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Alcuni autobus

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In uno dei miei primi blog pubblicato tre anni fa (come passa il tempo, ormai le “stanzediercole” stanno invecchiando) ricordai che è un grossolano errore pensare al trasporto come uno dei comparti classici della macchina dello Stato; il trasporto, infatti, è il riferimento portante di tutto l’impianto socio – economico del Paese, è, senza dubbio, l’anima della intera nostra economia. Non lo avevamo capito prima del marzo 2020? Forse no! Non lo avevamo capito ed in realtà lo aveva capito, e ne va dato atto, solo Claudio Signorile quando nel 1984 volle redigere il primo Piano Generale dei Trasporti e che lo avesse capito lo testimoniano sei distinte motivazioni:

1) Volle che il Piano Generale dei Trasporti fosse approvato con apposita Legge dal Parlamento e fosse aggiornato ogni tre anni

2) Non volle che il Piano fosse redatto da un Ministero ma da 9 Dicasteri (Tesoro, Industria, Bilancio, Difesa, Trasporti, Lavori Pubblici, Marina Mercatile, Ambiente, Interni)

3) Volle che il Piano Generale dei Trasporti avesse un continuo e forte riferimento ed una sistematica interazione con la Unione Europea

4) Volle che il Piano Generale dei Trasporti, nel rispetto della Costituzione, interagisse concretamente con ogni realtà regionale

5) Volle che lo strumento di Piano fosse la occasione per dare vita ad un misurabile processo di riforme.

6) Volle sprovincializzare la tradizione pianificatoria nazionale coinvolgendo nella redazione del Piano il Premio Nobel per l’economia Vassily Leontief ideatore della teoria input – output e Hellmuth Stefan Seidenfuss Direttore dell’Istituto di economia dei trasporti dell’Università di Munster e Presidente dell’Istituto europeo di scienza dei traporti

Fino al 2006 il Piano Generale dei Trasporti ha avuto, quasi ogni tre anni un aggiornamento, poi i Governi che si sono succeduti hanno ritenuto opportuno non aggiornarlo. Tuttavia quei sei punti non solo erano stati rispettati sin dalla prima edizione ma oggi disponiamo di diverse riforme che sintetizzo in sole tre righe: la unificazione di quattro Ministeri nell’unico Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la trasformazione delle Ferrovie dello Stato e dell’ANAS in Enti pubblici economici, l’Alta Velocità ferroviaria, i valichi, un nuovo assetto aeroportuale con i due HUB di Malpensa e Fiumicino, i sistemi portuali, gli interporti e la intermodalità, il riassetto del trasporto pubblico locale e, attraverso il master plan dei trasporti europei, la base delle attuali Reti TEN.

Ma la dominanza, o meglio, la essenzialità del trasporto in tutti i settori chiave del sistema socio economico del Paese lo abbiamo capito solo in questi ultimi dieci mesi; sì è stato necessario vivere questa tragica sperimentazione legata alla pandemia per capire e misurare quanto e come la mobilità rappresenti la chiave obbligata per superare e gestire ogni emergenza¸ ogni emergenza nel settore della produzione, della scuola, della sanità, dell’assistenza in generale e della sicurezza, del sistema delle comunicazioni.

Cominciamo proprio con il comparto della produzione nella sua più ampia definizione (sia il settore industriale, sia agro alimentare, sia manifatturiero), ebbene in questi dieci mesi, pur n presenza di un obbligato blocco dei consumi, la distribuzione dei cosiddetti beni di prima necessità e, soprattutto, l’approvvigionamento di determinati prodotti quali quelli legati al comparto sanitario è stato garantito da una vera eccellenza logistica che, va dato atto, è stata omogenea nell’intero sistema comunitario.

