Mara Carfagna
7 minuti per la letturaLa Commissione europea ha proposto di tagliare i fondi di coesione, per 7,5 miliardi, all’Ungheria di Orbán “per mancanza di democrazia”. Il prossimo 25 settembre le elezioni potrebbero portare alla guida del nostro Paese due partiti, Fratelli d’Italia e Lega, che si sono schierati con il presidente ungherese contro la condanna del Parlamento Ue. La leader di FdI, Giorgia Meloni, ha poi più volte sostenuto che nostro Pnrr debba essere rivisto, cosa che non permetterebbe in molti casi di rispettare le scadenze concordate con la Ue. Mara Carfagna, ministra per il Sud, ex Forza Italia ora candidata per Azione, sono a rischio i fondi di Bruxelles nel nostro Paese?
«È a rischio l’intero processo del Pnrr. Rinegoziarlo significa bloccarlo in attesa di un nuovo accordo. E nessuno ha capito con esattezza cosa si dovrebbe rinegoziare. La Meloni dice: i costi sono aumentati, bisogna rivedere l’attribuzione dei fondi. Ma il governo ha già messo in opera soluzioni: c’è un fondo istituito presso il Mef, a cui possono attingere le amministrazioni, che “copre” gli aumenti delle materie prime fino al 20 per cento. E con il decreto Aiuti Ter abbiamo stabilito che i fondi non ancora utilizzati di ciascun capitolo di spesa possano essere spesi per compensare i rincari, sempre restando all’interno dello stesso ambito di progetti. Dunque rinegoziare cosa? E perché? Forse perché non si sentono in grado di mandare avanti il Piano e temono la figuraccia?».
Con il Pnrr per la prima volta il Paese ha deciso di affrontare una se non la principale causa della sua mancata crescita, la “questione meridionale” e il divario di cittadinanza – scuola, sanità, trasporti – che segna la quotidianità di 20 milione di persone che vivono nelle regioni meridionali. Matteo Salvini ha glissato sul mantenimento del 40% per il Mezzogiorno. Teme che la “quota Sud” possa venire ridimensionata?
«È un timore credo fondato. Né Matteo Salvini né Giorgia Meloni hanno mai risposto alla mia domanda. E poi: Salvini è il massimo rappresentante di quel “partito del Nord” che si è sempre messo di traverso sugli investimenti al Sud. E Meloni non ha mai votato il Pnrr, né in Europa né in Italia, e non è vincolata a nessun impegno sulla sua messa a terra. Se le liste di Azione-Italia Viva avranno il risultato che meritano, cosa di cui sono certa, siamo pronti a ingaggiare una battaglia durissima per difendere ogni singolo euro destinato al Sud».
Cosa rappresenta il Pnrr per il Paese, e per il Mezzogiorno in primo luogo?
«Cose concrete. Alta velocità, ferrovie, stazioni moderne, scuole dove mancano, scuole decenti dove sono indecenti, asili ovunque perché ovunque sono carenti o disastrati, interventi sui porti e sulle aree retroportuali attesi da un ventennio. E ancora: sanità di prossimità, palestre, mense, e quindi tempo pieno per le decine di migliaia di famiglie e ragazzi che non possono usufruirne. Sostegno sociale a chi versa nella povertà più estrema attraverso il cohousing e altre forme di aiuto. In una parola: significa portare al Sud diritti almeno paragonabili a quelli di cui il Nord gode da sempre».
Il Piano sta entrando nella fase attuativa, gran parte dei bandi sono stati assegnati, come ha detto il presidente Draghi nell’ultima conferenza stampa. L’impianto messo in campo dal governo a sostegno della capacità amministrativa degli enti locali meridionali sta dando i suoi frutti? È necessaria una presa in carico maggiore da parte del governo? Può fare un primo bilancio sull’attuazione dei progetti nel Mezzogiorno?
«In tutti i bandi seguiti finora la Quota Sud del 40 % è stata rispettata o addirittura superata. Proprio in questi giorni stiamo facendo una corsa contro il tempo per incardinare il maggior numero di interventi possibili: serviranno al prossimo governo per incassare la rata di dicembre, ammesso che non intenda davvero fermare tutto e ridiscuterlo».
“Non fatevi rubare il voto” è il titolo con cui il nostro giornale ha fatto appello alla comunità meridionale affinché non ceda alle effimere lusinghe dell’assistenzialismo, anche per non portare acqua al mulino delle “fazioni” nordiste di entrambi gli schieramenti che considerano “buttati” i soldi destinati al Sud…
«Un giusto appello. E mi permetto di segnalare che Azione-Italia Viva è l’unica forza che dedica al Sud un robusto capitolo del suo programma anziché qualche riga distratta, e lo mette al secondo posto, non in fondo alla lista».
