Francesco Boccia
5 minuti per la lettura«Lombardia e Veneto tentano di smontare il Paese. A tutta la classe dirigente, soprattutto a quella del Sud, oggi dico: evitiamo che si compia lo scempio finale, evitiamo di costruire un Paese basato sul portafogli, ricchi da una parte e poveri dall’altra».
È questa l’idea che Francesco Boccia, economista, ex presidente della Commissione di Bilancio, attualmente deputato del Partito democratico, si è fatto dell’autonomia differenziata.
Numeri alla mano, è caduto un luogo comune: non è il Sud l’idrovora mangiasoldi, ma il Nord.
«Sostengo la battaglia culturale che sta facendo il vostro giornale, io stesso la porto avanti da anni. Da presidente della Commissione Bilancio ho sempre avuto chiaro che investimenti pubblici e spesa pubblica al Sud erano un falso mito. Gli investimenti pubblici erano abbondantemente sotto, non solo rispetto alla popolazione, ma anche rispetto alle imprese. La soglia storicamente voluta da Ciampi è stata rispettata solo quando lo stesso Ciampi era ministro dell’Economia. È stata l’ultima vera grande battaglia fatta per il Mezzogiorno. Dal 2001 il Nord ha prevalso».
Guardando alla spesa pubblica allargata, il Sud ha perso 61 miliardi l’anno. È possibile chiedere una restituzione?
«Si deve pretendere una perequazione rispetto al passato. Il ritardo del Sud è il risultato dei 20 anni che abbiamo alle spalle. Un esempio: in Puglia ci sono 4,5 dipendenti comunali ogni mille abitanti. In Veneto e Lombardia siamo abbondantemente sopra i 6. Eppure il luogo comune vuole che i dipendenti pubblici siano tutti al Sud. Se guardiamo invece agli investimenti in senso stretto basta un esempio: la Tav è stata finanziata con la fiscalità ordinaria, quindi anche con le tasse dei meridionali».
Con buona pace della Napoli-Bari che è ancora al palo.
«Per la Napoli Bari, che infatti non c’è, vengono usate le risorse comunitarie. In quest’ottica è molto importante che il Quotidiano del Sud porti avanti sulla questione dei 61 miliardi. Noi, come Pd, questa battaglia la porteremo in Parlamento».
Il Pd appoggerà l’indagine conoscitiva promossa da Carla Ruocco?
«Assolutamente sì, è necessaria. Quando la presidente Ruocco mi ha detto che l’avrebbe fatta, le ho detto che sicuramente avrebbe avuto il nostro sostegno. Spero che di quei numeri si possa discutere in maniera laica, senza pregiudizi, che poi portano tutti sulla strada sbagliata».
Pensa a un episodio in particolare?
«Sì, il Centrosinistra nel 2001 fece un errore clamoroso: inseguire la lega secessionista di Bossi sul terreno della devolution. Da lì nacque la riforma del Titolo V, che io ho sempre criticato. Il principio di sussidiarietà è sacrosanto, ma poteva essere attuato».
E invece?
«Invece si è voluto dare un contropotere alle regioni. Ci sono presidenti di regione che pensano di essere a capo di un piccolo stato. I decreti della Stefani sono inaccettabili. Sarebbe una follia regionalizzare materie come l’edilizia scolastica, la ricerca, il Fondo unico per lo spettacolo o la cassa integrazione».
Ieri l’ufficio legislativo di palazzo Chigi segnalava un pericolo: se tutte le regioni chiedessero l’autonomia, di fatto la legislazione concorrente non esisterebbe proprio più.
«Non c’è dubbio, andrebbe così».
Tutto questo però è stato reso possibile dalle intese tra il governo Gentiloni e le tre regioni che oggi chiedono l’autonomia. Pensa sia stato un errore?
«Le intese indicano un percorso. L’attuazione del Titolo V è in Costituzione, io farei una battaglia per modificarla in senso opposto. Vorrei che le regioni si occupassero in maniera chiara e rigorosa di alcuni servizi e non di alcune materie concorrenti».
Insomma, Boccia non è un grande fan dell’autonomia…
«No, sono per un’autonomia non pasticciata, per l’attuazione del principio di sussidiarietà. Le regioni non possono essere piccoli Stati. Il governo Gentiloni aveva avviato l’iter tenendo ferma l’invarianza finanziaria e la necessità di definire i livelli essenziali delle prestazioni (Lep), prima di parlare di soldi».
Poi è arrivato il governo Conte.
«La Lega ha fatto il gioco delle tre carte: si parte, per tre anni non succede nulla, non vi togliamo nulla, poi si passa ai costi standard. Ma costi standard su cosa? Voglio sapere prima quelli sono i livelli essenziali garantiti ai cittadini. Loro invece applicano la cultura del “poi vediamo”».
Secondo la relazione prodotta dall’ufficio tecnico di Palazzo Chigi, i costi standard andrebbero a incidere sulla spesa delle amministrazioni centrali, quella un po’ più favorevole al Mezzogiorno.
«Non c’è dubbio. Alla fine il Mezzogiorno prende sempre meno rispetto alla popolazione che ha: il 28,3% della spesa per il 34,3% della popolazione. Zaia e Fontana devono rispondere di questi numeri, invece di fare i fenomeni».
Forse le risponderebbero che esistono i residui fiscali.
«È una grande menzogna. Non ci sono residui fiscali da 61 miliardi, confrontiamoci in Parlamento. Zaia e Fontana parlano di una cosa che è un terzo di quello che dicono».
In questi anni governi di tutti i colori hanno preso voti al Sud, eppure il reddito procapite ha continuato a scendere. Oggi è la metà rispetto a quello di un residente del Nord Italia. Di chi è la colpa?
«Delle stesse classi dirigenti del Sud. Hanno avuto spesso responsabilità di governo nazionale e non hanno imposto nell’agenda politica la priorità del Mezzogiorno. Spesso si sono accontentati di portare a casa briciole e hanno fatto da comprimari a leader convinti che il Sud fosse solo una zavorra».
Al Pd, al governo fino all’anno scorso, rimprovera qualcosa?
«I riflettori sul Sud sono stati accesi, le risorse ordinarie però non sono aumentate. Che al Mezzogiorno si diano le risorse europee va bene, ma imprese, lavoro e sviluppo sono diritti. Non si possono fare con i fondi dell’Unione europea».
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