Gesto d'intesa tra Landini e Draghi sotto lo sguardo di Sbarra
6 minuti per la letturaIL PRIMO ‘’vertice’’ della ripresa si è svolto sul tema della sicurezza del lavoro. Mario Draghi aveva inserito questo tema nei primi punti all’ordine del giorno nel corso del saluto informale con i giornalisti prima della pausa estiva.
«Poi ci sono tutti i problemi – aveva affermato il presidente – che riguardano il lavoro, in merito oggi c’è stata una riunione col ministro del Lavoro. Ma ce n’è uno in particolare che sta a cuore a tutti noi, a me certamente forse sta a cuore più di ogni altra cosa: è cercare di far qualcosa per migliorare quella che è una situazione inaccettabile sul piano della sicurezza del lavoro. In questa circostanza – ha ribadito Draghi – volevo anche rivolgere un pensiero commosso e affettuoso a tutti coloro che volevano bene a Laila El Harim, due mesi fa ricordo Luana D’Orazio e così via ogni giorno. È stato fatto molto su questo piano, ma occorre fare molto di più evidentemente».
Ieri le parti sociali si sono presentate “preparate’’: sia la Confindustria che i sindacati hanno predisposto ed illustrato dei documenti contenenti le loro proposte. Secondo l’associazione di viale dell’Astronomia la questione riguarda essenzialmente gli aspetti comportamentali e quello manutentivo delle attrezzature.
Il primo sollecita interventi formativi ed organizzativi (uso dei dispositivi personali di protezione, condotte in caso di situazioni rischiose, conoscenza delle conseguenze del mancato uso dei dispositivi di sicurezza o dell’uso errato delle attrezzature, rispetto delle indicazioni procedurali), il secondo richiede di porre attenzione al tema del rapporto uomo/macchina su più versanti (manutenzione adeguata, adozione corretta e non modificabilità dei requisiti di sicurezza, segregazione del macchinario rispetto al possibile contatto uomo/macchina).
Secondo la Confindustria nessun infortunio è frutto di casualità (ma esito di una o più situazioni di rischio preventivabili e quindi prevenibili) e che – salvo rarissime eccezioni – nessun infortunio è inevitabile (il che interpella il tema della chiarezza e semplicità delle regole comportamentali e tecniche). Più concrete le proposte dei sindacati che hanno segnalato l’esigenza di un miglioramento della governance attraverso un maggior coordinamento dei diversi organi competenti nel territorio. Sempre nel quadro della governance è stato proposta l’attivazione del Sinp (Sistema informativo nazionale sulla prevenzione), mentre sulla falsa riga del DURC (documento unico di regolarità contributiva) è stata rilanciata un’idea più volte illustrata da Maurizio Landini anche nei confronti pubblici: l’istituzione dei DUS (documento unico di sicurezza) che costituisca la “scatola nera’’ delle iniziative di formazione e prevenzione attuate a livello aziendale. Viene poi avanzata la proposta di estendere l’intervento dell’Inail a settori non protetti (come i riders). Senza dubbio sia sul piano culturale che pratico si tratta di proposte interessanti.
Ma anche chi volesse bendarsi e tapparsi le orecchie per non vedere e sentire non riuscirebbe a non notare un’assenza clamorosa: che fine hanno fatto i delegati alla sicurezza che dovrebbero rappresentare la prima linea nell’individuare e denunciare i pericoli e i rischi per la salute dei lavoratori? Le norme in materia di infortuni sul lavoro e le malattie professionali (dlgs n.81/2008 e successive modifiche) assegnano delle funzioni essenziali ai rappresentanti dei lavoratori in azienda o a livello del territorio.
Vi è un’intera Sezione (la VII) dove sono previste forme di consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori eleggibili in tutte le aziende anche se piccole. Per farla breve non si tratta di fare tappezzeria. I poteri di questi lavoratori sono effettivi; possono disporre senza perdere la retribuzione del tempo necessario per svolgere i loro compiti e soprattutto il rappresentante «può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro». Soprattutto chi è chiamato dagli altri lavoratori a svolgere tale funzione «non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali».
La prevenzione degli infortuni è necessariamente un impegno collettivo in qualunque organizzazione del lavoro. L’attenzione del compagno vicino – meglio se è stato eletto per svolgere questo compito – è un presidio più sicuro della ispezione periodica di un funzionario del Lavoro (anche se è corretto programmare nuove assunzioni di ispettori del lavoro). Poi sarebbe ora di rivedere un’impostazione sostanzialmente ideologica che risale all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale del 1978: la tutela unitaria della salute (prevenzione, cura e riabilitazione) che ha assegnato anche la problematica infortunistica alle ASL (per fortuna un referendum ha sottratto alle ASL le competenze in materia di ecologia). In precedenza l’Inail aveva una competenza esclusiva ed era dotato persino di proprie strutture ospedaliere (i c.d. traumatologici). È abbastanza comprensibile che nel personale delle ASL oberate dai problemi della sanità siano carenti le figure professionali in grado di intervenire sulla sicurezza dei macchinari e sull’organizzazione del lavoro.
Ma che l’ideologia faccia schermo alla realtà emerge dalla linea di condotta complessiva di cui sono protagonisti i sindacati. Prendiamo la guerra del ‘’green pass’’ combattuta sul fronte delle mense aziendali. Alla fine il governo è andato avanti per la sua strada e nessuno ha detto beo, salvo chiedere un prezzo calmierato per i tamponi, che sembrano essere divenuti l’ultimo residuo di libertà rimasto. Poi c’è questa ossessione per i licenziamenti. Che fiducia si può avere in organizzazioni sindacali che non hanno il polso effettivo di quanto accade nei posti di lavoro? Il 30 giugno il governo ha sbloccato i licenziamenti nell’industria (tranne il tessile) e nelle costruzioni e non è successo niente: non sono aumentati i licenziamenti né le domande di disoccupazione NASPI. È anche vero però che contemporaneamente è stata garantita la cassa integrazione gratuita (senza il pagamento del contributo di funzionamento che va dal 9 al 15% del monte salari) fino al 31 dicembre, per cui le aziende invece di licenziare ed andare incontro a lunghe vertenze hanno messo i lavoratori in cassa integrazione.
La cassa integrazione gratuita ha funzionato per evitare i licenziamenti tuttavia non si può sapere facilmente quanti la hanno usata per non licenziare e quanti ne hanno abusato invece per ridurre il costo del lavoro. A giugno (ultimo mese disponibile, ora probabilmente va meglio vista la ripresa economica) c’erano ancora 1 milione di lavoratori in cassa integrazione: un numero importante e ben superiore a quello del 2009. Di questi circa un terzo erano in cassa integrazione per un numero elevato di ore mensili e quindi si può pensare che altrimenti sarebbero stati licenziati, gli altri due terzi però potrebbero essere in cassa integrazione per altri motivi.
Il 31 ottobre è previsto lo sblocco dei licenziamenti nei servizi e contemporaneamente però è garantita la cassa integrazione gratuita sino a fine anno. I sindacati chiedono al governo di riesaminare il problema e di allineare il blocco con la scadenza della cig gratuita. Nessuno si pone il problema di tante aziende che, anziché licenziare, lamentano di non trovare manodopera. E non solo quella particolarmente qualificata, uscita dagli ITS (che non ci sono a sufficienza) ma neppure quella generica. Quando si fa notare questo intoppo i sindacati rispondono che i lavoratori sono pagati troppo poco. A parte che i contratti sono stipulati da loro, ma come campano coloro che si rifiutano di lavorare con remunerazioni da loro ritenute inadeguate? Oltre ai no vax, ci sono anche i no lav?
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