Paladino del reddito di cittadinanza il Movimento 5 stelle sembra stia recuperando consensi nel Mezzogiorno. Matteo Renzi, tra i promotori del Terzo Polo con cui lei si candida, ha depositato un referendum per abolire la misura. Letta promette la creazione di 300 mila posti nella pubblica amministrazione. Assistenzialismo e Pa: con queste ricette due partiti ex alleati si sfidano sul territorio meridionale. Pensa che queste strategie possano avere un riscontro significativo nell’elettorato meridionale?
«Tutti e due scommettono sulla disgrazia del Sud, e lo vogliono tenere nella disgrazia perché in caso contrario certo non cederebbe il suo voto in cambio di un sussidio o per la promessa di un posto pubblico chissà quando. Io, da ministro per il Sud, ho scommesso sulla forza, sulla volontà, sulla capacità di un Sud a cui vanno date opportunità, non elemosina. Si può fare, lo abbiamo fatto: in un anno abbiamo visto aprirsi in Italia 700mila nuovi posti di lavoro, la maggioranza dei quali a tempo indeterminato, moltissimi nel Mezzogiorno. Interrompere questa azione è stato davvero un delitto contro i giovani, le donne, gli adulti che vogliono lavorare e vivere, non limitarsi a sopravvivere».
Il Paese potrebbe avere per la prima volta una donna alla presidenza del Consiglio. È una vittoria indipendentemente da chi dovesse ricoprire quel ruolo?
«Meloni premier romperebbe di sicuro il tetto di cristallo, ma dobbiamo stare attenti che i cocci non caschino in testa alle donne. Ci sono almeno due elementi molto preoccupanti. Il primo è la richiesta di abolire le Quote Rosa, una forma di sostegno che non piace a nessuna ma che ha obbligato ad aprire alle donne posti strameritati: nei CdA sono passate dal 7 a oltre il 40%, senza Quote non sarebbe mai successo. Il secondo è il voto contrario di FdI all’europarlamento alla norma che vincola gli Stati membri alla ratifica della Convenzione di Istanbul, principale strumento giuridico di contrasto alla violenza sulle donne e sulle bambine, alla tratta, ai matrimoni forzati. Il timore di un passo indietro sui diritti mi sembra più che fondato».
Lei ha lasciato Forza Italia, che rappresenta ancora al governo come ministro per il Sud, dopo il mancato voto di fiducia del partito a Mario Draghi, conosce bene quindi le dinamiche nel centrodestra che ora – dal sostegno a Orbán allo scostamento di bilancio, questioni non di poco rilievo – appare tutt’altro che unito. Al di là del risultato elettorale che stabilirà il peso effettivo di ogni forza, crede che ci siano le basi affinché la coalizione una volta a Palazzo Chigi possa governare il Paese di fronte alle gigantesche questioni – dalla crisi energetica al rischio di recessione – cui dovrà dare risposte?
«Già immagino il primo Consiglio dei ministri: solo stilare l’ordine del giorno sarà un enorme problema perché Salvini vorrà la Flat Tax al 15 %, Meloni la Flat Tax incrementale, Berlusconi le pensioni a mille euro. Se c’è una sicurezza, è che sarà una delle maggioranze più litigiose di sempre».
Le posizioni della Lega e Fratelli d’Italia sull’Ungheria di Orbán, le “simpatie” filorusse di Salvini: è in vista un riposizionamento geopolitico dell’Italia? Quali sarebbero le ripercussioni per un Paese che con Draghi aveva riconquistato autorevolezza e credibilità, e un ruolo di primo piano sulla scena internazionale?
«La ripercussione immediata è tutta in una domanda. L’Europa si chiederà: ma vale la pena di svenarsi per sostenere un Paese scettico sui nostri valori, che mette in discussione persino la validità della legislazione europea? Vale la pena per la Bce sostenere con acquisti massicci i loro titoli di Stato? Se la risposta fosse no, si aprirebbe un baratro».
Il Terzo Polo sta giocando buona parte della sua campagna elettorale nel nome di Mario Draghi e del suo programma. Ma il premier uscente, però, ha recentemente escluso un suo possibile ritorno a Palazzo Chigi. Lei cosa ne pensa?
«Ma davvero qualcuno pensa che ci potesse essere una risposta diversa? Un uomo dello Stato, un garante delle istituzioni come Mario Draghi, a una settimana dal voto mai avrebbe potuto rispondere “sì” o anche “vedremo”. Qualunque altra risposta avrebbe portato il caos nella campagna elettorale. Dobbiamo creare le condizioni perché lo scenario di un Draghi-bis si realizzi, e la condizione principale è il successo del Terzo Polo».
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