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Il sottosegretario Piazza

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L’intervista al sottosegretario leghista Piazza secondo il quale “l’autonomia non dividerà il Paese, esistono da sempre due Italie”. Le firme contro? Una “strategia della sinistra per riaggiustare i cocci”


Nel Consiglio regionale della Lombardia è “l’uomo dell’autonomia”. Tanto da confezionare per lui un ruolo speciale: “Sottosegretario alla Presidenza” con tanto di delega all’autonomia.
Mauro Piazza, 51 anni, di Lecco, leghista di provata fede, legatissimo a Salvini e Calderoli A differenza di altri esponenti del Carroccio (Zaia, tanto per non fare nomi) ha accettato di rispondere alle domande del Quotidiano del Sud. Accetta il confronto. E di questo gliene diamo atto.

Sottosegretario Piazza, come giudica i ricorsi che 5 presidenti di Regione (compresa la Sardegna, a statuto speciale) hanno presentato alla Consulta contro la legge Calderoli?

«Strategia, nulla più. Il centrosinistra, uscito con le ossa rotte dalle ultime elezioni politiche e fortemente diviso al suo interno, aveva bisogno di provare a rimettere insieme i cocci nel tentativo di ridare vita a una coalizione. Hanno scelto di lanciare una “crociata” contro l’autonomia che, essendo una delle bandiere del centrodestra, risulta funzionale a questo obiettivo. I ricorsi dei governatori vanno letti in questo contesto. Che poi ci sia anche quello della Sardegna, fa quasi sorridere. Il suo Statuto speciale consente un’autonomia più ampia di quella che la Lombardia potrebbe raggiungere con la nostra legge. Già solo questo basta a capire quanto strumentali e infondate siano certe prese di posizione».

Secondo lei, le richieste delle Regioni per il trasferimento delle materie che non richiedono i Lep sono fondate? Si è fatta un’analisi sulle risorse e sulle efficienze per poter dire che i cosiddetti governatori faranno meglio dello Stato? O sarà solo un modo per acquisire nuove risorse?

«Lo sono. Non si fa altro che applicare un comma della Costituzione della Repubblica. Le direzioni di Regione Lombardia lavorano da tempo affinché la nostra Regione possa essere “pronta” a gestire nuove competenze. Un approfondimento serio, che ci conferma nella convinzione che questo processo di devoluzione possa consentire servizi migliori, nonché maggiore efficienza ed economicità. Vorrei ricordare che ogni cinque anni ci sono le elezioni. Saremmo dei folli se ci volessimo intestare più responsabilità senza avere la ragionevole certezza di poter rispondere in maniera adeguata alle esigenze dei nostri cittadini. Gli elettori ci manderebbero tutti a casa il giorno dopo. E questo è un ulteriore vantaggio dell’autonomia: responsabilizza ulteriormente la classe politica e consente alla gente di poter giudicare meglio chi amministra la cosa pubblica».

Le sembra morale che vi sia, per alcune funzioni che riguardano i diritti sociali e le prestazioni sanitarie, una sperequazione così grande tra Nord e Sud, tali da determinare persino un’aspettativa inferiore di vita nel Mezzogiorno?

«La sua domanda contiene la constatazione di un dato di fatto. Il Paese, purtroppo, è già “spaccato”. E non per colpa dell’autonomia, ma con tutta evidenza per la responsabilità di un sistema centralista che nel corso dei decenni non solo non è stato in grado di colmare il divario fra Nord e Sud, ma lo ha fatto ulteriormente aumentare. Basterebbe prendere i dati del cosiddetto “turismo sanitario”, un brutto termine che però fotografa bene una triste realtà della nostra Repubblica. Parlo delle decine di migliaia di persone che dal Sud ogni anno sono costrette a venire a curarsi al Nord perché non riescono a farlo a casa loro o perché ritengono che le strutture delle loro città non eroghino servizi adeguati. Questo sì, è profondamente immorale».

È solo una questione di cattiva amministrazione? Quando i sistemi regionali sono stati messi sotto pressione, non sembra che le Regioni abbiano dato un’ “ottima” prova: il Covid è stato un’analista spietato delle funzioni, un giudice obiettivo. Tutta questa efficienza non pare che sia stata messa in campo. Il caso Lombardia lo dimostra.

«Questo è falso, ingiusto e poco rispettoso delle migliaia di lutti che il nostro territorio si è trovato a piangere. La Lombardia è stata una delle zone più colpite dal Covid, quando ancora di questo virus si sapeva poco o nulla, in tutto il mondo. È stato uno Tsunami che ha avrebbe messo in crisi qualsiasi sistema, lo abbiamo affrontato per primi, da soli e a mani nude senza informazioni. Lo testimonia il fatto che persino Paesi evolutissimi come gli Stati Uniti o la Francia hanno avuto più di un problema, anche a fronte di un numero di contagi – fatte le debite proporzioni – inferiore. Dopo un primo, comprensibile, momento di sbandamento, abbiamo dato prova di grandissima efficienza. Lo testimonia la capillare organizzazione dei centri vaccinali, ad esempio. O la rapidità con la quale siamo stati capaci di realizzare opere quali l’ospedale in Fiera a Milano, fra l’altro realizzato a costo zero per i cittadini, trovando risorse solo fra i privati. La verità è che il tema autonomista rende il re nudo: è falso che alcuni territori abbiano avuto o abbiano meno risorse di altri, anzi, la distribuzione della spesa regionalizzata dello Stato vede la Lombardia tra le ultime. La questione è semmai come vengono spese le risorse dalle classi dirigenti dei territori. Se a parità di euro ci sono territori con gli ospedali e altri senza, credo che si debba chiedere conto a chi ha amministrato, non dare la colpa a chi lo ha fatto bene».

