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Siamo in piena emergenza per quanto riguarda la sanità e si allarga la frattura Nord Sud: 4,5 milioni di italiani rinunciano a curarsi. Presentato in Senato il rapporto Gimbe
Un dato su tutti: 4 milioni e mezzo di italiani rinunciano a curarsi. Con una distanza tra Nord e Sud che ormai è una vera e propria frattura. A questo si aggiunge per l’Italia un gap complessivo di oltre 52 miliardi, in quanto a spesa sanitaria pubblica, rispetto all’area Ocse, pari ad una differenza di 889 euro pro capite. Questo e molto altro emerge dal 7° Rapporto Gimbe sul SSN, presentato ieri in Senato, che fotografa la vera e propria emergenza del Paese, anche rispetto al personale sanitario, alla spesa privata che le famiglie sono costrette a sostenere – ove possibile – per curarsi (+10,3%) e alla mancata realizzazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEA) nel Mezzogiorno che l’autonomia differenziata non farà altro che aggravare.
La tenuta del Sistema Sanitario Nazionale è prossima al punto di non ritorno
Dati che, secondo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – «dimostrano che la tenuta del SSN è prossima al punto di non ritorno, che i princìpi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza sono stati ormai traditi e che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate».
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella non ha voluto far mancare la sua voce: «Il Rapporto che la Fondazione GIMBE pubblica periodicamente rappresenta un prezioso spaccato di analisi sulle condizioni e i problemi della sanità in Italia. L’edizione di quest’anno, dedicata alle criticità del sistema sanitario, acquisisce un interesse particolare, ponendosi come sollecitazione all’applicazione dei principi di universalità e uguaglianza sanciti dalla Costituzione.
Il Servizio Sanitario Nazionale costituisce, infatti, una risorsa preziosa ed è pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La sua efficienza è frutto, naturalmente, delle risorse dedicate e dei modelli organizzativi applicati, responsabilità, quest’ultima, affidata alle Regioni. Per garantire livelli sempre più elevati di qualità nella prevenzione, nella cura e nell’assistenza, è necessaria la costante adozione di misure sinergiche da parte di tutti gli attori coinvolti».
IL SISTEMA ITALIA
Sul versante sanità si è assistito negli ultimi 15 anni ad uno sistematico definanziamento da parte di tutti i Governi, «che hanno scelto di ridurre il perimetro della tutela pubblica per aumentare i sussidi individuali, con l’obiettivo di mantenere il consenso elettorale, ignorando deliberatamente che qualche decina di euro in più in busta paga non compensano certo le centinaia di euro da sborsare per un accertamento diagnostico o una visita specialistica». Il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) dal 2010 al 2024 è aumentato di 28,4 miliardi di euro, in media 2 miliardi di euro per anno, ma con trend molto diversi. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019), alla sanità pubblica sottratti oltre 37 miliardi tra “tagli” per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati.
Negli anni 2020-2022 il FSN è aumentato di ben 11,6 miliardi, una cifra tuttavia interamente assorbita dai costi della pandemia COVID-19, che non ha permesso un rafforzamento strutturale del SSN né consentito alle Regioni di mantenere in ordine i bilanci. Per gli anni 2023-2024 il FSN è aumentato di 8.653 milioni: tuttavia, nel 2023 1.400 milioni sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni sono destinati ai doverosi rinnovi contrattuali del personale. E secondo il Piano Strutturale di Bilancio deliberato lo scorso 27 settembre in Consiglio dei Ministri, il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027. «Questi dati – sottolinea Cartabellotta – confermano il continuo e progressivo definanziamento del SSN che non tiene conto dell’emergenza sanità e prosegue ostinatamente nella stessa direzione dei Governi precedenti».
FAMIGLIE, PREVENZIONE, PERSONALE MEDICO
Rispetto al 2022, nel 2023 i dati ISTAT documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale (+ 4.286 milioni) è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (+3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+553 milioni), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica (-73 milioni).
Le spese a carico delle famiglie
La spesa out-of-pocket – ovvero quella pagata direttamente dai cittadini – che nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+ 5.326 in 10 anni), nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+ 3.806 milioni) in un solo anno.
Sempre secondo l’Istat nel 2023 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi), problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo). E per motivi economici nel 2023 hanno rinunciato alle cure quasi 2,5 milioni di persone (4,2% della popolazione), quasi 600.000 in più dell’anno precedente.
Ridotti i servizi di prevenzione
Rispetto al 2022, nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben 1.933 milioni (-18,6%), – il solo 6% del finanziamento pubblico – con un aggravio nel tempo in termini di spesa e di salute.
Dal punto di vista del personale sanitario, i dati delle organizzazioni sindacali e di categoria documentano il progressivo abbandono del SSN: secondo la Fondazione ONAOSI, tra il 2019 e il 2022 il SSN ha perso oltre 11.000 medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato e ANAAO-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023.
La mancanza di medici
L’Italia dispone complessivamente di 4,2 medici ogni 1.000 abitanti, un dato superiore alla media OCSE (3,7), ma sta sperimentando il progressivo abbandono del SSN e carenze selettive: oltre ai medici di famiglia, alcune specialità mediche fondamentali non sono più attrattive per i giovani medici, che disertano le specializzazioni in medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare, medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia. Con 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media OCSE (9,8), collocandosi tra i paesi europei con il più basso rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4).
L’EMERGENZA MEZZOGIORNO
Proprio rispetto al Sud, vengono in primo piano i LEA, quelle prestazioni e quei servizi cioè che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini gratuitamente o dietro il pagamento di un ticket. Ebbene, nel 2022 – evidenzia il Rapporto Gimbe – solo 13 Regioni sono riuscite a rispettare gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aggravamento del già ampio divario Nord-Sud. Promosse (ma ultime della classifica) solo Puglia e Basilicata, con il resto del Mezzogiorno in crisi riguardo all’esigibilità stessa del diritto costituzionale della tutela della salute.
“L’autonomia differenziata affonderà la sanità del Mezzogiorno”
«A questo quadro si aggiunge la legge sull’autonomia differenziata – sottolinea Cartabellotta – che affonderà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, assestando il colpo di grazia al SSN e innescando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti che avrà conseguenze devastanti per milioni di persone». A conferma, il dato sulla mobilità sanitaria, che vede il Nord detenere una forte capacità di attrattiva e i cittadini del Sud costretti a spostarsi in cerca di cure migliori e più celeri. Nel decennio 2012-2021, infatti, le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo di 10,96 miliardi di euro, con un impoverimento economico non solo delle famiglie ma anche dei bilanci regionali già provati.
Le diseguaglianze tra aree geografiche del Paese tornano in tema di messa a terra del Pnrr. Qui, anche se al 30 giugno 2024 si sono raggiunti i target europei che condizionano il pagamento delle rate all’Italia, dal 4° Monitoraggio Agenas sul DM 77/2022 risultano dichiarati attivi dalle Regioni solo il 19% delle Case di Comunità (268 su 1.421), il 59% delle Centrali Operative Territoriali (362 su 611) e il 13% degli Ospedali di Comunità (56 su 429), con ritardi particolarmente marcati nel Mezzogiorno. Anche il target intermedio sulla percentuale di over 65 in assistenza domiciliare si è raggiunto a livello nazionale e in tutte le Regioni tranne che in tre Regioni del Sud, così come la terapia intensiva e sub-intensiva continua a penalizzare regioni come la Calabria.
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