X
<
>

INDICE DEI CONTENUTI

Share
7 minuti per la lettura

Intervista a Girolamo Lacquaniti, primo dirigente di polizia segretario dell’Anfp, che si esprime sulla questione dell’ordine pubblico


Le forze di polizia non chiedono scudi penali ma «certezza della pena per chi delinque», di «ricucire il sistema delle leggi con quello delle pene», di non avere danni professionali ed economici se finiscono indagati per qualche motivo mentre sono in servizio. C’è stato «un salto di qualità» nella violenza di piazza.
Girolamo Lacquaniti, primo dirigente di polizia e portavoce dell’Associazione nazionale dei funzionari di polizia, lo dice con molta cautela: «Ce l’hanno con noi e qualcuno cerca l’incidente grave».

Lacquaniti, i suoi colleghi in piazza per ordine pubblico dicono “ci vogliono ammazzare”. Timore fondato? Esasperazione?

«Le parole vadano sempre scelte con molto cura. Fatta questa premessa, il rischio c’è. Purtroppo accadono continuamente fatti che vanno in questa direzione: due giorni fa l’ordigno fatto esplodere davanti alla caserma di carabinieri di Borgo San Lorenzo in provincia di Firenze; poco fa a Torre Maura, a Roma, è comparsa la scritta “Acab, -uno” sul muro della strada dove a novembre morì per un incidente stradale un nostro agente. In generale registriamo un innalzamento della violenza. A Roma, Torino, Bologna gli scontri con le forze dell’ordine non avvengono a margine delle manifestazioni ma l’obiettivo primario è attaccare uomini e donne in uniforme. A Roma l’altra sera hanno tirato una bomba carta in faccia ad un collega. Ha limitato i danni solo grazie al casco».

Avete notato una escalation dopo la morte di Ramy al Corvetto alla fine di quell’inseguimento su cui adesso i magistrati stanno facendo luce pur tra qualche reticenza?

«Ramy è solo un pretesto, un alibi, una scusa. Yehia Elgaml, il padre, ha parlato chiaro, ha chiesto più volte “non usate mio figlio per fare casini, abbiamo fiducia nella polizia e nella magistratura”. Le dinamiche che stiamo vedendo non partono all’improvviso. Difficile indicare una data di inizio. Però un salto di qualità c’è stato in generale nelle manifestazioni studentesche pro Palestina. Nello specifico da ottobre in poi».

La maggioranza propone di dare maggiori tutele agli agenti in servizio. Per esempio modificando la legge sulla legittima difesa e introducendo una sorta di scudo penale per le forze dell’ordine in servizio. È necessario?

«Come tecnico e segretario dell’Associazione dei funzionari di polizia sottolineo che viviamo due problemi fondamentali. Il primo: episodi che normalmente sarebbero reato, quando vengono giudicati in un contesto di ordine pubblico vengono tollerati. Se si sputa o si lanciano uova ad un poliziotto o ad un carabiniere in strada, su un treno, è reato. Se succede in una manifestazione diventa tollerabile in quanto scatta la “speciale tenuità”. Lo dimostrano tante sentenze di assoluzione per manifestanti a giudizio per lesioni e oltraggio a pubblico ufficiale».

Il primo è un problema quindi legato al senso di impunità dei manifestanti. E il secondo?

«Un agente che finisce indagato mentre è in servizio subisce una serie di danni professionali ed economici enormi prima ancora di sapere se andrà o meno a giudizio e se sarà o meno condannato. Anni di blocco di carriera perchè sei indagato. Decine di migliaia di euro di spese legali che, se tutto andrà bene, ti saranno restituite in parte alla fine. Ecco, noi chiediamo alla politica di risolvere questi due problemi: chiediamo più rispetto per il nostro lavoro e di dare certezza alle forze dell’ordine che vengono indagate per qualche motivo».

La cronaca ci racconta che proprio perché in divisa a volte avete beneficiato di una sorta di immunità, non vorrei tornare al G8 di Genova e però… Parlare di scudo penale forse non è una grande idea.

«Chi sbaglia è giusto che paghi per quello che ha fatto. Non sto certo invocando l’impunità per le divise. Io ho sottoposto due diversi tipi di problemi per cui chiediamo risposte. A Verona un agente della Polfer ha sparato e ucciso un giovane armato di coltello che stava cercando di accoltellarlo. L’agente – parliamo di gente che prende 1.500 euro al mese – è indagato, ha la carriera bloccata, deve nominare legale e deve pagarlo. La città di Verona ha fatto la colletta per questo poliziotto e questo non è normale in un Paese di diritto».

