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I Paesi sono due: per reddito-procapite, per tasso di povertà, per tasso di occupazione e disoccupazione, per occupazione in agricoltura, per export pro-capite, per addetti nell’industria, ed allora é bene che le istituzioni continuino a darci i dati medi, ma contemporaneamente quelli territorializzati.
Le statistiche dell’istat, per esempio, che riguardano i dati economici dell’Italia, rispecchiano perfettamente quelle di Trilussa, per cui c’è chi mangia un pollo e chi non ne mangia e però si comunica che ne mangiamo mezzo a testa.
Purtroppo questi sono dati finti. E possono essere distorcenti. Forse interessano poco. L’istat dia contemporaneamente anche i dati perlomeno per aggregazione territoriale, Nord, Centro e Sud.
Che senso ha dire che la disoccupazione è in media del 10%, se poi in una realtà c’è la quasi piena occupazione ed in una il 20%? Se in una lavora una persona su quattro ed in un’altra una su due?
In statistica ci hanno insegnato che la media ha poco senso se vicino non metti la variabilità. E che é cosa diversa dire che l’altezza media di una classe é di 175, se poi é formata da 10 giganti di 1.90 e da 10 nani da 1.30 rispetto a una che ha tutti i ragazzi da 1.70 a 1.80.
Bene oggi ci forniscono dati che alcune volte non ci fanno capire nulla e su quelli si imbastiscono riflessioni e commenti.
Si sta parlando per esempio di una ripresa consistente dopo la pandemia. Che l’occupazione aumenta con ritmi interessanti! Ma poco sappiamo in quale parte ciò avvenga. Nell’immaginario dovrebbe riguardare tutte le parti. Si comunica che il Pil sta crescendo! Ma dove e di quanto?
A parte gli incrementi percentuali che fanno capire poco considerati i diversissimi dati di partenza. Perché anche capire da dove si parte é importante. Cosa diversa é dire che si ha un incremento di occupazione, anche di poco, dove lavora una persona su due e quindi si parte da basi consistenti e dove invece una persona su quattro.
Il nostro Istituto di statistica, ma in generale tutti i fornitori di dati ufficiali, lavorano, alcune volte non sempre, come se il Paese fosse unitario come quello francese, ma noi siamo in una situazione completamente diversa, con un dualismo accentuato.
L’istituto di statistica potrà dire che spesso vengono diffusi anche dati territoriali e che rispetto a molti paesi europei l’abbondanza di tali dati non ha confronti, ed é vero. Ma spesso le cadenze delle due diffusioni sono diverse, per cui si genera una confusione, alcune volte forse voluta certamente strumentalizzata dai media, che dà dati nazionali abbastanza incoraggianti, senza mettere in evidenza che in realtà in alcune parti la situazione rimane estremamente complessa.
E poiché il nostro Paese non ha ben compreso l’entità della problematica/opportunità del Mezzogiorno, é bene che le istituzioni facciano un’operazione verità, che faccia comprendere a tutti la vera realtà.
Spesso infatti l’informazione ed i media, quando per esempio si parla di chiusura di attività di impresa nelle varie parti del paese, dimensionano i casi di crisi come se fossero analoghi.
Ed invece è bene sempre far notare che quando si chiude una fabbrica a Napoli é l’unico posto di lavoro che mantiene una famiglia che viene meno, mentre se lo stesso problema lo si ha a Reggio Emilia probabilmente è uno dei due lavori che viene perduto dalla famiglia.
Non che non sia grave lo stesso ma certamente lo è meno di quando non vi é più sostentamento.
Tale problematica dei dati medi viene vissuta anche a livello europeo.
Infatti per esempio quando si parla di avere diminuzione di tassazioni in un paese si pretende da parte dell’Unione che essa sia estesa a tutto il territorio nazionale.
Ma nel caso dell’Italia è proprio un fatto differenziale quello che serve, cioè che si diminuiscano i livelli di tassazione solo in quella parte che deve attrarre investimenti dall’esterno dell’area. Cuneo fiscale differenziato, tassazione degli utili di impresa in modo diverso, sono strumenti importanti per attrarre investimenti dall’esterno dell’area ma devono essere anche differenziati.
Non avrebbe senso che fossero uguali per il bergamasco, dove é necessario probabilmente sfoltire la base produttiva per diminuire l’inquinamento e contenere l’antropizzazione, e per la Provincia di Agrigento nella quale invece è necessario attrarre nuove aziende, visto che non vi é alcun tessuto produttivo.
La stessa problematica riguarda anche Banca d’italia, che per esempio per quanto attiene i tassi di interesse praticati per aree territoriali li fa derivare non da una rilevazione campionaria apposita ma da dati di risulta della centrale dei rischi, con una serie di distorsioni che rendono tali dati, estremamente importanti per calcolare il costo del denaro e la differenza esistente tra le varie aree, non affidabili in modo completo.
Non bisogna dimenticare mai che i paesi sono due e che le medie che lo riguardano rappresentano poco nulla se non affiancati dalla loro variabilità. Altrimenti la rappresentatività ed il contributo alla conoscenza dei dati diffusi sarà sempre meno rilevante.
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