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L’ESCLUSIONE non nasce oggi. Nemmeno per la scuola. E non dipende dal distanziamento sociale imposto dal virus, che d’altronde ha messo sotto la lente d’ingrandimento povertà e diseguaglianze di ogni tipo, innanzitutto regionali. Prendiamo la didattica a distanza. Quella contro la quale si è svolta la protesta in diverse città italiane – nel rispetto delle normative anti-Covid – di docenti, dirigenti scolastici, lavoratori della scuola, studenti e genitori per chiedere la riapertura delle scuole a settembre “in presenza e continuità”.

RISORSE DISTRATTE

Se del resto lo strumento digitale era forse l’unica soluzione per salvaguardare la salute degli studenti senza interrompere a metà anno scolastico le lezioni, gli esiti di questa scelta sono coerenti non solo con l’arretratezza dei territori più periferici del Paese – numerosi e documentati in modo ossessivo ma scientifico da istituti di ricerca e contabilità pubblica – ma soprattutto con l’abbandono cronico del Mezzogiorno riguardo infrastrutture e dotazioni tecnologiche. Non può quindi sorprendere , se non ignorando la colossale distrazione di risorse dal Sud al Nord d’Italia anche solo degli ultimi 10 anni, per oltre 60 miliardi l’anno, che in alcune scuole della Calabria e della Campania ancora più studenti restino tagliati fuori dalle lezioni, aggravando una dispersione ordinaria già preoccupante (quella per cui la legge però prevede almeno la denuncia nei confronti dei genitori degli alunni inadempienti all’obbligo scolastico e che il Miur documenta con cifre allarmanti).

DAD IN AFFANNO AL SUD

Secondo il sondaggio civico lanciato da Cittadinanzattiva dal 10 aprile al 6 maggio (al quale hanno risposto in 1.245, tra genitori, insegnanti e studenti) – se il 92% delle scuole ha attivato la didattica a distanza, per lo più con lezioni in diretta su varie piattaforme (85%) e una durata media a lezione fra i 40 e i 60 minuti (69%), il problema dell’esclusione è grave – soprattutto al Sud – per connessione inadeguata (48,5%), condivisione del dispositivo fra più fratelli o familiari e condizioni familiari difficili (33,5%), assenza di dispositivi (24,5%), assenza di connessione (16,4%). Qualche esempio. In una scuola di Cosenza, 20 alunni non seguono la DaD, 2 o 3 per classe in provincia di Catanzaro e di Reggio Calabria. Non si collega nemmeno il 20% di un istituto in provincia di Caserta ed il 50% di uno di Benevento. Sempre a Caserta, intere classi sono senza lezioni per assenza di connessione. In un liceo in provincia di Catania un alunno su cinque risulta assente, mentre in un Istituto di Cassino si segnala che più della metà delle classi non partecipa. Percentuali che oscillano tra il 30% ed il 50% di studenti non raggiunti dalla DaD anche per alcune classi della Capitale e per il 20% in una scuola di Latina. Assenze nella DaD registrate anche a Termoli ed a Campobasso.

Al Nord – e il dato, qui come altrove, dovrebbe far riflettere sull’importanza di riunificare lo sviluppo del Paese anche a vantaggio delle regioni fino ad oggi più “fortunate” – si chiede maggiore sicurezza e meno burocrazia. In un Istituto comprensivo di Milano non partecipano due alunni per classe e sono diversi gli studenti “assenti” anche in Veneto, in varie scuole in provincia di Vicenza. Disconnesso 1 alunno su 9 in un istituto di Fabriano. Numeri che hanno fatto discutere e che non sono piaciuti ad alcuni dirigenti scolastici (pochi, in realtà) – gli stessi che secondo il DPCM 8 marzo 2020 sono tenuti ad attivare, “per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza, avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità” – nonostante siano perfettamente in linea con quanto rilevato negli anni da Istat, Eurispes, Cnel, Ocse, Onu, oltre che da studenti e famiglie.

DAD E DISABILITA’

Ad essere penalizzati ancor di più sono i ragazzi più fragili, visto che dall’avvio delle lezioni a distanza un alunno con disabilità su tre è “sparito”(36%). In questo caso i dati emergono dalle risposte al questionario realizzato dall’Università di Bolzano, l’Università Lumsa, l’Università di Trento e Fondazione Agnelli. Secondo l’indagine, rivolta ai docenti ed alla quale hanno risposto in 3.170, seppure la didattica a distanza è stata attivata in oltre 9 classi su dieci (fra quelle dei docenti interpellati), gli alunni con disabilità sono “spariti” per l’inefficacia di questo strumento (26%) o perché le attività del piano educativo non erano utilizzabili a distanza. Solo nel 20% dei casi sono stati attivati percorsi di didattica a distanza individualizzata. Un docente su due dichiara di essere a conoscenza di famiglie con un figlio disabile che non partecipano alla didattica a distanza prevalentemente per motivi tecnici, legati alla strumentazione o alle competenze informatiche.

IL CASO DEI DISABILI

Il 20% degli insegnanti, poi, dichiara di non avere materiale utilizzabile con alunni disabili. Con il risultato di un peggioramento del comportamento (50%) che delle autonomie e della comunicazione (62%). Anche qui, il quadro poco incoraggiante deve tenere conto di due aspetti preesistenti, certificati dall’Istat a febbraio di quest’anno, riguardanti il Mezzogiorno e l’aumento del numero di alunni con disabilità (+10 mila) che frequentano le scuole italiane (284.000 in tutto, il 3,3% del totale degli iscritti): se in Italia la dotazione di postazioni informatiche è inadeguata per il 22% delle scuole, il livello di tale carenza diminuisce nelle scuole del Nord, dove la quota di scuole con postazioni in classe non sufficienti scende al 17%, e aumenta nel Centro e nel Mezzogiorno, dove sale rispettivamente al 23 e al 26%.

DIGITAL DEVICE

I provvedimenti del Governo – 85 milioni del “Cura Italia”, 80 milioni PON, voucher da 200 e 500 euro per le famiglie in difficoltà e 400 milioni per la banda ultralarga degli istituti – dovrebbero quindi ridurre disparità diffuse e molteplici, tenuto conto che di 8,4 milioni studenti italiani, secondo l’Istat, il 12,3% (pari a 850mila ragazzi) tra 6 e 17 anni non ha un computer/tablet in casa e nel Mezzogiorno la quota sale quasi al 20% (circa 470mila ragazzi). Secondo il ministero dell’Istruzione, la DaD è riuscita a raggiungere in emergenza più di 6,7 milioni di alunni, attraverso mezzi diversi, escludendone però 1,6 milioni, molti dei quali appunto al Sud. Ecco perché c’è da augurarsi che sia rispettato alla lettera il criterio di distribuzione delle risorse annunciato, che dovrebbe tener conto del numero di alunni dell’istituto (per il 30% del totale dell’importo), ma soprattutto dell’indicatore Ocse Escs (per il 70% del totale dell’importo), quello che consente di individuare le aree dove ci sono famiglie più bisognose e dove sono meno diffuse le dotazioni digitali.


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