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IN MATERIA di pensioni Mario Draghi ha ‘’rovesciato la prassi’’. In via ordinaria i governi  si confrontano prioritariamente con i sindacati, cercano con loro una intesa, poi ne sottopongono i contenuti all’esame e al voto del Parlamento che, se apporta delle modifiche, le fa in melius. Addirittura quando fu varata la riforma Dini-Treu nel 1995 (che rimane fondamentalmente la disciplina tuttora in vigore al lordo delle modifiche intervenute nel gioco a rimpiattino tra riforme e controriforme ), la base di confronto la presentarono le organizzazioni sindacali (la stessa che avevano estorto a Silvio Berlusconi dopo aver massacrato il suo primo governo  con gli scioperi dando il destro alla Lega del Senatur di sfilarsi dalla maggioranza che aveva vinto le elezioni del 1994). Alla fine del negoziato (in quell’occasione la pistola era puntata alla tempia del governo) il Parlamento sospese persino il voto finale in attesa dell’esito del referendum promosso da Cgil, Cisl e Uil (la Confindustria non sottoscrisse l’accordo con il governo).

Per non farla troppo lunga e arrivando a tempi più recenti, nel 2017, anche il ‘’pacchetto Ape’’ (e dintorni) venne negoziato dal governo Gentiloni con i sindacati e poi inserito nella manovra di bilancio. Con il governo giallo-verde i sindacati tennero la linea di ‘’non aderire né sabotare’’: in  fondo quota 100 e il blocco dei requisiti dell’anzianità ordinaria erano misure un po’ rozze ma strimpellavano la  musica sul loro stesso spartito: andare in pensione il prima possibile.

Non nascondiamoci dietro un dito: il pensionamento con 41 anni di anzianità a prescindere dall’età è la stessa palafitta su cui Salvini  insiste dal 2018. Ma non serve in questo caso mettersi a cercare se è nato prima l’uovo del leader del Carroccio  oppure la gallina di Landini e compagni di merende. Il fatto è che ora si va in pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi se uomini e un anno in meno se donne. Ma questi sono requisiti bloccati fino a tutto il 2026, quando dovrebbe riprendere l’aggancio automatico agli incrementi dell’attesa di vita.

A me pare che la richiesta più assurda della piattaforma sindacale sia quella di stabilire, come via alternativa ai 41 anni, la possibilità di accedere alla pensione a partire da 62 anni e 20 di contributi. Qualcuno in malafede potrebbe sostenere che questa possibilità è già prevista, a 63 anni con il medesimo montante di 20 anni,  per coloro che sono interamente nel sistema contributivo. La piccola differenza sta nell’aggiunta di un requisito di adeguatezza, nel senso che questa possibilità è condizionata dal disporre delle condizioni atte a garantire un trattamento pari ad almeno 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale (ai valori di oggi circa 1.500 euro al mese).  

È  evidente che, per la grande maggioranza di coloro che andranno in quiescenza col sistema misto, la proposta dei sindacati produce un unico effetto: abbassare di 5 anni (da 67 a 62) il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. Ha suscitato un piccolo retroscena il fatto che Draghi ad un certo punto si sia alzato e se ne sia andato con un breve arrivederci. La versione ufficiale è che avesse un precedente impegno, ma conoscendo l’ambiente, il premier deve essersi seccato per gli argomenti che i sindacalisti portano a sostegno delle loro tesi.

Facciamo degli esempi concreti. Se si fanno loro obiezioni sui costi (li ho sentiti con le mie orecchie) la versione politicamente corretta è la seguente: occorre separare la previdenza dell’assistenza, così il peso della prima sul Pil diminuisce. A parte il fatto che questa separazione è già avvenuta in due tranche nel 1989 e nel 1998 (per cui al massimo si potrà apportare quale modifica), ma i nostri dovrebbero compiere un ripasso delle regole della contabilità nazionale.  Se a suo tempo fu stabilito che quota 100 aveva un durata di tre anni (meno qualche mese per via della ‘’finestra’’ d’accesso) dal 2022 viene a mancare la copertura. Ma se non si torna subito – come prevede la legge – a quota 67, ma si inseriscono elementi di gradualità (una scelta opportuna sulla quale prima o poi la maggioranza troverà un accordo) è chiaro che deve essere prevista una copertura aggiuntiva, sempre che non si vadano a prelevare le risorse occorrenti dalla spesa assistenziale (notoriamente destinata a chi non ha i mezzi necessari per vivere).

Poi c’è la grande truffa con la quale i dirigenti sindacali cercano di strappare le lacrime dell’opinione pubblica. I giovani, onusti di precarietà, saltuarietà, lavori a termine, rapporti con partite Iva, condannati quindi ad una pensione molto modesta da anziani.  La richiesta è quella di una pensione garanzia – si dice – per i giovani, quando saranno anziani. E’ vero. Mentre nel sistema retributivo e misto è previsto un minimo legale ragguagliato al costo della vita, che integra la pensione a calcolo se non arriva a quell’importo (la fiscalità generale destina a questa operazione più di 20 miliardi ogni anno), nel sistema riformato dal governo Dini nel 1995, per coloro che sono interamente nel metodo contributivo, questo istituto non è previsto. E’ una mancanza a cui rimediare.

Ma i sindacati  dovrebbero preoccuparsi di un altro grave problema: saranno quei giovani – con una posizione particolare sul mercato del lavoro – che dovranno garantire in un sistema a ripartizione per almeno vent’anni la pensione di quelli che le confederazioni sindacali vorrebbero mandare in pensione a 62 anni.

Poi ci sono gli aspetti demografici. Quelli che i sindacati intendono tutelare con le loro proposte da pensionati appartengono a generazioni in cui nascevano un milione di bambini ogni anno. I contribuenti di domani apparteranno a coorti caratterizzati da meno di 4oomila nascite l’anno.

Basta far di conto per capire che i fenomeni della denatalità e dell’invecchiamento disegneranno una società con l’emblema di Enea che non porta sulle spalle solo il padre Anchise, ma anche lo zio paterno e il nonno materno. Mentre il piccolo Ascanio dovrà sobbarcarsi in più anche il padre Enea, da baby pensionato. Per questi motivi nelle arti figurative viene sempre rappresentato con lo sguardo inquieto.


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