Giovanni Brusca il giorno del suo arresto
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Giovanni Brusca torna libero dopo 25 anni per fine pena. Si tratta del boss mafioso fedelissimo di Totò Riina, poi diventato un collaboratore di giustizia. Lui stesso ha ammesso il suo ruolo nella strage di Capaci e nell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Come scrive L’Espresso, Brusca ha lasciato oggi il penitenziario di Rebibbia, con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna. Adesso è un uomo libero, sottoposto a controlli e protezione.
Tecnicamente resta però sottoposto a quattro anni di libertà vigilata. Così ha deciso la corte d’Appello di Milano, l’ultima a pronunziarsi sul conto del condannato in relazione al processo più recente.
Brusca venne arrestato il 20 maggio del 1996 in una villetta vicino Agrigento dove si era rifugiato con il fratello dopo anni di latitanza. Figlio di Bernardo Brusca, capo del mandamento di San Giuseppe Jato, dopo la sua morte ne ereditò il comando e il prestigio mafioso.
Il terribile delitto del piccolo Di Matteo
Per la fredda ferocia il suo delitto più terribile rimane quello del piccolo Di Matteo. “Allibertativi du cagnuleddu” (liberatevi del cagnolino), ordinò Brusca. Suo fratello Enzo Salvatore lo teneva per le braccia, Giuseppe Monticciolo per le gambe, Vincenzo Chiodo lo strangolò. Poi venne sciolto nell’acido.
Fu uno dei tanti omicidi commessi e ordinati dal boss di San Giuseppe Jato che grazie al suo pentimento ha evitato l’ergastolo e ha scontato una condanna a trent’anni. Tale era il distacco nel commettere i più feroci delitti che quando gli chiesero quante persone avesse ammazzato, rispose: «Meno di duecento, il numero preciso non lo ricordo».
I dubbi sul pentimento
Anche sul suo pentimento molti dubbi furono sollevati, sia per le molte mancanze, sia per il trattamento considerato troppo magnanimo per l’uomo che fece saltare in aria Falcone e la sua scorta, sciolse nell’acido il piccolo Di Matteo e si accusò di centinaia di omicidi. Fu vago e contradditorio sul papello e la trattativa, fu silente per anni sulla figura di Vito Ciancimino e Marcello Dell’Utri.
L’amarezza della vedova Montinaro
Amaro il commento di Tina Montinaro, vedova di Antonio, il caposcorta di Giovanni Falcone: «Lo Stato oggi mi ha preso in giro, sono sconfortata e incazzata nera, a distanza di 29 anni non so ancora la verità su Capaci e chi ha schiacciato il bottone e distrutto la mia vita torna libero. Non è servito a nulla quanto è successo a Palermo. Ho bisogno di uno Stato che ci tuteli non che liberi i criminali».
«Sono amareggiata – ha aggiunto Montinaro – per tutte quelle persone che una settimana fa erano a Palermo a prenderci in giro, sapevano che Brusca sarebbe uscito e sono venuti lo Stesso. Spero che il prossimo abbiano la dignità di non presentarsi a Palermo per commemorare Capaci».
L’incredulità di Maria Falcone
Incredulità anche da parte di Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni: «La stessa magistratura in più occasioni ha espresso dubbi sulla completezza delle rivelazioni di Brusca, soprattutto quelle relative al patrimonio che, probabilmente, non è stato tutto confiscato: non è più il tempo di mezze verità e sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio e Rocco che un uomo che si è macchiato di crimini orribili possa tornare libero a godere di ricchezze sporche di sangue».
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