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Dopo aver trovato la quadra nella prima giornata su biodiversità e tutela del capitale naturale, ieri il G20 di Napoli ha avuto momenti di tensione e spaccature.
Soltanto nel tardo pomeriggio è scattato l’applauso dei presenti con l’ok della Cina all’accordo finale di questa seconda e ultima giornata del G20. L’opposizione più dura a una posizione condivisa su energia e clima è venuta però dall’India, paese emergente che dipende dagli idrocarburi per la sua crescita economica.
Ma il via libera della Cina al documento finale ha permesso di superare anche le resistenze indiane. È stata una giornata difficile per palazzo Reale, come ha sostenuto il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
“È stata una negoziazione particolarmente complessa durata dopo due notti e due giorni, con i team che lavorano sulle linee guida – ha spiegato in conferenza stampa – Questa notte non c’era molto ottimismo poi invece siamo riusciti a trovare un accordo sul comunicato: proposto 60 articoli, ne sono stati condivisi 58. Abbiamo cambiato programma oggi per cercare di trovare un’intesa e abbiamo incontrato tutti i ministri del G20, cambiato tavole rotonde per discutere su punti critici”.
L’inviato Usa sul clima John Kerry e il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, hanno a lungo lavorato insieme alla bozza del negoziato sul clima per la seconda giornata del G20 di Napoli. L’accelerata sul clima non è però riuscita ai due che volevano convincere i venti Grandi ad alzare l’asticella rispetto all’Accordo di Parigi. L’obiettivo era farli impegnare a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi al 2030 (Parigi prevede 2, senza una data precisa) e a chiudere tutte le centrali a carbone al 2025. Ma Cina e India si sono opposti, e l’accelerata non è passata.
O meglio, è stata rinviata al G20 dei capi di stato e di governo del 30 e 31 ottobre a Roma: decideranno loro se darla o meno. Rispetto a giovedì quando sulla tutela degli ecosistemi e della biodiversità si era raggiunto una intesa senza grandi difficoltà, nella giornata di ieri la trattativa era tutta in salita. Usa, Europa, Giappone e Canada, ricchi di capitali e di tecnologie, vogliono accelerare sul taglio delle emissioni, anche rispetto all’Accordo di Parigi. Ma Cina e India restano ferme sulle loro posizioni: hanno bisogno delle fonti fossili a buon mercato per alimentare la loro crescita. Gli sherpa negoziavano su un possibile accordo dal febbraio.
A Napoli, le delegazioni hanno trattato due giorni e due notti di seguito. Kerry e Cingolani già giovedì avevano stretto un patto di ferro: riuscire a portare tutti i Grandi sulle nostre posizioni, riscaldamento sotto 1,5 gradi al 2030 e via il carbone al 2025. Per i tecnici statunitensi, solo con una accelerata alla decarbonizzazione in questo decennio si può davvero rispettare l’Accordo di Parigi. Se si va gradualmente, si finisce per sforare anche i 2 gradi.
Nella giornata di ieri l’inviato della superpotenza globale e il padrone di casa italiano si sono confrontati singolarmente con i delegati per strappare un sì. Dopo pranzo, Cingolani, ha mandato fuori i tecnici e ha convocato tutti i ministri: la decisione doveva essere politica. Ma Cina e India si sono messi di traverso. I delegati dei due Paesi hanno chiamato i loro Ministeri dell’Economia per sapere se potevano scendere a un compromesso.
Ma da Pechino e New Delhi è arrivato il no: va bene impegnarsi a rispettare l’accordo di Parigi, ma legarci a 1,5 gradi al 2030 è troppo costoso per le nostre economie. «Al G20 Ambiente volevamo essere più ambiziosi sulla decarbonizzazione, ma oltre non si poteva andare – ha spiegato alla fine Cingolani -. Così, i due punti li abbiamo rinviati al G20 dei Capi di Stato». Il ministro si dice comunque soddisfatto dei risultati ottenuti: «Abbiamo raggiunto l’accordo su 58 punti del documento finale. Era la prima volta che a un G20 clima ed energia venivano trattati assieme. Abbiamo concordato sull’accelerazione del passaggio alle energie pulite in questa decade, sull’allineamento dei flussi finanziari agli impegni dell’Accordo di Parigi, sull’adattamento e la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, sugli strumenti di finanza verde, sulla condivisione delle migliori pratiche tecnologiche, sul ruolo di ricerca e sviluppo, sulle città intelligenti e resilienti. Sono stati approvati due documenti della Presidenza italiana sulle smart city e le comunità energetiche e sulle rinnovabili offshore, e due allegati sulla povertà energetica e sulla sicurezza energetica».
Soprattutto, ha spiegato il ministro, «non c’è nessuno dei G20 che abbia messo in dubbio l’Accordo di Parigi – Tutti hanno detto che vogliono rispettarlo. Quattro mesi fa diversi Paesi non volevano neppure sentire parlare di certi argomenti, ora hanno firmato. C’è stata una maturazione culturale. Non a caso, i lavori si sono aperti con le condoglianze ai delegati di Germania e Olanda per le vittime delle alluvioni».
“Tutti i Paesi del G20 hanno confermato l’impegno a contenere il riscaldamento globale bel al di sotto dei due gradi e, per farlo, a proseguire lungo la strada della transizione ecologica. Un grande lavoro di negoziato condotto sotto la regia della presidenza italiana ha consentito di siglare un documento importante per tutti i cittadini del mondo: l’obiettivo dei governi è quello di lasciare ai nostri figli un pianeta più vivibile e migliore di quello che abbiamo trovato, di promuovere uno sviluppo che – da ciascuna parte del mondo – sia sempre più ambientalmente sostenibile. Bisogna arrivare a questo obbiettivo non rinunciando al progresso, ma, al contrario, sfruttando tutte le possibilità offerte dalla tecnologia”. A sostenerlo è Vannia Gava, sottosegretario alla Transizione ecologica e capo dipartimento ambiente della Lega.
MARCEGAGLIA: SERVONO 90 MILIARDI
«Quella su clima e energia è una sfida epocale che va affrontata attraverso un dialogo e una collaborazione inclusivi, seguendo un approccio pragmatico, ma non ideologico che consenta il raggiungimento degli obiettivi senza penalizzare le imprese e i Paesi che, come l’Italia, hanno già fatto molto per accelerare la transizione energetica e ambientale. Saranno necessari circa 90mila miliardi di investimenti globali entro il 2050». È l’analisi di Emma Marcegaglia, presidente del B20, il principale engagement group del G20, espressione del mondo delle imprese a livello globale, intervenendo alla conferenza ministeriale G20 a Palazzo Reale.
«Nei prossimi dieci anni ne serviranno oltre 3.500 miliardi in Europa, di cui oltre 650 in Italia» ,ha aggiunto, sottolineando che «la transizione verso l’energia pulita può essere perseguita soltanto utilizzando tutte le opzioni tecnologiche a disposizione, adottando a livello internazionale efficaci meccanismi di determinazione del prezzo del carbonio, garantendo un level playing field ambientale non distorsivo e in grado di promuovere i settori della green economy potenziando i processi circolari e facendo leva sulla finanza sostenibile, attraendo e supportando gli investimenti».
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