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NEL centro-sud i cittadini pagano una Tari più salata perché mancano gli impianti. Il settore dei rifiuti in Italia sta affrontando una serie di importanti riforme strutturali, ma restano ancora numerose difficoltà da superare, soprattutto in termini di abbattimento dei tempi e snellimento delle procedure autorizzative, di accettazione sociale e governance locale: tutto ciò al fine di attivare gli investimenti necessari a colmare il fabbisogno impiantistico e di superare la frammentazione gestionale.
Questa la fotografia scattata dal Green Book 2022, il rapporto annuale sul settore dei rifiuti urbani in Italia – promosso da Utilitalia e curato dalla Fondazione Utilitatis – realizzato quest’anno in collaborazione con l’L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra). Lo studio mette in risalto come in Italia la produzione di rifiuti urbani e assimilati nel 2020 sia ammontata a circa 29 milioni di tonnellate, in calo rispetto al 2019 a causa dell’emergenza pandemica che, per effetto della chiusura di numerosi esercizi commerciali, ha determinato una diminuzione di oltre 1 milione di tonnellate.
Il conferimento in discarica è stimato al 20 per cento, un valore leggermente migliore rispetto alla media europea del 23 per cento. Resta ancora importante il deficit impiantistico al Centro-Sud, dove i quantitativi di rifiuti raccolti superano quelli trattati, e dove il ricorso alla discarica rimane ancora la principale destinazione (oltre il 60% per il rifiuto urbano residuo).
DIFFERENZE TERRITORIALI E DI COSTI
Mettendo in relazione i quantitativi raccolti e avviati agli impianti di trattamento in ciascuna area geografica per la frazione organica, è evidente la profonda differenza tra le ripartizioni geografiche sia a livello di quantitativi trattati, sia a livello di tipologia di trattamento effettuata. Nelle aree geografiche del Centro e del Sud, infatti, la frazione organica viene infatti avviata prevalentemente a impianti di compostaggio (rispettivamente 78% e 82% dei quantitativi trattati) mentre nell’area del Nord a impianti integrati di trattamento aerobico e anaerobico (il 59% dei quantitativi trattati).
Passando ad analizzare i numeri relativi al rifiuto urbano residuo (Rur) raccolto e trattato, bisogna evidenziare l’alta quota di Rur avviata in discarica nelle ripartizioni Centro e Sud, che, in entrambi i casi, supera abbondantemente il 50% del totale (rispettivamente 70% e 63%). Il Settentrione, al contrario, mostra una bassa quota di conferimento in discarica e un altissimo ricorso al recupero energetico (incenerimento) proveniente dalla Rur (93%). I costi del servizio variano in base alla distribuzione territoriale. Per una famiglia tipo (3 componenti in un’abitazione di 100 metri quadrati) nel 2021 la spesa per il servizio è stata pari a 318 euro, con forti differenze tra le aree del Paese: 282 euro al Nord, 334 euro al Centro, 359 euro al Sud.
Differenze che si sono conservate lungo un arco temporale di 8 anni (2014-2021): al Nord la spesa si è mantenuta mediamente pari a 272 euro, al Centro si è ridotta da 336 euro a 329 euro, mentre al Sud è passata da 360 a 356 euro. La principale causa della spesa più alta per le famiglie del Centro-Sud è relativa ai costi sostenuti per il trasporto dei rifiuti fuori Regione, per effetto di un assetto impiantistico non adeguato, come era già emerso da una precedente analisi della Corte dei Conti. La regolazione, che nel settore rifiuti è stata introdotta nel 2018, ha avviato il secondo periodo regolatorio (MTR2) che completa lo scenario con la definizione dei criteri per le tariffe di accesso agli impianti di trattamento e smaltimento e con l’emanazione del testo unico per la regolazione della qualità del servizio di gestione dei rifiuti urbani (TQRIF).
Si configura un quadro unico tra qualità ambientale del servizio, qualità contrattuale e qualità tecnica. Una prima stima della Fondazione Utilitatis fissa tra i 10,3 e i 12,6 miliardi di euro le entrate tariffarie del servizio integrato di igiene ambientale assoggettate a regolazione.
L’IMPORTANZA DEL PNRR
In quest’ottica, dal Pnrr può nascere un’opportunità soprattutto con l’ambito di intervento n.1, orientato a “migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma dell’economia circolare” (dotazione finanziaria di 2,1 miliardi di euro) e n. 3 dedicato a “sviluppare progetti integrati” (dotazione finanziaria di 370 milioni di euro), contenuti nella componente del piano M2C1, dedicata all’economia circolare e agricoltura sostenibile. Gli investimenti contenuti in questa componente del Prrr mirano a incentivare la circolarità delle risorse e, nello specifico, a migliorare i sistemi di raccolta e gestione dei rifiuti in tutto il territorio nazionale, contribuendo a ridurre quel service divide che separa il territorio italiano.