Altro comparto in cui pensavamo che il trasporto non fosse essenziale era quello della scuola, ebbene oggi stiamo capendo che se avessimo avuto un sistema di trasporti nelle grandi e medie realtà urbane efficiente e ridondante, sì ridondante, cioè con una offerta di mezzi di trasporto superiore a quella minima avremmo potuto assicurare un utilizzo dei mezzi stessi con una soglia massima del 50% e avremmo evitato la chiusura delle scuole: in realtà abbiamo capito che bilanciare il rapporto domanda – offerta in modo da limitare i costi, nella organizzazione del trasporto in ambito urbano, non è pagante sia in caso di emergenza come quella che stiamo vivendo, sia nel caso in cui si voglia rendere elastico il rapporto domanda – offerta.

In merito al comparto legato ai servizi sanitari penso che la logistica, usata nell’approvvigionamento e nella distribuzione dei vaccini, abbia ancora una volta testimoniato quanto sia determinante il suo ruolo sia in termini di controllo degli approvvigionamenti che di distribuzione macro e capillare.

Tutto questo impianto è vincente solo però se il territorio è adeguatamente infrastrutturato, solo se c’è omogeneità nell’intero sistema trasportistico e ancora una volta ci siamo accorti, proprio in questi ultimi dieci mesi che nel Mezzogiorno le uniche opere infrastrutturali programmate e progettate erano quelle della Legge 443/2001 (Legge Obiettivo) e fortunatamente si sono finite opere essenziali come l’autostrada Salerno – Reggio Calabria, l’autostrada Palermo – Messina, l’autostrada Catania – Siracusa, la metropolitana di Napoli; sono in parte avviate tante altre opere sempre della Legge Obiettivo ma, come più volte denunciato nei miei blog, dal 2014 tutto con un avanzamento “tartaruga” scoraggiante.

Cosa significa tutto questo: se davvero la offerta infrastrutturale che garantisce la mobilità delle persone e delle merci è il riferimento chiave per la crescita o per la decrescita dobbiamo avere il coraggio di ribadire che i Governi che si sono succeduti dal 2014 ad oggi hanno praticamente scelto come ambito per il Mezzogiorno proprio la decrescita altrimenti: avrebbero dato concretamente attuazione ad opere già avviate dalla Legge Obiettivo come la Agrigento – Caltanissetta, come la Palermo –Agrigento, come la Ragusa – Catania, come la rete ferroviaria ad alta velocità Palermo – Messina – Catania, come il sistema ferroviario Circumetnea, come il ponte sullo Stretto di Messina, come l’asse ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria, come la autostrada Caianello – Benevento (Telesina), come l’autostrada Molisana, come la Strada Statale 106 Ionica, come l’asse stradale Maglie – Santa Maria di Leuca, come il collegamento tra il porto di Napoli e la piastra logistica Nola – Marcianise, come il collegamento tra la autostrada A1 e il porto di Bari, come il completamento della metropolitana di Napoli.

Tutto questo non è avvenuto e, alla luce di quanto abbiamo capito dalla esperienza vissuta con la pandemia, questa scelta non ha colpito solo il mondo delle costruzioni, questa scelta irresponsabile ha ulteriormente distrutto le potenzialità del Mezzogiorno d’Italia. In sei anni avremmo potuto investire nel Mezzogiorno oltre 35 miliardi tutti disponibili da Fondi PON e POR e TEN, e non lo abbiamo fatto; oggi avremmo potuto utilizzare il Recovery Fund per nuovi investimenti e invece forse tenteremo di utilizzarne solo una parte. Ma ripeto questo comportamento davvero irresponsabile non ha messo in crisi un settore ma ha compromesso la crescita dell’intero Mezzogiorno.

Se il Ministro Provenzano, davvero innamorato come me del Sud, volesse riaccendere la speranza per una possibile crescita del Mezzogiorno dovrebbe come prima ed unica azione dare attuazione a quelle opere pronte e o bloccate o avviate lentamente da me prima elencate; il Ministro Provenzano sa bene che il Sud in questo momento non ha bisogno di Piani, ha bisogno di opere concrete, ha bisogno di cantieri, ha bisogno di una offerta infrastrutturale che le altre realtà territoriali del Paese hanno già o hanno in corso di realizzazione.


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