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Altro che Banca del Sud. Il piano industriale della nuova Banca Popolare di Bari, commissariata lo scorso dicembre per malagestione, il Mezzogiorno sembra volerlo cancellare dai suoi radar. Il progetto di “rilancio” dell’istituto di credito prevede tagli su tagli che travolgono non solo dipendenti e filiali della Bpb ma che finiscono per coinvolgere il tessuto economico e produttivo del Sud. Basta dare un’occhiata ai numeri: Pop Bari vanta 600mila clienti in tutta Italia, ma prevalentemente concentrati al Sud, 70mila soci e ben 100mila aziende, a queste ultime fa riferimento il 60% degli impieghi, circa 6 miliardi di euro.
La Banca commissariata possiede quote significative di mercato, sia nella raccolta che negli impieghi, in Puglia, Basilicata, Abruzzo e Calabria, oltre il 10% del totale. In Basilicata Bpb ha il 26% del mercato, in Puglia il 9,7%, in Calabria il 10%. I commissari hanno annunciato la volontà di chiudere 94 delle 291 filiali: in Calabria verrebbero “soppressi” sei sedi su sette, in Abruzzo 39 su 97, in Campania 10 su 43, in Basilicata 7 su 33, in Puglia 12 su 76. Poi, nel Lazio 2 su 5, nelle Marche 9 su 17.
In sostanza, Bpb sparisce dalla Calabria, dimessa la sua presenza in Abruzzo, perde una “postazione” su quattro in Campania. E la chiamano Banca del Mezzogiorno. Senza contare l’impatto anche dal punto di vista occupazionale: sono circa 900 gli esuberi previsti, 300 persone nelle direzioni generali e 600 della rete territoriale. Più che un piano di rilancio appare ai più come un programma di “svuotamento”.
LEGAMI A RISCHIO
Il rischio, all’orizzonte, è quello che la Banca Popolare di Bari perda il suo legame con il territorio, in Puglia come nel resto del Sud. Un colpo sotto la cintura per le piccole e medie imprese calabresi, pugliesi, campane, lucane. I sindacati hanno fatto sentire la loro voce, definendo «lacunoso e brutale», del tutto «inaccettabile», il piano di riduzione del personale illustrato dall’azienda con «chiusure di filiali e mobilità funzionale e territoriale tutto sotto la voce costo del personale».
«Numeri sconsiderati» che prevedono la «creazione di 6 aree territoriali con chiusura di tutti i distretti, ridefinizione delle figure professionali, rinnovato format delle filiali in centriche (grandi dimensioni), specialistiche (investimenti/imprese), di presidio (filiali light)».
Il piano dei tagli prevede una riduzione della presenza nelle regioni di insediamento, in quei territori dove gli imprenditori e risparmiatori hanno deciso di affidarsi a un istituto a loro vicino. La Fabi, presente al tavolo del negoziato sul piano di ristrutturazione, ha presentato 20 richieste di chiarimento. Tra queste quella di un documento di dettaglio del piano industriale che non sia solo «illustrativo di intenzioni o auspici» e la definizione della mission futura della banca.
IL DISSENSO
Altra domanda ai commissari è quale sia la logica alla base della chiusura di 94 filiali nonchè l’ammontare degli npl da cedere. Anci Abruzzo ieri ha chiesto, invece, di «azzerare il piano, riconvocare il tavolo e ripartire dai territori». Il presidente Anci, Gianguido D’Alberto, sindaco di Teramo e Carlo Masci, sindaco di Pescara, considerano «non accettabile» il piano «in tempi normali», figuriamoci «oggi con le dinamiche economiche e sociali che si stanno producendo nel nostro tessuto economico territoriale». La diffusione capillare delle filiali sui territori delle regioni del Sud dovrebbe essere, invece, il punto di ripartenza delle nuove esigenze del credito per il rilancio del dopo pandemia, proprio guardando alla mission di una banca al servizio del Mezzogiorno di cui si è parlato come strumento per la ripartenza.
«I criteri che hanno portato a questo piano – sostiene Anci Abruzzo – non sono più attuali, dobbiamo riprendere una nuova trattativa azzerandolo e tornando a convocare un tavolo con i commissari della Banca Popolare di Bari che veda protagonisti gli enti locali interessati (Comuni e Regioni) i parlamentari, il governo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori».
LE INDAGINI
Sul quasi fallimento di Bpb sono in corso le indagini della Procura, sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti sono finiti anche sette sospetti trasferimenti di danaro effettuati da Marco e Gianluca Jacobini poche ore prima del commissariamento. Lo scorso 12 dicembre, Gianluca Jacobini, ex condirettore generale dell’istituto di credito barese e figlio dell’ex presidente Marco Jacobini, avrebbe trasferito mediante assegni circolari una somma complessiva di 180mila euro dal suo conto della BpB a uno co-intestato a sé e alla moglie aperto in Banca Sella.
A segnalarlo sono stati proprio i neo commissari dell’istituto di credito: complessivamente le operazioni sospette sarebbero sette per oltre 5,5 milioni di euro. Una somma cospicua trasferita da conti Bpb intestati ai due Jacobini. Il trasferimento di somme disposto da Gianluca Jacobini, nei confronti del quale quello stesso giorno il cda aveva deciso di procedere con l’azione di responsabilità, è stato quasi contemporaneo a quello, dello stesso importo, disposto tramite bonifico dal padre, Marco Jacobini.
IL FILONE PRINCIPALE
L’ex presidente, poi, il giorno successivo ha fatto altri cinque bonifici, tutti a favore di familiari e società, per circa 5,5 milioni di euro. Su queste operazioni sospette si sta concentrando l’attività della Procura di Bari, con l’aggiunto Roberto Rossi e i pm Federico Perrone Capano e Lanfranco Marazia al lavoro per valutare ipotesi di reato. Le inchieste principali aperte dalla Procura penale sono cinque, poi ci sono altre decine di fascicoli avviati in base aelle singole denunce presentate da alcuni soci e correntisti.
Il filone investigativo principale riguarda i fondi assegnati da Bpb ad alcune imprese che versavano in condizioni economiche critiche. Due settimane fa, la Finanza ha sequestrato 16 milioni di euro a Gianluca Jacobini e ai dirigenti Nicola Loperfido e Giuseppe Marella, rispettivamente ex responsabile della Direzione business ed ex responsabile Internal auditing, nonché della stessa Popolare. L’accusa è di ostacolo alla vigilanza e a Jacobini anche per false comunicazioni sociali. Stando alle indagini la banca avrebbe erogato crediti ad alcuni clienti importanti in corrispondenza all’acquisto di grosse quantità di azioni che venivano acquistate proprio grazie a una parte di quei soldi.
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