Luigi Sbarra
3 minuti per la letturaLegalità e crescita sociale marciano insieme. Per questo va rafforzata la presenza dello Stato e vanno avviate politiche di coesione che – al Sud ma non solo – rilancino buona occupazione, salari e pensioni dignitose, sviluppo economico, diritti di cittadinanza. A cominciare dal più importante: quello per il lavoro sicuro ed emancipatore».
Anche il Segretario Generale della Cisl, Luigi Sbarra domani sarà a Palermo, insieme alle istituzioni ed a tante associazioni contro la mafia a trent’anni esatti dalla strage di Capaci. «Sarà un grande momento di unità, di ricordo commosso e di rilancio della necessità di avere più legalità nel nostro paese», sottolinea il leader Cisl in questa intervista. «Non dobbiamo mai dimenticare il sacrificio di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo, degli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Quel pomeriggio del 23 maggio del 1992 resterà perennemente nella nostra memoria. Così come ci resteranno sempre Paolo Borsellini e la sua scorta uccisi un mese dopo in un altro terribile agguato a Palermo».
Segretario, che cosa hanno significato quelle stragi mafiose degli anni novanta?
La ferita resta sempre aperta e tanti sono ancora gli interrogativi ed i misteri irrisolti di quella pagina tragica nella storia del nostro Paese. Fu un colpo durissimo per il nostro Paese. Smarrimento, rabbia, paura erano i sentimenti comuni tra la gente. Ma come era già accaduto negli anni tragici del terrorismo fu il mondo del lavoro a scendere in campo per sollecitare una risposta unitaria ed attiva, senza distinzioni, di fronte all’attacco mafioso portato al cuore delle istituzioni democratiche. Il 27 giugno di quell’anno centomila lavoratori giunsero in Sicilia a Palermo da ogni parte d’Italia dietro le bandiere del sindacato per chiedere giustizia, legalità, sviluppo. Fu uno spartiacque. Ci fu una grande manifestazione unitaria, la più imponente nella storia del Mezzogiorno, che costituì una svolta per la nascita di un sentimento collettivo di rivolta delle coscienze nei confronti del ricatto criminale.
Lei pensa che oggi ci sia bisogno di rilanciare fortemente la lotta alla mafia?
Guardi, la mafia è composta da uomini che si possono sconfiggere, purché lo si voglia, diceva giustamente Giovanni Falcone. Sono parole ancora attuali. Nei prossimi anni spenderemo circa 400 miliardi di euro tra le risorse stanziate dall’Europa e quelle nazionali. Bisogna garantire legalità e trasparenza negli appalti pubblici, vigilare per evitare le infiltrazioni di mafia, ‘ndrangheta e camorra. Ecco perché non possiamo abbassare la guardia: occorre rilanciare una grande alleanza tra istituzioni e società civile contro le mafie, la corruzione, il caporalato ed ogni forma di malaffare, attraverso un ruolo attivo di denuncia e di collaborazione con la magistratura e le forze dell’ordine. Il sindacato può assumere, grazie al proprio radicamento nei luoghi di lavoro e nei territori, il ruolo di vera e propria “sentinella” della legalità.
Le risorse del Pnrr possono far gola ai clan della malavita organizzata come sostengono diversi magistrati?
Dobbiamo prevenire questo rischio. È la ragione per cui dobbiamo dare un percorso partecipato all’attuazione del PNRR e delle altre risorse nazionali ed europee che si riverseranno nei prossimi anni sul nostro Paese. Per assicurare trasparenza, legalità, certezza delle regole, non c’è antidoto migliore di un perimetro ampio e sociale di monitoraggio e controllo su appalti, qualità della spesa, intermediazioni. Non c’è modo migliore per garantire, in un tempo solo, sviluppo e presidio di giustizia.
Falcone diceva che per sconfiggere la mafia, bisogna sconfiggere anche la povertà. Lei è d’accordo?
Si, la criminalità si nutre oggi delle diseguaglianze crescenti nel paese a causa della pandemia e della guerra, nel senso diffuso di solitudine e frustrazione. Per questo bisogna avviare una stagione di forte integrazione sociale e geografica, incentrando le politiche di sviluppo nazionali ed europee sul riscatto delle realtà deboli. Per questo Governo, imprese e sindacato devono costruire un nuovo e moderno patto sociale sulla base di obiettivi concreti, scelte e responsabilità condivise, che ridiano protagonismo al lavoro e alla sua dignità, che colmino le lacune infrastrutturali e ambientali del Mezzogiorno, che dichiarino guerra ad ogni forma di sfruttamento, spezzando quella rete di omertà e ricatto che c’è in molti territori. Dobbiamo farlo ora e dobbiamo farlo insieme, in nome del sacrificio eroico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
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