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Nuovo anno, stessi problemi. I proclami della classe politica sull’impegno a colmare i divari territoriali, gli squilibri tra Nord e Sud per favorire la crescita dell’intero Paese si fermano quasi sempre alle parole. I passi avanti concreti se ne sono visti pochi. Sviluppo, occupazione, infrastrutture e spesa sociale, il Mezzogiorno è sempre indietro. Mentre la fine del 2019 e l’inizio del 2020 hanno visto il dibattito politico e di governo affrontare i temi dell’autonomia differenziata e del Piano per il Sud, al momento incagliati nella verifica di maggioranza prevista a fine gennaio (dopo le elezioni regionali), il punto di partenza da tenere presente è sempre lo stesso: la maggior parte della spesa corrente e della spesa per investimenti è destinata alle aree del Centro Nord più sviluppate.
FABBISOGNI STANDARD
Quel principio distorto della ‘spesa storica’, per il quale le amministrazioni continuano a finanziare i servizi laddove essi vengono già erogati senza porti il problema di mettere tutti gli enti nella condizione di poterlo fare, rimane radicato nella prassi comune. I livelli essenziali delle prestazioni e i fabbisogni standard, che dovrebbero sostituire la spesa storica consentendo a tutti gli enti locali parità di condizioni iniziali, restano sulla carta. E la politica di coesione, che si alimenta con i fondi strutturali europei e una parte di cofinanziamento nazionali, volta proprio a superare il gap territoriale, arranca, come sempre. Con il rischio di perdere le risorse che Bruxelles ha assegnato all’Italia. Individuati i problemi, le soluzioni sono sempre tardive.
SANITÀ DIFFERENTE
Gli squilibri nella spesa sociale sono tra quelli più insopportabili, perché vanno ad incidere nel tessuto vivo delle famiglie più svantaggiate. Nel settore della sanità si registrano differenze significative tra Nord e Sud, certificate da tutti gli organismi di valutazione e analisi, compresa la Corte dei Conti. Nel 2017 in tutte le regioni del Sud, eccetto il Molise, la spesa pro capite è stata inferiore alla media nazionale (che si è attestata a 1.880 euro). In particolare, in Campania sono stati spesi 1.729 euro pro capite, in Calabria 1.743, in Sicilia 1.784, in Puglia 1.789. Cifre molto diverse sono quelle riferite alle regioni del Nord, dove svettano la Liguria con 2.062 euro pro capite, l’Emilia Romagna con 2024 euro. Insomma, il servizio sanitario nazionale eroga somme maggiori al Nord perché i criteri per la ripartizione tengono conto dell’anzianità della popolazione, più elevata al settentrione, ed anche della cosiddetta ‘mobilità sanitaria’ che vede ogni anno migliaia di cittadini spostarsi dalla propria regione di residenza per cercare cure nelle strutture più specializzate.
L’EDILIZIA
Ma anche in altri settori le differenze tra Nord e Sud sono marcate. Secondo l’analisi dei Conti Pubblici Territoriali (Cpt) in altri settore ‘sensibili’ dal punto di vista sociali, come l’edilizia abitativa, la cultura e i servizi ricreativi, il servizio idrico integrato, l’energia, la spesa pubblica pro capite al Sud è mediamente inferiore del 25% rispetto al Centro Nord.
Anche nel settore della formazione professionale, attività finanziata dalle Regioni, il divario Nord-Sud è lampante. I dati sono della Sose, la società partecipata dal Ministero dell’economia e dalla banca d’Italia. Il Piemonte spende 41 euro pro capite, la Lombardia 49 euro, l’Emilia Romagna e la Toscana 43 euro. Spostandoci al Mezzogiorno, la regione Campania si ferma a 7,6 euro pro capite, la Calabria a 17,24 euro, il Molise 8 euro, l’Abruzzo fa ancora peggio, meno di 6 euro.
ASILI INESISTENTI
Un capitolo a parte merita il settore degli asili nido, che è stato ‘attenzionato’ in maniera particolare dal governo. Nella legge di bilancio sono state inserite risorse per assicurare la gratuità delle rette alle famiglie della fascia medio bassa. Intervento senza dubbio lodevole, ma dove andranno a finire queste risorse? Andranno dove il servizio viene erogato e per il quale oggi le famiglie pagano. Ben poco finirà a beneficio delle famiglie del Sud, dove i nidi spesso non ci sono proprio. In Campania, secondo un’indagine compiuta dalla Fondazione Openpolis, solo 6 bambini su 100 trovano posto al nido e il 90% degli asili offre un servizio part time, di poco aiuto alle donne che vorrebbero impegnarsi in una attività lavorativa. In Valle D’Aosta vanno al nido 4 bambini su 10. In tre regioni del Sud, Calabria, Campania e Sicilia, meno del 10% dei bambini sotto i tre anni viene accolto in un nido. Maglia nera la Campania. Al Centro Nord, a parte il record della Valle d’Aosta, altre regioni come Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Provincia autonoma di Trento hanno raggiunto e superato il target europeo del 33%.
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