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Il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano

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Il primo che viene in mente è Cristoforo Colombo: grande navigatore, con una fortuna oceanica, perché a pochi è capitato di prendere un abbaglio e di passare alla Storia, avere piazze, strade, viali con tanto di nome. Gli errori di geografia sono i peggiori. Uno può essere mandato al rogo e poi recuperato, celebrato, osannato.

La Storia toglie e la Storia dà. Ma la geografia? Una materia crudele. Ci deve essere stato un buco clamoroso nella formazione di molti esponenti dell’ultima generazione di politici. Ogni giorno una topica: Matera che diventa Puglia, la Libia il Libano, la Cina il Giappone, Dublino in Scozia, Pinochet in Venezuela. Soprattutto alla Farnesina, dove il mappamondo dovrebbe essere assimilato come le tabelline, gli strafalcioni non mancano. Una volta si dava la colpa allo stress, alla vita intensa, agli spostamenti snervanti e faticosi per i comizi, ma oggi? Le scuse sono senza un minimo di credibilità.

Il sottosegretario agli Esteri che solidarizza con i libici dopo l’ecatombe di Beirut non ha attenuanti. Ma non per cattiveria, giustizialismo da display. No, il problema è un altro, non è la lezione saltata a scuola o la memoria che inganna. Ciascuno di noi ha a portata di clic la risposta a dubbi e amnesie. Perché non approfittare di questa grande comodità del Ventunesimo secolo? Per presunzione, per un malcelato concetto del potere. Come se uno avesse insieme alla poltroncina di ministro, sottosegretario, onorevole acquisito una sorta di immunità, uno scudo fatato, al punto da sentirsi immortale senza neanche un tallone debole. Uno spirito di onnipotenza che spinge a comportamenti assurdi, pericolosi per se stessi e per gli altri. Lo stesso meccanismo che alimenta le vicende della corruzione: dagli Anni Novanta a oggi non è passato un mese senza uno scandalo, una bustarella, una tangente, un favore illegale o inopportuno a un parente, un amico, un cognato. La magistratura arresta e loro continuano. Parlano, trattano al telefono, lasciano indizi, tracce, prove come se nessuno mai si potesse occupare di loro. Come se non esistessero le intercettazioni, i video, i pedinamenti. Ogni inchiesta su vicende di corruzione ha un copione immutabile, al punto che uno si chiede: ma ci fanno o ci sono?

Non li scalfisce nulla. Una faccia tosta incredibile. E se per qualche euro in più sono pronti a rischiare la reputazione, figuriamoci se stanno a guardare la geografia, anche perché con questa ignoranza sono già nella storia.


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