L’immagine scelta per il manifesto della XXI edizione di “Primavera dei teatri”
6 minuti per la letturaSotto il nome del demone che tentò Faust, “Mephistopheles”, Anagoor – collettivo fondato da Simone Derai e Paola Dallan a Castelfranco Veneto nel 2000, Leone d’Argento-Biennale Teatro 2018 – mette insieme il materiale video raccolto tra il 2012 e il 2020 in un unico viaggio per immagini “attraverso le lacrime del mondo”. Musicato in un live set elettronico da Mauro Martinuz, “Mephistopheles” è un “Grand tour nelle zone buie del cosmo”. Lo spettacolo è una delle proposte della XXI edizione di “Primavera dei teatri”: festival ormai consolidato nato in seno alla compagnia Scena Verticale e ideato da Dario De Luca, Saverio La Ruina e Settimio Pisano.
L’edizione 2020 del festival – storicamente previsto in primavera – a causa della pandemia quest’anno si svolgerà dall’8 al 14 ottobre. Per sette giorni il festival sulla nuova drammaturgia porterà ancora una volta la Calabria e Castrovillari in particolare, al centro del dibattito teatrale contemporaneo puntando su sette prime nazionali, un’anteprima, ma anche performance, “mise en éspace” e progetti internazionali all’interno di più spazi e luoghi all’aperto e al chiuso. Venti sono le compagnie ospitate. Accostarsi al nuovo cartellone è come aprire una porta sul presente e intercettarne i fantasmi che lo abitano.
A cominciare dall’ombra lunga della pandemia che ne ha ha fatto slittare la programmazione abituale e non solo. Tra i temi che sembrano unire idealmente le proposte, infatti, c’è l’esperienza del lockdown insieme alla crisi ambientale e alle differenze culturali. La conferma nel commento di Dario De Luca a qualche giorno dall’inizio della rassegna: «Credo che il tratto più caratteristico del cartellone, rivedendo a mente fredda il programma che io e Saverio (La Ruina, ndr) abbiamo scelto, è quello che vede emergere l’esigenza di ogni artista di raccontare il presente partendo spesso dal proprio vissuto personale È come se ognuno partendo da una cosa esperita in prima persona trova una modalità per raccontare l’oggi. Sembra davvero che il vecchio refrain delle nostre mamme femministe anni ’70 sia stato ripescato dagli artisti degli anni 2000, cioè il personale diventa politico e lo vediamo in tantissime produzioni presenti in questa edizione 2020. Sono diversi i lavori che sembrano guardarsi, parlarsi. Un fil rouge comune tra i 20 spettacoli ospiti è sicuramente quello delle relazioni in senso ampio, ma si parla anche di Covid e di crisi post lockdown, di crisi ambientale e di differenze e agnizioni tra culture diverse». Come dire: con le lettere dell’alfabeto della nuova drammaturgia si prova a mettere in scena quello che siamo – ma, in fondo, anche quello che siamo stati e quel che potremmo diventare – mentre la vita si prende il ruolo da protagonista sulle tavole del palcoscenico di un teatro.
Sulle conseguenze generate dal singolare momento storico che stiamo vivendo, ad esempio, Babilonia Teatri porta in scena “Natura Morta” di Valeria Raimondi e Enrico Castellani. Così, dopo mesi di didattica a distanza, lavoro a distanza e relazioni filtrate da un computer o da un telefono viene proposto uno spettacolo da fruire in presenza sul proprio smartphone. Dal lockdown sembra nascere anche “Into Latino Roberti”, un ensemble teatrale inedito che vede insieme I Sacchi di Sabbia e Roberto Latini in una produzione della Compagnia Lombardi-Tiezzi realizzata con il sostegno di Primavera dei Teatri. Una miniserie web liberamente ispirata a “Fantastic voyage”, il film di fantascienza del 1966, da cui Isaac Asimov trasse l’omonimo romanzo. La Compagnia Oyes propone, invece, “Vivere è un’altra cosa”, drammaturgia collettiva liberamente ispirata a “Oblomov” di Ivan Goncarov, con l’ideazione e la regia di Stefano Cordella. Un racconto a cinque voci sul tempo sospeso vissuto durante l’emergenza sanitaria in corso. In questo magma di pensieri recitati e messi in scena emerge prepotente anche il tema dell’ambiente e dei suoi mutamenti. Un esempio viene da “La fine del mondo” il nuovo lavoro di Fabrizio Sinisi, diretto da Claudio Autelli. Un’opera inedita ambientata in una Venezia contemporanea e avveniristica in cui la catastrofe climatica si intreccia a quella della vita privata dei protagonisti. Il tema ambientalista ritorna in “Madre” lavoro del Teatro delle Albe, un poemetto scenico scritto da Marco Martinelli , nato dall’incontro di Ermanna Montanari, Stefano Ricci, Daniele Roccato (tutti e tre in scena) tra testo e illustrazioni live a cura di Stefano Ricci e la musica dal vivo del contrabbasso di Daniele Roccato. “Madre” è un dittico, composto da due monologhi e racconta di un figlio e una mamma contadina: lei è caduta dentro un pozzo. In un paesaggio desolato si staglia l’allegoria di una Madre Terra sempre più avvelenata e nell’intarsio del testo, tra italiano e dialetto romagnolo, emergono due figure in bilico tra la realtà cruda dei nostri giorni e i simboli di un futuro indecifrabile.
Si parla, invece, di differenze culturali in “Mario e Saleh” l’ultima creazione di Saverio La Ruina, tra l’altro vincitore nel 2007 di due Premi UBU come Migliore attore italiano e per il Migliore testo italiano con “Dissonorata. Un delitto d’onore in Calabria”.
“Mario e Saleh” è la storia di un occidentale cristiano e un musulmano che si ritrovano a convivere tra differenze e agnizioni, opposizioni e conciliazioni all’indomani di un terremoto, in una delle tende allestite nei luoghi del sisma. Lungo la dorsale delle differenze culturali si muove anche “Stay Hungry. Indagine di un affamato” di e con Angelo Campolo. Lo spettacolo – premiato a In-Box 2020 – è nato dai laboratori in riva allo Stretto condotti dall’autore messinese, impegnato da anni in un percorso di ricerca teatrale nei centri di accoglienza. Spulciando ancora il cartellone troviamo il Teatro delle Ariette con “Trent’anni di grano. Autobiografia di un campo”. Un lavoro di Paola Berselli e Stefano Pasquini, in scena con Maurizio Ferraresi, nato per Matera 2019 e ispirato ai pani del Mediterraneo. Il racconto della loro esperienza di vita tra i campi e il teatro da attori-contadini diventa indagine sul rapporto con la società nella quale tutti noi viviamo.
E ancora, l’ultimo giorno di festival vedrà anche la presenza del gruppo catalano Agrupación Senõr Serrano, Leone d’Argento per l’innovazione dei linguaggi alla Biennale Teatro 2015, con il loro ultimo “The Mountain”. L’originale creazione di Àlex Serrano, Pau Palacios e Ferran Dordal parte dalla montagna come metafora per interrogarsi sul mondo e sul concetto di verità.
Chiudiamo con le parole dei direttori del festival: “Negli anni abbiamo tentato di tessere un filo che lega la programmazione artistica alla politica culturale in senso largo. Nel 2019 ci sentivamo equilibristi, ora che la pandemia ha segnato un “mai prima d’ora” e ha aperto nuovi significati alla condizione di isolamento e ci ha resi probabilmente più fragili quel filo va intercettato nell’interesse di tutti. Ora più che mai. Qui e ora, è necessario tenersi per mano e attraversarla insieme la porta del futuro”.
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