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Nino Cartabellotta

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Intervista al presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, che evidenzia come al sud gli ospedali siano al tracollo e i rischi dell’autonomia differenziata


L’ultimo episodio qualche giorno fa al Policlinico di Foggia, dove un diciottenne si è scagliato contro medici e infermieri prima di essere arrestato. Vicende da condannare, ovviamente, ma per Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, l’organizzazione che con i suoi report rappresenta un punto di osservazione privilegiato su quello che avviene sul fronte della sanità, sono anche il segnale di un malessere più forte.

OSPEDALI DEL SUD AL TRACOLLO, INTERVISTA A NINO CARTABELLOTTA

“Da un lato gli organici insufficienti, in particolare nei pronto soccorso, rendono molto difficile il lavoro dei professionisti sanitari: turni estenuanti e burnout rendono impossibile una comunicazione adeguata con pazienti e familiari – spiega nell’intervista al Quotidiano del Sud – Dall’altro lato regna oggi un senso di diffidenza nei confronti di medici, infermieri e altri professionisti sanitari, osannati come eroi durante la pandemia, che richiede di sviluppare un nuovo modello di fiducia reciproca, tenendo conto che non esistono né una medicina mitica, né una sanità infallibile. Infine gioca un ruolo anche il delicato equilibrio psichico di molte persone, spesso sottovalutato, non diagnosticato o non trattato”.

Il Governo continua a dire che non ci sono stati tagli alla sanità. E allora come si spiega questo deficit di assistenza? E, soprattutto, quali sono i veri numeri del Fondo sanitario Nazionale?

“Nessun Governo negli ultimi 15 anni ha mai posto la sanità al centro dell’agenda politica. Anzi, visto che la spesa sanitaria è la fetta di spesa pubblica più facilmente “aggredibile”, tutti gli Esecutivi hanno tagliato o non investito adeguatamente per esigenze di finanza pubblica o per soddisfare i propri elettori. Il risultato è che, se nel 2010 l’Italia poteva contare su una spesa pubblica pro-capite pari alla media dei paesi europei, nel 2023 abbiamo accumulato un gap di € 807 pro-capite, che in totale si traduce nella cifra monstre di oltre € 47,6 miliardi. La spesa sanitaria pubblica aumenta sempre in termini assoluti, quindi tutti i Governi possono vantarsi di aver investito più dei precedenti. Ma di fatto termini di percentuale del PIL la spesa sanitaria nel 2023 ha toccato il 6,2%, rispetto alla media OCSE del 6,9% e del 6,8% dei paesi europei.

C’è un cronico e ormai insostenibile problema di organici. Funzionerà il piano di assunzioni annunciato dal Ministro Schillaci?

“Ci sono due ostacoli rilevanti: la “concessione” da parte del Mef delle risorse richieste e la disponibilità di professionisti da assumere, visto che già oggi molti concorsi vanno deserti e i professionisti abbandonano il Sistema sanitario nazionale. Un piano straordinario di assunzioni deve essere integrato in un rilancio più ampio delle politiche per il personale sanitario in grado di restituire attrattività al Sistema: adeguamenti contrattuali in linea con la media dei paesi europei, miglioramento delle condizioni organizzative e della sicurezza sul lavoro, progressioni di carriera. Perché l’emorragia di professionisti dal SSN e il declino delle iscrizioni ai corsi di laurea delle professioni sanitarie, in particolare Scienze Infermieristiche, e ad alcune scuole di specializzazione (medicina d’urgenza in primis), sono segnali molto preoccupanti”.

Nella ripartizione delle risorse il Sud è penalizzato dagli attuali criteri?

“Il nuovo meccanismo di riparto, che tiene conto della deprivazione socio-economica e della mortalità prematura, ha permesso alle Regioni del Mezzogiorno di recuperare risorse rispetto al passato: Campania (+ 84 milioni), Sicilia (+ 56 milioni), Puglia (+ 45 milioni), Calabria (+ 21 milioni). Tuttavia i criteri di riparto dovrebbero essere profondamente rivisti anche in relazione alla necessità di investire molto di più in prevenzione per le giovani generazioni e ne beneficerebbe proprio il Sud che ha una popolazione mediamente più giovane.

