Il ministro Roberto Cingolani
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SUL tavolo del ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, tre mesi fa era finito un dossier di Cdp in cui si descrivevano punto per punto le debolezze del sistema idrico italiano e quali sarebbero state le conseguenze se non si correva ai ripari. Ma già un anno prima, nel marzo del 2021, uno studio dettagliato di Legambiente aveva anticipato il rischio siccità e quali sarebbero stati gli scenari.
Mario Tozzi, ricercatore del Cnr e geologo, uno che non te la manda a dire e che dice pane al pane e vino al vino, è trasalito: «Parlare ora di emergenza e di stato di calamità è osceno, era tutto ampiamente previsto: uno di questi giorni dovrò andare da Zingaretti e spiegarglielo» ha dichiarato ieri l’altro a una Radio privata romana.
Lo citiamo perché più di altri il professore ha messo il dito nella piaga. «Stimo Cingolani, ma di ambiente, fatemi dire, ci capisce molto poco…». L’emergenza è un concetto largo. Ma solo da noi si trasforma in normalità. È la condizione in cui si fa dopo tutto quello che si poteva fare prima. Ed ecco allora che, anziché raccogliere l’acqua nella stagione delle piogge, si varano misure drastiche.
LOCOMOTIVA A SECCO
Da ieri il presidente della regione Lombardia ha dichiarato lo stato di emergenza. Ci resterà fino al 30 settembre a causa del deficit idrico che sta interessando l’intero territorio. Che la grande sete parta dalla “locomotiva d’Italia” è poco meno di un ossimoro.
Tanto più che il Veneto, per altri versi esempio di virtuosismo industriale, versa più o meno nelle stesse condizioni. Così se a Piacenza, uno dei Comuni più colpiti del bacino del Po, da lunedì e fino al prossimo 21 settembre sarà vietato usare l’acqua potabile per uso extra-domestico, ovvero per innaffiare orti, giardini e auto dalle 8 alle 21, a Padova, il sindaco Sergio Giordani ha dato un bel giro di vite – in senso letterale – ai rubinetti vietando l’uso dell’acqua potabile financo alle fontane ornamentali e alle vasche da giardino «che non abbiano sistemi di riciclo» o per motivi che non siano legati «al consumo umano o ad esigenze di igiene e sanitarie». Fontana, per evitare che ogni sindaco vada a ramengo e indichi una propria strada, ha predisposto uno schema di ordinanza con tutte le indicazioni utili per risparmiare acqua e ha raccomandato ai bacini idrografici di utilizzare le utenze irrigue concessionarie con parsimonia.
Campagne di sensibilizzazione sono partite a raffica, trasmissione dati, controllo consumi con cadenza settimanale. Siamo passati dall’immobilismo e dagli sprechi alle misure estreme. Misure che forse si potevano prendere prima. Il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio è tempestato di telefonate. Il Grande caldo, la canicola ha preso insomma alla sprovvista i governatori. Alla vigilia del Solleone di luglio nessuno si aspettava temperatura così torride.
UNA RETE IDRICA CHE FA ACQUA OVUNQUE
Curcio è in contatto costante con il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli. L’accordo preso giovedì scorso dal coordinamento Mipaaf, prevede la proclamazione dello «stato di eccezionale avversità atmosferica» quando nei raccolti si riportino danni superiori al 30%. Per le casse dello Stato sarà il solito bagno di sangue: solo in Piemonte sono 250 i Comuni alle prese con la siccità e ogni sindaco ha fatto la sua ordinanza restrittiva. E a cascata si rifletterà sui prezzi sugli scaffali dei supermercati.
Il rapporto di Cassa depositi e prestiti parla chiaro. La rete idrica nazionale fa acqua da tutte le parti. Se a questo aggiungiamo l’impatto dei cambiamenti climatici sull’ambiente ecco la situazione attuale, la grande sete di un Paese che trae dal sottosuolo una grande ricchezza idrica. Servono investimenti, si diceva 10 anni fa. Servono investimenti si dice anche oggi. Non è cambiato nulla. Nel biennio 2020-2021 – si legge nel dossier Blue book 2022, monografia completa del sistema idrico italiano – si stimano investimenti di 49 euro per abitante contro una media europea di 100. Eravamo e siamo specialisti nel genere “calamità naturali”, dove per naturali s’intende incapacità di prevenire qualsiasi accidente, compresi gli eventi annunciati sul calendario di Frate Indovino.
All’edizione 2022 del “Quaderno blu” ha collaborato anche l’Istat con un’analisi particolareggiata delle risorse idriche e soffermandosi in particolare sulla tutela di questo “giacimento” di cui sottovalutiamo da decenni il valore.
CONSUMIAMO 370 LITRI DI ACQUA AL GIORNO
Nel 2020 i gestori di acquedotti e impianti idrici hanno immesso nelle reti di distribuzione dei 109 Comuni capoluogo di provincia e città metropolitane, dove risiede il 30 per cento della popolazione, 2,4 miliardi di metri cubi di acqua, ovvero l’equivalente di 370 litri per abitante al giorno.
Ciononostante, malgrado il largo consumo che facciamo di questo bene indispensabile, paghiamo poco rispetto ad altri utenti europei, mentre l’agricoltura langue. In queste ore gli allarmi degli allevatori e della Coldiretti si ripetono. Nulla o quasi, però, è stato fatto per utilizzare le acque dei depuratori per irrigare i campi, cosa che non comporta alcun rischio dal punto di vista ambientale.
I nostri geologi ripetono un giorno sì e l’altro pure che la coltura intensiva del mais è quanto di più idrovoro ci possa essere. Oltretutto il mais viene utilizzato al posto del foraggio, trasformando gli erbivori in onnivori. Una lenta trasmutazione di specie, che vuol dire intestini e cibo alterato che arriva sulle nostre tavole. Sempre a proposito di depurazione, si noti che il 73% delle procedure di infrazione si concentra nel Mezzogiorno, dove il servizio è gestito in larga parte dai Comuni. Che vuol dire governance locali, piccoli feudi, poltroncine, a volte solo predellini per accontentare l’amministratore e il politico di turno.
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