte e da fare e aveva anche accennato, nello stesso tono monocorde di sempre, al fatto che era possibile che il regime avesse commesso qualche errore”. “Prendendo spunto da quella affermazione – riportò ancora all’Ansa il giornalista – la mia domanda, quando finalmente mi fu concessa la parola, fu: ‘Non crede che avete commesso degli errori nel promulgare una nuova legge sui viaggi che non è tale, ma solo una conferma di tutto quello che succedeva prima?’ Più tardi Schabowski mi disse che quella domanda lo avevo fatto irritare molto. Alla conferenza stampa rispose: ‘Noi non facciamo errori’. E tirò fuori dalla tasca un foglietto, con cui annunciava appunto che tutti i cittadini tedeschi orientali potevano varcare tutte le frontiere, senza passaporto”.  “E fu a questo punto che io aggiunsi altre due domande: Vale anche per Berlino ovest? Sì – fu la risposta – per tutte le frontiere. Quindi l’ultima: E da quando?. Schabowski rimase un momento interdetto: ‘Su questo foglio non c’è scritto, però sicuramente da questo momento’. Commise un errore, perché io ho la copia del foglio, che mi regalò lui stesso nel 2002, e lì c’è scritto ‘ab sofort’, che in italiano significa ‘da subito’ ”.

A proposito di annunci a sorpresa, rientra a giusto titolo quello con cui Papa Ratzinger rinunciò al Soglio Pontificio. Era l’11 febbraio 2013 e una giornalista firma il primo scoop in latino del mondo. Si chiama Giovanna Chirri. Quel giorno la vaticanista dell’Ansa, dalla Sala Stampa vaticana ascolta le parole di Josef Ratzinger in occasione del Concistoro dedicato ai martiri di Otranto.  Ma Benedetto XVI spiazza tutti, però. Incomincia a leggere in latino e dice: “Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. In quell’atto di “rinuncia” di Papa Benedetto anche due parole chiave: “ingravescente aetate” (per l’età avanzata). «La “Ingravescentem aetatem” è il documento con cui Paolo VI tolse ai cardinali ultraottantenni il diritto di eleggere i papi, sono le parole per il pensionamento” spiegherà la Chirri, commentando le emozioni febbrili di quel momento storico per la Chiesa.

Il dopo Ratzinger sarà nelle mani di Papa Francesco, l’argentino; il prima in quelle del polacco Giovanni Paolo II. Di lui risuona ancora quel “Non abbiate paura” che Wojtyla pronunciò domenica, 22 ottobre 1978 all’inizio del suo Pontificato. Sul fronte dei diritti civili c’è un “no” a fare più rumore di un intero discorso ed è quello di Rosa Parks il primo dicembre del 1955 quando rifiutò di cedere il posto su un autobus a un bianco. Il no di Rosa come la goccia d’acqua che scava la roccia. E per finire una frase che ancora a distanza di tempo ci parla di futuro, sfide e possibilità. Era il 21 luglio 1969. A dirla fu Neil Armstrong – il comandante della missione spaziale Apollo 11 – e fa così: “Questo è un piccolo passo per (un) uomo, un gigantesco balzo per l’umanità”. Poco importano le dispute che di tanto in tanto spuntano sulla presenza o meno dell’articolo indeterminativo inglese “a” (un). Armstrong e il mondo erano sulla luna!


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