Arresti per un'operazione contro la 'ndrangheta
5 minuti per la letturaRispuntano i «riservati», quei soggetti che si muovono nell’ombra e che gestiscono il tesoro delle mafie. Dietro l’ultimo vorticoso giro di denaro, su cui indaga la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, c’è Roberto Recordare, un imprenditore calabrese che, da tempo, opera nel settore informatico, offrendo assistenza alle amministrazioni pubbliche, ottocento clienti tra comuni, province, regioni e aziende sanitari provinciali. È considerato la mente finanziaria di un cartello di clan calabresi, siciliani e campani, in grado di gestire fondi per 500 miliardi di euro, ovvero poco meno di un quarto del debito pubblico italiano. Cifre che vanno oltre ogni immaginazione, impensabili anche nel mondo dei giochi online, quello di Fortnite e della sua moneta virtuale, la V-bucks. Attraverso iban protetti da liquidare al portatore, come i vecchi libretti postali, l’imprenditore calabrese – secondo le ipotesi al vaglio della magistratura – era in grado di completare operazioni finanziarie complesse e delicate, grazie a contatti che spaziavano dalla Germania alla Turchia, dalla Malesia all’Afghanistan, dagli Emirati Arabi al Tagikistan da Malta a Palmi, in Calabria.
Il cartello a cui fanno riferimento gli investigatori comprendeva il clan Parrello-Gagliostro di Palmi, lo storico casato degli Alvaro di Sinopoli, il clan Iarunese di Casal di Principe e non meglio precisate famiglie di Cosa nostra. I soldi che giravano nelle mani di Recordare erano talmente tanti che poteva permettersi il lusso di «buttare nel cestino un bond di 100 miliardi».
Accade all’aeroporto di Fiumicino, mentre l’imprenditore informatico il 21 giugno 2017 si sta imbarcando alla volta di Dubai e Kabul. Temeva che quel bustone contenente bond e procure finisse nelle mani della Guardia di finanza. «Più o meno erano, che so, cento miliardi, qualcosa del genere», racconta. «Ho preso quella busta e l’ho buttata nella spazzatura». L’idea era quella di recuperare il materiale, subito dopo il controllo: «Se la prendevano diventava… perché avevo il bond da trentasei miliardi».
Ma non è tutto. In un’altra occasione, al telefono sottolinea l’importanza delle garanzie bancarie che oggi sono quelle che si spostano con la stessa velocità con cui prima si muovevano i soldi da riciclare. «Hai qualcuno che ti sconti una garanzia?», chiede al suo interlocutore, mentre cerca di spostare in paesi extraeuropei 136 miliardi di euro, poco meno dello scostamento di bilancio fatto in Italia dall’inizio della pandemia ad oggi, pari a poco meno del 10% del prodotto interno lordo.
Ovviamente sono circostanze ancora da accertare in fase processuale, ma che contribuiscono a dare il senso delle nuove dinamiche imprenditoriali e finanziarie di cui dispongono le mafie, grazie appunto alla capacità relazionale che da sempre le caratterizza, mettendole in contatto con imprenditori informatici, consulenti, avvocati, commercialisti, funzionari di banca, uomini politici e rappresentati delle istituzioni: tutta gente che ingrossa quella rete di «riservati», spesso in grado di muoversi sotto traccia. Recordare era convito di «sconquassare il mondo e l’equilibrio mondiale», proprio in virtù dei soldi di cui doveva far perdere la provenienza.
«È un gioco enorme», diceva, ignaro di essere intercettato. E si preoccupava di passaporti e di relazioni. Aveva tre passaporti falsi, ma si informava su quello della Repubblica Dominicana, un paese che non riconosce le rogatorie internazionali e non prevede scambi di informazioni, tenendo aperte le altre due opzioni, quella diplomatica e quella bancaria. Per la prima poteva contare sulla Costa d’Avorio, dove è possibile acquistare un passaporto per centomila euro e per la seconda, non c’erano limiti, dal momento che bastava depositare 250mila euro in un conto bancario. Sognava anche di sparire dalla circolazione, magari utilizzando uno dei tre passaporti fasi, di cui era in possesso, confidando alla sua segretaria «che tra tre anni sarebbe sparito dalla circolazione andando a vivere in Nicaragua. Nel Sud America o Centro America… America del Nord». E aggiungeva: «Posso fare un periodo con gli Inuti e un certo periodo in Costa Rica».
Sulle relazioni, aveva le idee un po’ più chiare. Si era messo in testa di riciclare i soldi delle mafie, giustificandoli come finanziamenti per opere umanitarie, che poi in realtà non sarebbero mai state finanziate. Nel 2018 aveva stretto rapporti con un catanese che apparteneva all’Ordine dei Cavalieri di Malta, dal quale aveva appreso il funzionamento di quello che veniva descritto come un vero e proprio sistema: «Noi siamo una piattaforma, una società che fa programmi umanitari: noi investiamo i vostri soldi in acquisito di titoli», diceva l’imprenditore catanese. Ma dallo imprenditore legato all’Ordine dei Cavalieri di Malta, Recordare aveva anche capito che quelle umanitarie erano solo coperture; anche per loro l’interesse principale era quello di fare business. Nelle conversazioni intercettate si fa più volte riferimento ad agenzie delle Nazioni Unite e a progetti nei quali sarebbe stato coinvolto anche lo Stato Vaticano.
Trame che ricordano spy-story d’altri tempi (la realtà spesso supera la fantasia) e che tracciano alchimie finanziarie che, fino a qualche decennio fa, sembravano inimmaginabili. Negli anni novanta fece notizia la storia di qualche miliardo di vecchie lire ammuffito nelle giare dell’olio, sotterrate dai clan locali nei pressi di Siderno. Era quello il metodo per nascondere i proventi dei tanti traffici illeciti. Oggi gli scenari – anche se ancora tutti da accertare – sono diversi e tengono conto di una ‘ndrangheta sempre più «connessa» con il mondo esterno, un universo bulimico che non riesce più a fare a meno dei sodi della droga, delle armi, delle estorsioni, dell’usura e di tante altre condotte delittuose. Una ‘ndrangheta che mentre ragiona su come riciclare denaro, teme i pubblici ministeri, come Giulia Pantano, «che non si spaventa di niente» e cerca di corrompere chi in Cassazione può aiutarli a evitare il carcere.
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