Un'operazione della Dia
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Galeotta fu l’intervista pubblicata sulle pagine interne di un quotidiano locale. Un senatore della Repubblica, Andrea Ferrazzi, 52 anni, veneziano doc, che senza giri di parole e a costo di farsi nemici i suoi elettori, dice pane al pane e vino al vino. Che «ora sono veneti gli imprenditori mafiosi». Cioè persone nate e cresciute in Veneto, «con un cognome veneto».
TERRA DI CONQUISTA
Apriti cielo. Nella regione che più di altre mostra il sudore sulla fronte quelle parole suonano come un affronto. E poco importa che siano dettate dalla conoscenza dei fatti. Da vice-presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie Ferrazzi ha infatti letto le carte. Sa di cosa parla. Cita le relazioni della Direzione distrettuale antimafia. Sgretola pregiudizi bilaterali radicati da sempre. E lancia un appello: «Difendiamo il mio Veneto dalle infiltrazioni mafiose e facciamolo ora, ora che le persone della nostra regione coinvolte nelle inchieste sono ancora una piccola minoranza».
Le parole del senatore, esponente del partito democratico, seguono a ruota quella del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. La descrizione del Veneto come «nuova frontiera di conquista della ‘ndrangheta», un’infiltrazione facilitata dal fatto «che non si incontra alcuna resistenza sul piano sociale».
Andrea Ferrazzi conosce le calli di Venezia e il suo territorio. È laureato in Economia aziendale all’Università Ca’ Foscari. La sua intervista al Mattino di Padova non è una voce dal sen fuggita, bensì un’analisi di cosa potrebbe accadere se nella sua regione non si sviluppassero gli anticorpi.
«Abbiamo una cultura e un sistema refrattario a questi fenomeni malavitosi, siamo cresciuti con il valore del lavoro e della laboriosità – dice – ma dobbiamo saper cogliere i cambiamenti. Le organizzazioni mafiose seguono i flussi, vanno dove la ricchezza si produce. E sebbene la stragrande maggioranza degli imprenditori veneti abbia interiorizzato quei valori, dobbiamo dire che ci sono altri imprenditori che fanno da intermediari e utilizzano metodi mafiosi. C’è un fenomeno di “colletti bianchi” che merita di essere approfondito».
IL CLAN VENETO DEI NUOVI CASALESI
Al Sud le mafie sono riuscite a ramificarsi diventando forti lì dove lo Stato è più assente, dove mancano i servizi e il lavoro. Il Veneto ha una qualità della vita e un reddito pro-capite imparagonabile se raffrontato ad alcune zone del Mezzogiorno dove le organizzazioni criminali prosperano. «Serve un nuovo sforzo investigativo che sappia cogliere le nuove tipologie della mafia. Che indaghi anche sui rapporti con la finanza e sui flussi. Gli ‘ndranghetisti seguono i soldi e dove ci sono i soldi cercano di infiltrarsi».
Ferrazzi ha il merito di non nascondersi dietro un dito. Crede in un federalismo in cui lo sviluppo del Nord e quello del Sud siano entrambi funzionali. «La crescita del Mezzogiorno è un vantaggio per la crescita del Nord». Non ha timore di sollevare la polvere nascosta sotto il tappeto.
Le prove si stanno accumulando da tempo. Le indagini sulla cosiddetta “Camorra eraclea” che portarono a 24 condanne, in totale 130 anni di carcere, svelarono un tessuto sociale permeabile alla malavita. Il clan dei casalesi perfettamente integrato e riproposto in salsa veneta. Il settore più a rischio rimane quello delle piccole e medie imprese, i “gioielli” veneti.
Il Covid ha aggravato la situazione. False fatturazioni, imprese fasulle create all’istante per ottenere i ristori dallo Stato. «Si sono insediate in materia stabile sul nostro territorio – dice Ferrazzi – sono presenze che mettono in difficoltà chi ha continuato a lavorare onestamente, chi con tutto questo non vuole avere niente a che vedere. C’è poi una grande disponibilità delle mafie ad investire i proventi illeciti cercando di acquistare imprese locali. Questo dobbiamo impedirlo».
Sotto accusa finiscono così anche quelle banche che non sostengono gli imprenditori. La soluzione? Creare un sistema che garantisca un forte sostegno finanziario a chi oggi patisce gli effetti della pandemia. E al tempo stesso rafforzare le inchieste della Guardia di finanza e delle forze dell’ordine. Il Tribunale di Venezia viaggia a rilento «perché non ha più personale», denuncia Ferrazzi. Gli appalti pubblici dati per chiamata diretta non garantiscono il massimo della trasparenza. E se pensiamo che stanno per essere messi a terra gli investimenti del Piano di ripresa e resilienza non c’è da stare troppo allegri.
IL RISCHIO DI “SEDERSI”
Che l’allarme sia venuto da un parlamentare veneto come Andrea Ferrazzi ha indubbiamente un significato particolare. Una sorta di auto-da-fe che costerà inimicizie e antipatie al senatore veneziano, spesso impegnato in missioni al Sud dove lo smaltimento dei rifiuti pericolosi e la gestione delle ecomafie fanno sempre gola. In Veneto questo problema riguarda solo alcune falde acquifere nella zona del Vicentino dove è scattata un’emergenza ambientale ma la gestione del ciclo dei rifiuti continua a solleticare l’interesse delle mafie.
Ferrazzi mette in guardia gli imprenditori locali dal rischio di sedersi sugli allori del passato. «Il modello Nordest si rivelerà vincente solo se sarà in grado di modernizzarsi e stare al passo con la concorrenza europea. La pubblica amministrazione è migliorabile».
Che sia urgente intervenire è fuori discussione. È di ieri un decreto restrittivo emesso nei confronti di un imprenditore edile. Operava in Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Liguria. Una vicenda simile, purtroppo, a tante altre. Un 48enne appartenente alla ‘ndrangheta del Nord, residente a Cremona, al servizio della consorteria locale, con ditte e società intestate a compiacenti prestanome. I primi accertamenti avrebbero appurato l’esecuzione di lavori edili «finalizzati all’infiltrazione nell’economia locale e nazionale con operazioni di false fatturazioni».
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