Paolo Crepet
4 minuti per la letturaDi solito gli psichiatri sono quelli che non si espongono: lasciano che siano i pazienti a farlo.
Ma Paolo Crepet non ha ritrosia nel manifestare chiaramente il proprio pensiero né nel difenderlo. Da sempre si è schierato contro l’omologazione a difesa della diversità come valore aggiunto.
“La paura per il diverso ce l’ha chi non è mai riuscito ad esserlo” è la frase con cui si apre il suo sito internet.
Quando lo contatto per chiedergli un’intervista personale, ho la conferma di un uomo che non si sottrae. Il suo modo affabile, intriso di grande serietà, immediatamente mi trasporta in un clima nel quale mi sento a mio agio. Pur essendo al telefono, è quasi come fossi nel suo studio per una seduta di psicanalisi. Eppure sono io che devo fare domande e ascoltare.
Quali sono le parole che La fanno sentire a casa?
«Creatività. Sono nato e cresciuto in luoghi creativi, è fondamentale avere quest’attitudine».
Creatività che per lui era di casa. Il nonno, Angelo Maria Crepet, era un grande artista, noto in Italia e all’estero, amico di Amedeo Modigliani. Con quella stessa attitudine creativa, Paolo Crepet considera la sua professione una forma d’arte: “l’arte di rimuovere gli ostacoli alla felicità”. «Un’altra parola che mi è tanto cara è silenzio».
Intuisco il perché. Il silenzio è necessario. È solo attraverso il silenzio che l’uomo ha la possibilità di ascoltarsi e di ascoltare gli altri.
C’è un’espressione, un proverbio, un modo di dire che ha ascoltato ripetutamente in casa e che lei stesso usa più volte?
«Non ho particolari ricordi di espressioni o modi di dire nel lessico della mia famiglia mentre, per quello che mi riguarda, sono legato ad alcune frasi che mi inseguono da tempo. Una, in particolare, recita: “Tutto quello che è comodo è stupido”. È un qualcosa in cui credo molto, ho anche basato i miei scritti su questo concetto e anche molte cose che dico si rifanno a questa frase».
La parola che secondo Lei è più abusata?
«Amore». Ripete più volte «Amore» fino a farmi percepire quel termine svuotato di senso pieno, aggiungendo che «è diventato come la Nutella, si spalma ovunque».
Una parola dimenticata?
«Libertà perché l’abbiamo data per scontata.»
Qual è la sua personale idea di libertà?
«La libertà per me è un anelito. È dentro ciascun uomo. Non tutti si accorgono di averlo, qualcuno sa di averlo e non lo usa, qualcun altro se ne rende conto e sa usarlo nel miglior modo possibile per realizzare i propri sogni. La libertà, ad esempio, è quell’impulso che ha permesso a Cristoforo Colombo di mettersi in viaggio per cercare le Indie. Come lui, a Genova, c’erano tantissimi marinai che invece non hanno cercato neanche di andare a Imperia».
A ogni sua risposta segue un tempo dove non ci sono parole, una pausa destinata alla riflessione sul detto e ascoltato.
Ho ancora vivo in mente un suo recente intervento in una trasmissione televisiva nella quale era ospite. Con preponderante schiettezza aveva definito la classe politica che rappresenta il nostro Paese “vecchie cariatidi”. Mi interessa quindi approfondire con lui l’argomento.
Come considera il linguaggio dei nostri politici?
«Molto social e poco profondo. La politica di oggi manca di figure che possano esercitare autorevolezza e fascinazione e manca di senso di rinnovamento».
In politica sentiamo spesso usare l’espressione ‘per i nostri figli’. Di cosa hanno più bisogno i nostri figli oggi?
«Forse di serietà»
E gli anziani?
«Gli anziani hanno bisogno di sentirsi utili, di non essere considerati dei vuoti a perdere e quindi emarginati.»
Cosa ne pensa di concedere il diritto di voto ai ragazzi di sedici anni?
«Sono favorevole»
A quell’età si può avere un pensiero critico rispetto alla politica?
«Il pensiero critico si può costruire: quando qualcosa non ce l’hai te la costruisci. Anche perché a diciotto anni non è che sono tutti maturi…».
Spostando il focus sulla condizione femminile oggi, secondo lei si è raggiunta la parità di genere?
«Molto di più di quello che poteva sperare mia madre»
Quali dovrebbero essere le parole da utilizzare per accogliere?
«Accogliere vuol dire umiltà: sapere che abbiamo bisogno di tutti e non soltanto di qualcuno».
Crede nell’amicizia?
«Definirei l’amicizia come un sentimento onesto, non fa sconti, tende a restituire quello che semina».
Se dovesse salvare una parola, Professore, quale salverebbe?
«Dignità. La dignità è un paracadute, quando c’è fa sì che la persona eviti di farsi del male. La mette nelle condizioni di non accettare compromessi che inevitabilmente tolgono qualità alla vita».
Se potesse salvarne un’altra?
«Coraggio. Il coraggio è non avere paura di vivere, pensare, amare.
Il coraggio è non essere spettatori della propria vita».
Qual è la sua favola preferita?
«Pierino e il lupo. La conosce? Si ricorda? L’ha interpretata anche Roberto Benigni».
Accenna una risata che ha il sapore di un piacevole ricordo, come se la sua mente avesse aperto un cassetto dove è conservata con cura la tenerezza di quando era bambino.
Certo che la ricordo. Mi può dire perché le è cara?
«Guardi, ricordo la musica, c’erano le parole, questo binomio che creava magia tra le note suonate e il racconto me la faceva riascoltare più volte».
Una favola che insegna a non avere paura del lupo e ad affrontarlo, da soli e anche con l’aiuto di altri.
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