Illustrazione di Antonio Romano
3 minuti per la letturaQuando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.
Haruki Murakami
Le mascherine sono un obbligo, al chiuso e all’aperto. Ed è giusto. Ma sono anche un sipario calato sulle nostre facce, una cancellazione della riconoscibilità che va progressivamente a sfociare nella caduta del riconoscimento. Identità e riconoscimento sono valori sinonimi e l’insistenza del Covid sta logorando certezze che non pensavamo di dover mettere in discussione.
L’uomo animale sociale vede negate le prerogative della relazione con gli altri, quelle che storicamente hanno definito il proprio portato identitario all’interno del contesto in cui vive.
Abbiamo cancellato i tradizionali saluti (che, in particolare per noi italiani, sono tattili), sostituiti da succedanee toccate di gomito o sfioramento di pugni o altre analoghe forme di negazione dell’empatia.
Molti hanno potuto continuare a lavorare grazie allo smart working e alle videocall, modalità che difficilmente usciranno di scena anche a pandemia finita. Ma l’altra faccia della medaglia è una moltitudine di solitudini connesse, dove l’altrove ha sempre la meglio sull’hic et nunc.
Ed è proprio la mascherina, in ogni caso, il sintomo più visibile della relazione negata: volti noti, dai colleghi agli amici fino agli stessi familiari, perdono espressione e anche le loro parole – menomate dal filtro acustico – hanno un suono e un senso diversi. Si scorge solo il ritmo del respiro, disegnato dal contrarsi ed estendersi della mascherina: una percezione che rimanda ad associazioni di idee non piacevoli, più che il soffio vitale, si avverte lo sforzo di esistere.
Grava sull’intera umanità, in definitiva, un’estesa privazione e la risalita quotidiana dei numeri ci fa capire che dovremo resistere a lungo alla tempesta.
Ogni rinuncia, tuttavia, dà valore a ciò che manca e il tempo della privazione ridisegna il nostro stesso modo d’essere. Non a caso, la progettualità degli esseri umani si manifesta dando forma a qualcosa che è in grado di soddisfare un bisogno o un desiderio. E il design con cui tutto questo si manifesta altro non è che la nostra rappresentazione identitaria nella relazione con gli altri. Dai vestiti che indossiamo alla casa che abitiamo, dall’auto che guidiamo al cibo con cui ci nutriamo, dal libro che leggiamo alla serie TV che guardiamo … tutto concorre a definire un “nostro” disegno identitario che, a fronte del soddisfacimento di un prerequisito funzionale, si traduce comunque in disegno delle relazioni.
Siamo ora davanti a uno shock collettivo che investe ogni angolo abitato del pianeta e la durata di questo shock è tale da modificare in modo irreversibile molte delle nostre abitudini. Usciremo comunque cambiati dalla tempesta Covid 19.
Ma è proprio in questo tempo che maturano le nuove consapevolezze, le idee che spesso affondano nel passato remoto, diventano poi sorprendentemente nuove.
I grandi cambiamenti hanno tratto origine, spesso per non dire sempre, in situazioni molto critiche, come guerre, terremoti, crisi economiche … la mascherina simbolicamente intesa ci sta facendo capire l’importanza dell’empatia e del contatto nel rapporto con gli altri.
Questo vuoto ci renderà più consapevoli e perciò capaci di nuova progettualità: senza accorgercene, nel desiderio di espiare l’incubo, stiamo già disegnando una nuova idea di relazione.
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