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Cari bambini, quest’anno sono io che vi scrivo.
Pensavate fossi un vecchio semianalfabeta, capace di leggere e basta? Agli uomini fa comodo l’idea che esistano destinatari muti, adibiti soltanto a ricevere messaggi: si immagina così di me, dei santi, di Dio. Mai nessuno che chieda a Dio “Come stai?”.

Voi spedite le vostre preghiere, le vostre letterine, mettendo il vostro piccolo o grande sogno in cima ai bisogni del mondo, come se non ci fosse da mettersi in coda.

“Caro Babbo Natale, quest’anno vorrei…” E di quello che vorrei io, chi si preoccupa?

Una cosa sola avevo chiesto: andare in pensione. Invece dall’INPS (Istituto Natalizio della Previdenza Sociale) mi comunicano che non è possibile: “Lei avrebbe dovuto aprire prima la Sua posizione contributiva…. Nonostante tutto il lavoro preparatorio, la Sua attività effettiva si svolge un giorno l’anno… ‘Distribuire la felicità’ non rientra nell’elenco dei lavori usuranti…”.

E, poiché voi bambini di oggi siete nativi digitali, si pretende che io segua pure un corso d’informatica e che apra persino un profilo social.

“Imparerà a usarlo in un attimo” mi sono sentito dire alla mia età, ricevendo in consegna uno smartphone di servizio, che scambio spesso con il telecomando: pigio per cambiare canale e mi partono le chiamate.

Vorrei vedere viaggiare in slitta i politici che girano in auto blu con l’autista! A tutti piace il romanticismo astratto, ma lì sopra c’è il mio culo. La slitta è il mezzo di trasporto che riunisce in sé gli svantaggi della moto e dell’auto: sto scomodo, prendo freddo e non trovo parcheggio. I vostri motori hanno centinaia di cavalli metallici scalpitanti; le mie nove renne si lamentano dei reumatismi e non ho la forza né l’animo di frustarle. Non a caso quello che da voi si chiama “mal di reni”, qui da noi si chiama “mal di renne”.

Calarsi nei camini poi è un’impresa sempre più ardua, e non solo per la fatica di rialzarsi. Nei condomini ormai si costruiscono canne fumarie strettissime, alcune sono state addirittura interrotte abusivamente, e rischio di restare incastrato tra un piano e l’altro. Oltretutto, nei negozi non si trovano più tute rosse di cotone 100% e, nel calarmi con indosso tessuti acrilici made in China, altamente infiammabili, ho sempre una paura fottuta di incontrare tra le braci qualche scintilla sopita.

Come ricompensa trovo apparecchiati per me sulla tavola biscotti secchi. Vi siete mai chiesti se sono celiaco? Pur di non dispiacervi, li assaggio e le briciole mi s’infilano sotto la dentiera. Dovrei fare l’implantologia, lo so, ma la mutua non la passa.

Nel tentativo di sminuire il mio operato, è stata mossa contro di me anche la macchina del fango: da anni circola la voce che “Babbo Natale non esiste”. È proprio vero quando si dice “Non fare del bene se non hai la forza di sopportare l’ingratitudine”!

Sarà l’età, sarà che non mi ritrovo in questa società moderna… io questa forza da qualche tempo comincio a non averla. Ai limiti dell’esaurimento, faccio cilecca anche con le consegne: porto doni a chi non merita, lasciando a mani vuote chi merita.

Se dovessi scrivermi una letterina da solo, più o meno suonerebbe così: “Caro Babbo Natale, anche quest’anno sono stato buono. Per premio fammi diventare cattivo”. Ma so che non si avvererà: l’indole è più forte di qualunque cosa, più forte persino delle tradizioni.

Questo Natale anche io vorrei accendere la stufa, succhiare rumorosamente il brodo dal cucchiaio, immergere nel latte caldo il pandoro finché diventa una spugna, essere libero di sentirmi stanco, perdere tempo, stare un po’ con mia moglie che non sarà una bellezza, ma che riconoscerei tra milioni di donne, tutte uguali.

Cari bambini, sono certo che comprenderete: questo Natale sciopero; tanto, al solito, vi diranno che non esisto.
Babbo Natale

P. S. Se dalla Lapponia vi arriva qualche telefonata, non vi sto chiamando; sto solo cercando di cambiare canale.


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Francesco Ridolfi

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