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Francesco Rubino, una delle eccellenze della medicina del Sud Italia che da anni lavora nel Regno Unito, lancia l’allarme sull’obesità


«C’è una epidemia di obesità nel mondo che non può essere sottovalutata. L’obesità deve essere riconosciuta come malattia. Basti pensare che più di 1 miliardo di persone nel mondo convivono con l’obesità: quasi una persona su otto». A sostenerlo è una delle eccellenze della medicina del Sud Italia che da anni lavora nel Regno Unito. Francesco Rubino, originario di Cosenza, presidente di medicina metabolica e chirurgia bariatrica al King’s College di Londra (nel 2014 è stato il titolare della prima cattedra istituita a livello mondiale), dopo cinque anni di studio presenta un report che propone una revisione alla diagnosi che supera il concetto di indice di massa corporea (BMI) e che si basa su segni e sintomi oggettivi di cattiva salute a livello individuale.

Professor Rubino, in cosa consiste il suo studio che oggi ha avuto un risalto internazionale?

«Una Commissione globale ha pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology, con l’endorsement di oltre 75 associazioni mediche a livello mondiale un nuovo approccio, con più sfumature per la diagnosi di obesità, basato su altre misure di eccesso di grasso corporeo in aggiunta all’indice di massa corporea e segni e sintomi oggettivi di cattiva salute a livello individuale. La proposta è intesa ad affrontare i limiti della definizione e della diagnosi tradizionale di obesità che ostacolano la pratica clinica e le politiche sanitarie, facendo sì che le persone con obesità non ricevano i trattamenti di cui hanno bisogno. Fornendo una cornice medica coerente per la diagnosi di patologia, la Commissione si augura anche di ricomporre l’attuale disputa circa l’idea di obesità come malattia, che è stata al centro di uno dei dibattiti più controversi e polarizzanti della medicina moderna. La riformulazione dell’obesità in obesità non clinica o clinica ha il vantaggio di fornire uno strumento cruciale per il modo in cui concettualizziamo e trattiamo l’obesità superando le credenze irrazionali che mantengono lo stigma del peso e permettendo di identificare obiettivi appropriati che, a seconda dei casi, possono riguardare la prevenzione e gli interventi di salute pubblica o il trattamento».

Passiamo ai dettagli. Diagnosticata la presenza di obesità, la Commissione propone una distinzione chiave tra obesità clinica e obesità pre-clinica…

«Per questo bisogna fare un’anamnesi e un esame obiettivo, per capire se ci sono sintomi o segni di alterazione della funzione di organi importanti che sono tipicamente aggrediti dall’obesità. Bisogna capire, cioè, se c’è una qualche disfunzione cardiaca, polmonare, renale, epatica, delle giunzioni articolari. In questo caso parliamo di obesità clinica, quindi di malattia, e le persone devono ricevere un’appropriata gestione con adeguati trattamenti. Per obesità pre-clinica, invece, si intende quella condizione in cui l’eccesso di grasso corporeo non ha ancora causato disfunzioni d’organo. In altre parole, le persone con obesità pre-clinica sono a rischio di malattie future, ma non hanno malattie in corso, di conseguenza dovrebbero essere supportate per ridurre il rischio di ammalarsi in futuro. Questi nuovi criteri diagnostici consentirebbero al personale medico di distinguere tra salute e malattia a livello individuale, facilitando anche un’allocazione razionale delle risorse sanitarie, mettendo in atto strategie diverse a seconda dei casi».

Quanto incide l’obesità sulla salute fisica e mentale?

«Incide molto. Riconoscere l’obesità come una malattia, in particolare l’obesità clinica, ossia quella accompagnata da segni e sintomi specifici consentirà di ridurre lo stigma associato a questa condizione tra il pubblico, i medici e i decisori politici. Questo è un passo fondamentale per definire i livelli essenziali di assistenza e garantire un trattamento adeguato di questa patologia. La questione del se l’obesità sia una malattia è fallace perché presuppone uno scenario non plausibile del tipo ‘tutto o nulla’, nel quale l’obesità rappresenti sempre una malattia o mai. Alcuni individui con obesità possono mantenere una normale funzione d’organo e un buono stato di salute globale, anche a lungo termine; mentre altri mostrano segni e sintomi di malattia grave qui e adesso. Considerando l’obesità solo come un fattore di rischio e mai come una patologia, può portare immeritatamente a negare l’accesso a terapie tempestive a soggetti in cattiva salute per motivi riconducibili alla sola obesità. D’altra parte, una definizione ampia di obesità come patologia può sfociare in un eccesso di diagnosi e nell’uso inappropriato di farmaci e procedure chirurgiche, con danno potenziale agli individui e costi impressionanti per la società. La nostra riformulazione riconosce la realtà sfumata dell’obesità e permette un trattamento personalizzato. Questo comprende un accesso tempestivo ai trattamenti basati sull’evidenza per i soggetti con obesità clinica, come si conviene per le persone affette da qualche forma di patologia cronica, come anche strategie di trattamento per la riduzione di rischio per le persone con obesità pre-clinica, che presentano un rischio aumentato, ma senza patologie concomitanti. Questo potrà facilitare una riallocazione razionale delle risorse sanitarie e una prioritizzazione giusta e significativa dal punto di vista medico delle opzioni terapeutiche disponibili. Inoltre molte ricerche confermano per esempio che lo stigma distoglie le persone dal chiedere aiuto e dall’aderire alle campagne di screening per il timore di essere giudicate, impattando negativamente sui percorsi terapeutici e diagnostici. Induce per esempio un ritardo nello screening dei tumori e un ritardo nella terapia stessa dell’obesità».

L’obesità è un fattore ereditario?

«C’è una alta probabilità ereditaria sicuramente».

Con la disponibilità di nuovi farmaci, è importante poter stabilire quando c’è necessità e urgenza di certe terapie, anche per evitare spreco di denaro pubblico…

«Bisogna chiarire per chi questi nuovi farmaci sono indicati: chi ne ha bisogno e chi invece può fare senza. E, se ci sono problemi economici nel garantirne l’accesso, bisogna identificare un metodo per individuare chi ha priorità di copertura da parte del sistema sanitario. Questa non deve essere una decisione arbitraria, ma deve avere un senso dal punto medico e di conseguenza dal punto di vista etico»

Con l’obesità come sia messi in Italia?

«In Italia siamo su una percentuale del 20% per cento per quanto riguarda gli adulti. Direi che siamo in linea con il resto dei Paesi europei, se non addirittura messi meglio in alcuni casi. In Italia ciò che desta maggiore preoccupazione, nel presente e in particolare nel futuro, è l’incremento dell’obesità pediatrica».


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