Vorrei tornare sulla tipologia delle piazze e dei manifestanti. Si dice che stiano mettendo la testa fuori vecchi arnesi della lotta armata che annusano aria fertile per nuova battaglie. Qui si manifesta per chiedere giustizia per Ramy e si finisce con vandalizzare la sinagoga. Si manifesta per la Palestina e ci sono i cartelli contro il disegno di legge sulla sicurezza. Cosa succede?

«Guardi, ancora una volta cerco di pesare bene le parole. La triste sensazione su cui spero tanto di essere smentito è che si cerchi di arrivare ad eventi irreparabili in piazza per poi offrire un motivo che possa in qualche modo destabilizzare il paese. Questo è un Paese che vive non da oggi di ondate emotive, ci si pozione ad un estremo e all’altro e si comincia a fare il tifo come ultras nelle curve. Questo è il nostro timore. Che in piazza ci vadano ultras di estrema destra e di estrema sinistra. In questo momento la parte anarcoinsurrezionalista è quella che sta dando prova di maggiore violenza».

In due anni e mezzo di governo sono stati approvati sette pacchetti sicurezza e circa settanta tra nuovi reati e/o aggravanti e/o nuove fattispecie. Eppure la maggioranza continua a produrre nuove leggi e nuovi reati per dare più sicurezza ai cittadini. Non le sembra un cortocircuito?

«Il problema è la certezza della pena, il senso di impunità. Abbiamo un sistema sanzionatorio incapace di rispondere alla esigenze di sicurezza. E questo non riguarda, come abbiano visto, solo la piazza ma riguarda anche le carceri per cui soggetti pluripregiudicati restano a piede libero perché in carcere non c’è posto. Ecco perché la gente è frustrata, arrabbiata».

Più carceri e più reati risolvono quindi il problema?

«Non ho detto questo. Io faccio il poliziotto e non il sociologo o il politico. Poi lo vedo anch’io che se ai ragazzi dai un futuro e un lavoro, alle famiglie case decenti in quartieri civili e serviti, scuole e sanità che funzionano la rabbia sociale si sgonfia e diminuisce. Non scompare ma non si amplifica».

A proposito di impunità e abusi, da una parte e dall’altra in questo caso, la notizia di oggi è di alcune ragazze attiviste che hanno denunciato di essere state portate in questura a Brescia e qui costrette a spogliarsi e a fare piegamenti.

«Si tratta della denuncia di alcune attiviste. La questura nega tutto. Anche in questo caso ritengo che dare giudizi affrettati e senza una completa cognizione di causa non sia corretto. Il ritorno a una civiltà giuridica prevede un corretto passaggio attraverso la prudenza e la fiducia in chi ha la delicata responsabilità di accertare i fatti».

Infatti, fiducia nella magistratura. Ecco perché gli scudi penali non sono consigliabili.

«Ho già detto che noi non chiediamo impunità. Ma neanche subire danni economici e professionali prima di un eventuale giudizio».

Caso Ramy: era necessario inseguire in quel modo due ragazzi in moto che non si erano fermati ad un posto di blocco?

«La magistratura sta indagando. Dobbiamo avere fiducia e non arrivare a conclusioni sbagliate. Lo chiede il padre del ragazzo morto. Tra gli elementi da valutare ci sarà certamente anche la proporzionalità. E poi anche una rivalutazione delle regole d’ingaggio. Se una moto non si ferma ad un posto di blocco che dobbiamo fare? Sono tutte valutazioni che vanno fatte sul momento e, mi creda, non è facile».

Insisto: il panpenalismo, questa produzione di leggi, serve a qualcosa?

«A noi servono norme per agire con professionalità ed equilibrio senza subire danni, per dare sicurezza ai cittadini per bene e ridurre un diffuso senso di impunità. Credo che la chiave di volta sia ricucire il sistema delle norme con la loro corretta applicazione. Fino a quando non si riuscirà in questo intento c’è il rischio di inflazionare le norme».

Il blocco stradale punito da 2 a sei anni: cambia qualcosa?

«Non so, vedremo se e quando passerà la legge. Dico che a Verona, dove sono in servizio, c’è una ditta che ha danni economici enormi perché da mesi gli attivisti bloccano i camion. Ma noi abbiano le mani legate».

La politica, una parte, alcune parti, da destra e da sinistra, stanno strumentalizzando?

«Come detto all’inizio, strumentalizzare mi sembra un termine troppo forte. Il nostro auspicio è che la politica tutta possa essere coesa nel condannare gli episodi di violenza e nel garantire un bene comune che si chiama sicurezza».


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE