Calogero Mannino
8 minuti per la letturaSquillante è la voce di Calogero Mannino: «Sono tutto orecchie». Sei legislature da deputato, più volte ministro, un protagonista nella storia della Democrazia Cristiana. Pochi giorni fa la fine di un calvario giudiziario lungo 29 anni, trascorsi da grande imputato in più processi. Alla fine però 12 assoluzioni e la Cassazione che elimina ogni ombra di mafia sul suo conto.
Onorevole, sta per finire un anno difficile contrassegnato da una pandemia che si è portata con sé 2 milioni di morti nel mondo. Le pongo una domanda provocatoria: il Covid ha salvato l’attuale esecutivo?
«Covid: dramma per il Paese, ciambella di salvataggio per il governo. Nella prima fase la ciambella di salvataggio sembrava addirittura essere diventata un bellissimo scafo, con lo stendardo del “ce l’abbiamo fatta” e del modello Italia».
Poi cosa è successo?
«Alla lunga vengono fuori i buchi e cioè il governo non ha avuto la forza di darsi una strategia per fronteggiarlo e ha esaurito tutti i suoi compiti nel tappare le falle. La falla mascherina, la falla ventilatori…».
Prevede lo stesso esito con i vaccini?
«Ci sono già i segni inquietanti per inefficienza delle quantità e delle strutture con cui raggiungere l’obiettivo. Non a caso c’è già una polemica sulle dosi di vaccini conquistate da altri paesi».
Si riferisce alle 30 milioni di dosi che ha acquistato la Germania?
«E non solo. Prima della decisione di Ursula von der Leyen di provvedere direttamente dalla centrale di comando della Ue, gli Stati si erano mossi autonomamente».
È il segnale rivelatore che nei fatti l’Europa non esiste?
«L’Unione europea ha funzionato per come è possibile. Anzi con l’attuale presidente della commissione ha funzionato al meglio. Parliamoci chiaro: se non ci fosse stata la decisione della Ue, l’Italia si sarebbe trovata in condizioni peggiori. Si pensi al Recovery fund che rappresenta una svolta e una prospettiva. Però anche questa prospettiva dipende dalla capacità degli Stati di far funzionare la macchina».
Nell’attesa l’esecutivo italiano litiga sulla struttura di missione che dovrà gestire i 209 miliardi, scrive delle bozze che poi sono bocciate dai partiti di maggioranza. Come andrà a finire?
«La confusione è tale per cui ci siamo già dimenticati di Vittorio Colao e delle sue consultazioni a Villa Doria Pamphilj. Di quell’esperienza non abbiamo altro che i titoli. Che fine ha fatto il suo documento?».
La Germania ha già presentato il suo piano, Francia e Spagna hanno fatto lo stesso. Perché risultiamo sempre gli ultimi della classe?
«Non c’è una articolazione di approfondimento a nessun livello. Viene in evidenza una crisi della struttura amministrativa dello Stato. Per farci forti degli esempi buoni del passato, una volta l’Anas (Azienda nazionale autonoma delle strade ndr.) non eseguiva solo la manutenzione delle autostrade ma le progettava. Ai tempi dell’Iri la società Autostrade non progettava solo le autostrade ma gran parte delle opere pubbliche. E ancora: la cosiddetta alta velocità Roma-Milano nasce da una sezione dell’Iri in collaborazione con le ferrovie dello Stato. Ricordo poi il contributo molto articolato e profondo di alcune università. Oggi invece il governo si è chiuso nella sua solitudine».
Concorda con Matteo Renzi che definisce il piano dell’esecutivo «un collage raffazzonato e senza un’anima»?
«Questo è un governo che gestisce una crisi industriale senza una visione strategica. Pensiamo alla crisi dell’Alitalia, dell’Ilva, della Whirlpool, della piccola e media impresa che sta resistendo con fatica mentre il cumulo degli Npl (crediti deteriorati ndr.) si sta ammassando in tutte le banche, forse per la futura fortuna di quelli che compreranno i crediti al 3 per cento del loro valore. E poi cosa vogliono farne del mezzogiorno? Terra abbandonata agli sbarchi. Ma anche questi sono di passaggio. I migrantes – perché i giovani che possono sono già scappati dal mezzogiorno – andranno poi al nord, in Germania e in Francia. E se non possono, in Lombardia o in Veneto. E senza enfasi ma quale visione complessiva dell’Italia e della sua economia nel mondo del Covid ed auguriamoci presto del post Covid. Un governo che spende e spande, più assistenzialismo senza sviluppo».
La mancanza di visione è strettamente connessa alla crisi della classe dirigente?
«Se non v’è una ideologia e non può esserci, tale non è il liberismo, essendo soltanto un’empirica spietata ragione del Mercato e dei capitali, la politica e la Weltanschauung (visione del mondo ndr.); né d’altra parte è a portata mano una nuova versione del socialismo, perché la Cina in questo senso non è un modello, è soltanto un capitalismo autoritario. Dunque la classe dirigente entra in crisi quando ad entrare in crisi è la politica. E cosa è la politica? È la sintesi fra cultura, ricerca, scienza stessa e movimenti della società. Qui si è fratturato questo rapporto. E ne consegue che ci ritroviamo con una politica ridotta alle dimensioni pietose. Ormai è la personificazione dell’istanza populistica. Oggi abbiamo partiti scuppattizzi».