Cosa ne pensa di un referendum “correttivo“ per rivedere le parti più irrazionali e controverse della legge 86/24?

«Il referendum contro l’autonomia non è “correttivo”. È un tentativo di affossare l’applicazione del dettato costituzionale e, ovviamente, mi vede contrario. Non tanto per le mie convinzioni personali o politiche, ma perché negare l’autonomia è un danno ai nostri cittadini. Per questo, lunedì abbiamo votato in Giunta regionale la costituzione in giudizio davanti alla Corte costituzionale per difendere la legge 86 dai ricorsi presentati da altre Regioni. Anche il Veneto si muoverà in direzione analoga. Vorrei ricordare che nel 2017 sia in Lombardia che in Veneto gli elettori hanno votato in massa un referendum consultivo a favore dell’autonomia differenziata. Noi diamo corpo a una volontà già chiaramente espressa in maniera democratica dalla nostra gente. Mi auguro che non si arrivi a tornare alle urne. Questo sì, spaccherebbe il Paese, perché verrebbe letto come uno scontro Nord- Sud, che invece non esiste. Detto ciò, non sono preoccupato. Se anche domani si dovesse tornare in cabina elettorale, rimango convinto che i lombardi confermeranno il sì all’autonomia».

Cosa pensa del Consiglio regionale delll’Emilia-Romagna che ha fatto dietrofront sostenendo che la legge Calderoli è una norma molto diversa da quella che originò la richiesta di autonomia differenziata più di 6 anni fa?

«Sostengono il falso, poiché non vi era allora nessuna norma come la legge Calderoli, che è una legge procedurale, non di contenuto. Ovvero che disciplina con chiarezza come attuare il famoso Titolo V, peraltro introdotto proprio dal centrosinistra nel 2001, lasciando poi alle Regioni piena libertà se chiedere l’autonomia e come farlo. Vedere oggi che l’Emilia rinnega quanto fatto con la sottoscrizione delle preintese nel 2018, è il segno triste di come in Italia non si riesca mai ad affrontare il tema delle riforme con uno spirito critico scevro dal piccolo tornaconto partitico ed elettorale. Non dimentichiamo che fra non molto si vota anche in Emilia Romagna…».

Trova normale che la professoressa Elena D’Orlando, presidente della Commissione tecnica fabbisogni standard, cioè colei che dovrà calcolare i Lep, sia stata fino a ieri una consulente della Regione Veneto?

«Una commissione, per sua stessa definizione, è un organismo pluralista. Il suo presidente ne è solo la guida, quindi non vedo problemi. La professoressa D’Orlando vanta un prestigioso curriculum accademico, esperienza che ha messo a disposizione non solo del Veneto, ma anche di altre Regioni».

Uno dei principi cardine della Costituzione è la perequazione. Ritiene giusto che le Regioni che chideranno l’autonomia differenziata possano trattenere sul loro territorio il residuo del gettito fiscale sottraendolo allo Stato?

«È falso che si parli di gettito fiscale: il ddl Calderoli, all’articolo 9, garantisce l’invarianza finanziaria per le Regioni che chiedono l’autonomia differenziata e assicura che le intese non pregiudichino le risorse destinate alle altre Regioni, anche con riferimento alle risorse aggiuntive per l’attuazione dei Lep. Di più, le funzioni trasferite saranno finanziate tramite compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale. Inoltre, sono previste misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale. Quindi, nessun “pericolo” che possano mancare risorse per le Regioni del Sud. Se poi lei mi chiede cosa ne penso io: sì, lo ritengo giusto, in un quadro di coesione nazionale e di solidarietà che però non può essere sproporzionata come in Italia. Per spiegare la mia affermazione le riporto solo uno studio di qualche anno fa, che ha certificato come la Lombardia sia la Regione che versa più tasse allo Stato ricevendo, in cambio, meno trasferimenti in termini di spesa pubblica. Il residuo fiscale della Lombardia è di circa 54 miliardi. Si tratta del valore in assoluto più alto tra tutte le Regioni italiane. Un’immensità anche a livello europeo, se si pensa che due regioni tra le più industrializzate d’Europa come la Catalogna e la Baviera hanno rispettivamente un residuo fiscale di 8 miliardi e 1,5 miliardi circa. Ma nella legge sull’autonomia differenziata, non parliamo di questo».


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