Che cosa sarebbe necessario nella prossima manovra?

“La posizione della Fondazione GIMBE è molto chiara: programmare un rilancio progressivo e consistente del finanziamento pubblico della sanità per allinearlo alla media dei paesi europei, avviando parallelamente una stagione di coraggiose riforme. Dopo 15 anni di definanziamento non possiamo ogni anno, alla vigilia della Manovra, stare a disquisire su quanti soldi devono andare alla sanità. Serve un nuovo patto politico e sociale che prescinda da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governo e sulla base del quale rilanciare progressivamente, riformandola coraggiosamente, la più grande opera pubblica mai costruita in Italia. Quella che garantisce il diritto alla tutela della salute.

Nella sanità i Lep sono da anni una realtà anche se si chiamano in maniera diversa. Come sono andate le cose?

“I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) sono stati istituiti nel 2011, ma non corrispondono esattamente ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). In generale l’esigibilità dei LEA sul territorio nazionale è condizionata da un divario insanabile Nord-Sud, che non accenna a ridursi tanto da essere ormai diventato una frattura strutturale. Le “pagelle” del Ministero della Salute relative al 2022 promuovono solo 13 Regioni, di cui solo Puglia e Basilicata al Sud e, rispettivamente, in 12ae 13a posizione. Ovvero le altre 6 Regioni del Mezzogiorno sono inadempienti ai LEA. Senza contare che, eccetto la Basilicata, tutte le Regioni del Sud sono in Piano di rientro, con Calabria e Molise addirittura commissariate. Una situazione che ogni anno alimenta il fenomeno della “migrazione” sanitaria verso le Regioni del Nord di pazienti in cerca di cure migliori”.

Con l’autonomia differenziata la situazione peggiorerà negli ospedali al Sud?

“Inevitabile! Le maggiori autonomie potenzieranno le ricche Regioni del Nord, indebolendo ulteriormente quelle del Sud. Alcuni esempi: la maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale provocherà una fuga dei professionisti sanitari verso le Regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose, impoverendo il capitale umano del Mezzogiorno; l’autonomia nella definizione del numero di borse di studio per scuole di specializzazione e medici di medicina generale determinerà una dotazione asimmetrica di specialisti e medici di famiglia; le maggiori autonomie sul sistema tariffario rischiano di aumentare le diseguaglianze nell’offerta dei servizi e favorire l’avanzata del privato.
Ecco perché in questo contesto l’autonomia differenziata, non solo affosserà definitivamente la sanità del Sud, ma darà anche il colpo di grazia al SSN. Sempre più pazienti si sposteranno dal Sud al Nord in cerca di cure migliori, generando un sovraccarico per la sanità delle Regioni settentrionali che rischiano di limitare l’accesso alle prestazioni sanitarie per i propri residenti.

A che punto siamo con le liste di attesa? Si stanno riducendo o la riforma sarà insufficiente?

“Non è ancora tempo di bilanci. Si attendono almeno sette decreti attuativi e tempi di attuazione delle misure previste medio-lunghi: ovvero i benefici per i cittadini non saranno affatto immediati. Peraltro, ho già espresso in sede di audizione istituzionale numerose perplessità sulla potenziale efficacia del Decreto legge che prevede solo di inseguire la domanda aumentando l’offerta: una strategia perdente perché, esaurito l’“effetto spugna” nel breve periodo, l’incremento dell’offerta poi induce un ulteriore aumento della domanda.
Inoltre il Decreto è povero di interventi efficaci per risolvere i problemi strutturali del SSN che alimentano il problema delle liste di attesa. Che sono il sintomo più visibile di un indebolimento organizzativo e soprattutto professionale per risolvere il quale sono necessari consistenti investimenti e coraggiose riforme. In particolare, investendo sul personale sanitario aumentando l’attrattività del SSN. Il Decreto, invece, puntando sulla defiscalizzazione degli straordinari (più lavori, più ti pago), rischia di stremare quello già in servizio, alimentando ulteriormente la fuga dei professionisti dal sistema sanitario nazionale”.


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