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Il porto di Gioia Tauro

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Più volte ho ricordato che la scelta della Russia di invadere la Ucraina e dare vita ad una delle guerre più assurde del terzo millennio ha praticamente modificato tutte le categorie che caratterizzavano i nostri standard di vita e anche se, forse per motivi scaramantici, continuiamo a credere che poi tutto tornerà come prima, nei momenti di lucidità mentale ci convinciamo che, purtroppo, questa guerra, questa azione della Russia rappresenta una forte soluzione di continuità tra un passato socio economico della nostra fase generazionale ed un futuro che dovrà abituarsi a nuovi e diversi sistemi di organizzazione di ciò che chiamiamo assetto socio economico.

Mi limiterò ad approfondire due distinte aree tematiche: quella legata alla componente che caratterizza la movimentazione e la distribuzione delle merci e quella legata alla realizzazione delle cosiddette infrastrutture strategiche.

Nell’arco di un solo anno il costo della movimentazione di un container dall’area asiatica a quella mediterranea è passato da 1.200 $ ad oltre 13.000 $ e questo dato da solo ha fatto sì che diventasse quasi obbligatorio utilizzare solo navi in grado di trasportare 12.000 – 15.000 container; questa scelta obbligata per ottimizzare al massimo la incidenza dei costi ha prodotto anche la identificazione di un numero limitato di porti: quelli cioè in grado di ricevere tali navi, quelli con fondali profondi 18 – 20 metri, quelli con banchine e aree per la movimentazione adeguate; in realtà l’Italia ha, allo stato attuale, dotati di simili caratteristiche solo alcuni porti dell’arco ligure – toscano, dell’arco dell’alto adriatico e Gioia Tauro.

Poi esistono i tre porti di Cagliari, Taranto e Augusta che con una serie di adeguamenti infrastrutturali potrebbero diventare interessanti HUB. Ma nel breve periodo, cioè nei prossimi mesi siamo pronti con tre, al massimo quattro impianti portuali.

Ma questi tre o quattro impianti, ricevendo queste grandi navi, non dovranno garantire solo attività di transhipment ma, proprio per abbattere i costi della movimentazione e della distribuzione, dovranno anche garantire la canalizzazione delle varie filiere merceologiche nei territori e quindi bisognerà assicurare una efficiente ed efficace sistema di infrastrutture stradali e ferroviarie.

Un sistema che attualmente non esiste: non esiste per Genova dove è in corso la realizzazione del collegamento ferroviario Genova – Milano – Sempione (Terzo valico dei Giovi), non esiste per La Spezia e per Livorno, non esiste per Gioia Tauro, non esiste per Augusta, non esiste per Taranto e non esiste per Trieste. In realtà solo Genova forse tra tre anni disporrà di un collegamento ferroviario adeguato che consentirà, addirittura, un trasferimento delle merci dal porto verso le aree più produttive dell’Italia (Piemonte e Lombardia) e dell’Europa centrale e settentrionale, mentre le altre realtà portuali prima richiamate dispongono di progetti o di lotti di lavori già avviati come il collegamento ferroviario Livorno – interporto di Guasticce ma trattasi di interventi che difficilmente diventeranno funzionali nel breve periodo.

Allora dobbiamo avere il coraggio ed ammettere che nei prossimi due tre anni il nostro Paese disporrà di tre o quattro HUB in cui si svolgeranno tutte le macro attività di stoccaggio, manipolazione e distribuzione delle merci, cioè avremo impianti in cui oltre al transhipment si svolgeranno attività tipiche di una vera piastra logistica e al tempo stesso capaci di ottimizzare anche processi relativi alla produzione di determinate filiere.
È la mia una visione miope e limitativa, forse, ma senza dubbio se non si vuole rendere inaccessibile l’uso di alcuni prodotti per la vera esplosione dei costi, dobbiamo, in tutti i modi, condividere questo nuovo modello della offerta.

Molti diranno e, soprattutto, chiederanno quale il futuro per i porti di Ravenna, di Ancona, di Civitavecchia, di Napoli, di Ravenna, di Bari, di Brindisi, di Palermo?

La risposta è facile: continueranno a svolgere attività legate a soglie di movimentazione tipiche di porti con livelli certamente non in crescita ma potranno, se ben gestiti recuperare nei prossimi anni quote di mercato che, per alcune filiere merceologiche, potranno crescere soprattutto se molte delle nostre Regioni del Mezzogiorno capiranno che il settore agroalimentare prodotto all’interno del loro territorio potrà diventare un’ottima base per implementare tali impianti portuali soprattutto se supportati adeguatamente da apposite linee del freddo.

Forse diventeranno anche interessanti linee marittime capaci di collegare direttamente i porti della Sicilia (Augusta e Catania) con Trieste o (Palermo e Trapani) con Livorno e Genova sempre per trasportare la filiera agroalimentare; questi collegamenti in parte già esistono ma andranno non solo aumentati ma dovranno essere reinventati; cioè dovranno crearsi veri HUB di supporto produttivo e logistico a Termini Imerese (nella vecchia area FIAT) per il sistema portuale Palermo e l’Area di Sviluppo Industriale di Priolo per il sistema portuale di Augusta.

La stessa cosa dovrà avvenire per Brindisi e per Bari dove le aree adiacenti destinate un tempo ad attività industriali potranno trasformarsi in veri centri di trasformazione di prodotti agroalimentari che oggi sono movimentati e distribuiti per oltre il 75% da imprese non del Mezzogiorno e, in molti casi, neppure del nostro Paese. Il porto di Ancona potrebbe addirittura dare vita a collegamenti sistematici con i porti della Croazia e del Montenegro per determinate filiere di prodotti: attualmente lo scambio tra i due Paesi attraverso i porti di Fiume e di Bar raggiunge un valore globale di circa 1,1 miliardo di euro per il settore agro alimentare e metallurgico; se i tre porti di Ancona, Fiume e Bar decidessero di attrezzare adeguatamente i loro impianti per rendere più adeguata ed efficiente la offerta potremmo assistere ad una forte impennata delle movimentazioni e crescerebbero, anche in modo rilevante, i relativi margini generati dalle attività logistiche; senza dubbio una crescita della movimentazione del porto di Ancona imporrebbe la realizzazione di un’opera, prevista sin dal 2001 dalla Legge Obiettivo, relativa al collegamento del HUB portuale con l’autostrada A14.

Appare evidente che questa obbligata rivoluzione della nostra offerta portuale cambierà integralmente tutte le linee programmatiche che le Autorità portuali avevano disegnato in questi sei anni di esistenza e cambieranno anche non solo i costi dei prodotti ma anche la disponibilità degli stessi nelle varie realtà territoriali; cominceremo ad accorgercene subito di questi obbligati cambiamenti perché non troveremo solo sistematici aumenti in quasi tutti i prodotti al consumo ma per molti di essi saremo costretti a ricorrere ad ordinativi anche abbastanza lunghi (un mese – due mesi).

Lo so ci abitueremo e forse non sentiremo in modo eccessivo un simile cambiamento, però questa serie di cambiamenti rischia di diventare irreversibile se non avremo il coraggio e la forza di avviare una vera rivoluzione nella nostra offerta portuale; in quella offerta che per l’80% caratterizza l’intero processo import – export del nostro Paese.


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