IL FATTURATO
Il comparto ha fatto registrare un fatturato di oltre 13 miliardi di euro (in linea con i valori 2018) circa lo 0,8% del Pil, in gran parte determinato dalla tariffa rifiuti, e un numero di addetti diretti che supera le 95mila unità (1,6% del comparto industria). Tale ammontare è realizzato prevalentemente da aziende di grandi dimensioni che in termini numerici risultano in minoranza, mentre prevalgono le aziende di piccole dimensioni. In termini dimensionali il 51% dei gestori registra un fatturato inferiore a 10 milioni di euro annui, mentre il 3% degli operatori ha un fatturato superiore a 100 milioni di euro, corrispondente al 37% del fatturato di settore.
A livello comunitario, secondo Eurostat, nel 2019 si è registrato un volume della produzione pari a circa 167 miliardi di euro. Come annunciato nel Piano d’Azione per l’Economia Circolare, la Commissione Europea ha presentato a marzo 2022 un pacchetto di proposte ad attuazione del Green Deal Europeo; le misure aggiuntive, oltre a prevedere il raggiungimento di un’economia completamente circolare entro il 2050, sono mirate a promuovere modelli imprenditoriali circolari e responsabilizzare i consumatori nella transizione verde. Saranno quindi necessari ulteriori investimenti nei prossimi anni, per raggiungere gli obiettivi di raccolta e riciclaggio dei rifiuti solidi urbani (65 per cento di riciclaggio effettivo e ricorso alla discarica non superiore al 10 per cento dei rifiuti urbani prodotti).
In particolare, come indicato in uno studio della Commissione Europea (2019), si stima che gli investimenti necessari dal 2020 al 2035 per raggiungere i target previsti ammontino a 31,5 miliardi di euro, con una spesa media annua di 2,1 miliardi di euro. In quest’ottica, il Pnrr rappresenta un’opportunità per gli investimenti che mirano a incentivare la circolarità delle risorse e, nello specifico, a migliorare i sistemi di raccolta e gestione dei rifiuti in tutto il territorio nazionale, per i quali sono stati stanziati 2,5 miliardi di euro. Sul fronte gestionale, il settore si caratterizza per l’elevata dispersione sia orizzontale, con un elevato numero di operatori, sia verticale, con la presenza di numerosi gestori specializzati nelle fasi a monte o a valle della filiera. Sono dunque pochi i grandi operatori in grado di assicurare la chiusura del ciclo. Il numero di aziende attive nel settore dei rifiuti supera le 650 unità (escluse le gestioni in economia): il 52 per cento è specializzato nelle fasi di raccolta e trasporto, il 20 per cento è operativo sia nelle fasi di raccolta sia nella gestione diretta di uno o più impianti di recupero e smaltimento, mentre il restante 28 per cento è specializzato nella gestione impiantistica.
Nel settore, molti enti locali gestiscono in economia il servizio: secondo i recenti dati pubblicati da Arera, i Comuni attivi in una o più fasi del servizio sono più di 6.300, per un totale complessivo (tra aziende e enti locali) di 7.253 soggetti attivi nel comparto; il 70 per cento di questi dichiara di svolgere soltanto un’attività (per gli enti locali tipicamente la riscossione della Tari), mentre il ciclo integrato è svolto solo dal 2,4 per cento dei soggetti.La sezione curata da Ispra fornisce informazioni aggiornate relative ai flussi transfrontalieri di rifiuti urbani e speciali per il biennio 2019-2020. Nel 2020 sono state esportate oltre 4,2 milioni di tonnellate di rifiuti (4,4 milioni nel 2019) a fronte di un’importazione di circa 7 milioni di tonnellate (nel 2019 erano 7,2 milioni). Tra i rifiuti urbani esportati, molti sono quelli prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti urbani, mentre tra i rifiuti urbani importati, le principali categorie sono rappresentate da vetro e plastica.
GERMANIA “ACCOGLIENTE”
La Germania è il Paese che riceve la maggiore quantità di rifiuti italiani (20,5% delle esportazioni) e che ne invia in Italia il quantitativo più rilevante (29% delle importazioni). Dall’analisi di Ispra si evince che i rifiuti urbani importati in Italia sono destinati totalmente al recupero di materia, per alimentare l’industria manifatturiera nazionale, mentre oltre il 36% di quelli esportati è destinato a recupero energetico, ad ulteriore conferma del deficit impiantistico che affligge il paese.
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