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PER GLI italiani stressati dall’emergenza coronavirus, per i giovani alle prese con didattica a distanza, incertezza per il futuro, difficoltà nelle relazioni sociali, l’aiuto dello psicologo potrebbe essere lo spartiacque per passare dal disagio vissuto in solitudine alla sua gestione. Ma servono più fondi, specie per agire nelle scuole. Un’urgenza che stride se si pensa che solo pochi giorni fa c’è stato il click- day per la pur legittima aspirazione green del monopattino o della e-bike, di fronte alle parole di David Lazzari, Presidente del Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi – CNOP -.
Interpellato sulle evidenze dello “Stressometro” da coronavirus, dell’Istituto Piepoli con il CNOP (vedi box) e sulla situazione psicologica collettiva, specie di giovani e giovanissimi, spiega che «in Italia, purtroppo, siamo molto in ritardo, con una visione obsoleta riguardo al benessere emotivo delle persone. Circa dieci giorni fa – dichiara- ho scritto al Premier Giuseppe Conte e al ministro della Salute Roberto Speranza per chiedere l’inserimento di una competenza psicologica nel Comitato Tecnico Scientifico. E alla Ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, perché ci siano più fondi, rispetto ai 40 milioni di euro previsti, per il supporto psicologico nelle scuole, in base al protocollo firmato fra CNOP e MIUR lo scorso agosto, che va attivato al più presto, dopo la circolare MIUR ai presidi del 30 ottobre».
Qual è la questione che ha posto?
“Ho chiesto perché nel Comitato Tecnico Scientifico sono presenti solo figure mediche e se non sia il caso di prevedere un nostro esperto, per aiutare la popolazione. Nel definire le chiusure, le strategie, il Governo, le Regioni, il CTS dovrebbero considerare anche l’impatto psicologico”.
Insomma, ha sensibilizzato il Premier sul disagio emotivo collettivo?
“Da qualche giorno il Presidente del Consiglio ha iniziato a parlare di disagio psicologico. Lo ha fatto in Parlamento, la settimana scorsa, ed anche durante la conferenza stampa sulle misure del nuovo DPCM. Ora è fondamentale che si passi ad azioni concrete. Da febbraio ad oggi per dare aiuto psicologico alla popolazione in generale, ma anche alle categorie più colpite, non è stato fatto assolutamente nulla”.
Che cosa si sarebbe potuto fare?
“Nella normativa nazionale è previsto che nelle USCA – le Unità Speciali di Continuità Assistenziale – operino anche gli psicologi. Il 90% delle regioni italiane non ce li ha. E invece proprio queste figure possono aiutare le persone colpite dal Covid-19 asintomatiche, che sono l’80% di quelle in isolamento a casa, a gestire la malattia presso il proprio domicilio. Sono persone che non hanno problemi medici, ma hanno grossi problemi psicologici. L’ISS ha predisposto delle linee guida per la tele- psicologia, per dare un’assistenza on line a queste persone. Avere gli psicologi nelle USCA sarebbe stato un elemento fondamentale per fronteggiare il disagio diffuso”.
Perché non è stato fatto?
“Temo che la politica pensi che il disagio psicologico del Covid-19 sia un fatto privato, ineluttabile. È l’approccio che per molti anni c’è stato sul dolore, per cui c’è voluta una legge per dire che il dolore non è ineluttabile. Se una persona sta male, la devo aiutare a stare meno male. Bisogna fare un salto di qualità. In Nuova Zelanda si è posto da tempo il problema del benessere psicologico della popolazione. Ogni decisione viene presa tenendo conto di questo impatto”.
Come agire sul disagio psicologico delle persone?
“Il disagio psicologico è come un contenitore, dai molti aspetti (vedi box, ndr). Noi aiutiamo le persone a gestirlo e a ridurne l’impatto. Da anni disponiamo di studi di efficacia costi /benefici su interventi sia individuali che collettivi. Se il Governo ci interpellasse, sapremmo che cosa va fatto e come farlo. Viceversa nessuno ci interpella”.
Per esempio agendo sullo stress di giovani e giovanissimi, che è forte?
“È così. Noi psicologi continuiamo a ricevere testimonianze di genitori che raccontano il disagio che vedono nei loro figli. Condurre indagini sui minorenni è molto problematico per i limiti di legge, per cui disponiamo di molti meno dati sul loro disagio psicologico, che fra l’altro è più nascosto e si manifesta con comportamenti indiretti. Quando ho fatto presente che era importante mettere gli psicologi nelle scuole, volevo trovare una via per raggiungere il maggior numero di giovani, anche con un solo psicologo, che in una scuola può arrivare a tutta la popolazione fino ai 18 anni”.
Cosa si potrebbe fare nelle scuole, da domani?
“Si possono fare interventi collettivi e in breve tempo. Le maggiori strategie, di gruppo o di comunità, si fanno nelle classi, nelle assemblee, con i docenti. Uno psicologo può intervenire così su tantissime persone. Inoltre, gli interventi si possono fare immediatamente, anche sulle piattaforme utilizzate dalle scuole per la Dad e on line”.
È il senso del protocollo firmato fra Psicologi e MIUR?
“Sì. Prevede che in ogni scuola si attivi l’assistenza psicologica. Ci sono tuttavia due criticità. Una è la lentezza. Dopo tre mesi dalla firma del protocollo, il 90% delle scuole non ha attivato i bandi per gli psicologi. Dopo la circolare del MIUR di fine ottobre, il CNOP ha chiesto a tutte le Associazioni dei Presidi e a quelle dei genitori di accelerare questo processo. Poi c’è l’aspetto relativo ai fondi. Il MIUR ha reperito 40 milioni di euro, che sarebbero dovuti servire per la prima ondata. Con la seconda ondata, con quei fondi così esigui per le 8970 direzioni scolastiche in Italia, ogni psicologo potrebbe solo assicurare 15 ore al mese fino a giugno 2021, per centinaia di studenti per plesso. Una missione impossibile”.
Che cosa avete fatto per superare il problema?
“Abbiamo scritto al Ministro Azzolina la settimana scorsa. Serve un investimento maggiore e spero di avere presto una risposta. Per dare aiuto psicologico alla popolazione in Italia partendo dalle scuole, urgono più di15 ore al mese per direzione scolastica”.
Sarebbe stato meglio prevedere prima fondi per questo, che per il click day, fermo il rispetto per l’ambiente?
“Le rispondo come prima. Evidentemente si ritiene che il disagio psicologico sia ineluttabile, faccia parte dello stato delle cose. Bisogna cambiare mentalità”.
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