Sarà un termine siciliano, cosa significa?
«Partiti occasionali, passati per caso».
A proposito di partiti, partiamo dalla destra italiana. Qual è il suo voto?
«La nostra destra non riesce a vedere che Ungheria e Polonia parlano parlano ma stanno dentro l’Unione».
Bocciati dunque Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Qual è il suo giudizio su Giuseppe Conte, il premier di due governi, uno di destra e l’altro di sinistra?
«La grandissima abilità nel gestire la sua debolezza. Questo si è risolto sul piano della tattica di sopravvivenza».
Che cosa ne pensa dell’ipotesi di un contenitore centrista di rito contiano?
«È l’arma che minaccia ma non è la bomba atomica. Dal centro e dal centrodestra non nasce un partito per delega della sinistra».
Quali devono essere le caratteristiche di un nuovo partito di centro?
«Il centro politico deve rappresentare una parte di società che è tendenzialmente di destra. Il grande merito di Alcide De Gasperi e della Dc è avere tenuto fermo i ceti medi, nostalgici del fascismo, dei qualunquismi, dei populismi, e di averli saldati al sistema democratico».
Rediga la pagella di Matteo Renzi. Ora l’ex rottamatore vuole far saltare il tavolo e minaccia di ritirare la delegazione ministeriale.
«Mi sembra l’intelligenza esasperata e disperata. Tutte le sue accelerazioni lo hanno portato a vincere e al tempo stesso a perdere. La Costituzione che è stata frutto di larghissime convergenze non si cambia con i colpi magici. Me lo faccia dire: i mutamenti della Carta Costituzionale non possono essere un’opera da giocolieri».
Sarà l’ennesimo penultimatum del leader di Italia viva?
«Ha improvvisato questo governo ma questo esecutivo gli cadrà addosso. L’esito finale è che ci sarà una destra candidata a vincere le elezioni, e una sinistra raccolta attorno al Pd, che per comodità possiamo cominciare a chiamare dalemiano. Ma lì non ci sarà posto per Renzi».
La coalizione di centrosinistra, come la immagina Goffredo Bettini, può giocarsi la partita con la destra?
«Sia Bettini sia D’Alema ipotizzano che Conte possa fare un partito di centro. In questo modo la sinistra non vincerà mai le elezioni. Salvo affermazioni personali tutto l’apporto dei cattocomunisti o di quella che fu la sinistra democristiana post-demitiana non ha mai reso il Pd maggioranza del Paese»,
Lei conosce l’attuale Capo dello Stato. In caso di crisi l’inquilino del Colle scioglierà le Camera o cercherà in tutti i modi di trovare una maggioranza?
«Non mi permetterei mai di pensare di conoscere Mattarella».
Il Pd agita lo spettro del voto per spaventare Renzi?
«Ed è questa ultima una contraddizione perché tutte le scelte che ha fatto fino a oggi il Nazareno sono state sempre in chiave anti-voto. Mattarella non ha sciolto le Camere dopo il referendum di Renzi ed è nato il governo Gentiloni. Mattarella non ha sciolto le Camere dopo la crisi del governo gialloverde e ha spianato la strada ai giallorossi. Dunque se fossi Renzi non avrei paura dello scioglimento delle Camere».
La fermo: il progetto politico renziano ad oggi sembra essere fallito. Nei sondaggi Italia viva è sotto il 3 per cento e in caso di urne rischia di sparire.
«Dico così perché se si riaprissero i seggi il Pd non potrebbe fare a meno di Renzi. Mentre a fine legislatura per l’ex sindaco di Firenze ci sarà un solo destino: essere rottamato, come ha rottamato D’Alema, perché la pariglia gli verrebbe restituita».
Una nemesi di rito comunista, verrebbe da dire. Resta sul tavolo la domanda iniziale: come andrà a finire?
«O non c’è crisi perché Renzi sta dentro e sta in silenzio. Altrimenti salta tutto. Qui non si tirerà certo a campare. Per dire, i governi andreottiani del “tirare a campare” erano esecutivi che oggi ci sogniamo».
Gli osservatori sostengono che Renzi si sia spinto troppo avanti e ora non possa più tornare indietro.
«È paradossale ma uno sbocco elettorale – fare parlare il popolo – non è mai antidemocratico. Questa volta condivido un’opinione di un grande comunista: Emanuele Macaluso».
Qual è la tesi del dirigente migliorista?
«Fare parlare gli elettorati è un esercizio di grande democrazia. E aggiungo: so che non sta bene e gli auguro pronto recupero della sua salute».
Concludiamo questa lunga intervista sulla sua vicenda giudiziaria culminata dopo 29 anni con un’assoluzione piena. Come si sente adesso?
«Il Signore mi ha dato la forza. Sono andate via possibilità personali. Bisognerà un giorno porre il problema ma in sede storica. Perché è accaduto? E in sede politica perché non accada più. Ma qui c’è tutto il problema della giustizia che questo governo e questa maggioranza non saprebbero affrontare».
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