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Le Regioni sono in difficoltà nel far quadrare i conti della sanità e quelle messe peggio sono quelle del Sud: la mancata copertura delle spese Covid da parte dello Stato, l’aumento dei costi energetici, il sottofinanziamento del fondo sanitario che danneggia proprio il Mezzogiorno nella sua ripartizione, il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei medici e le inefficienze (sì, perché ci sono anche quelle), hanno creato delle voragini nei bilanci.

E adesso è corsa affannosa a cercare sino all’ultimo centesimo per ripianare il deficit accumulato nel  2022: c’è chi riuscirà a mettere una pezza tramite le risorse proprie del bilancio autonomo, chi invece rischia di finire in Piano di rientro. Complessivamente, si calcola che mancherebbero all’appello 5,2 miliardi solo per i maggiori costi del Covid non ancora coperti e i rincari energetici.

Tutto questo senza considerare l’inflazione (circa +7%), il peso del rinnovo del contratto ai medici, e  lo sforamento per l’acquisto dei dispositivi medici.

IL CASO PUGLIA

La Puglia è tra le Regioni in difficoltà e non a caso è stato proprio il governatore Michele Emiliano, vicepresidente della Conferenza delle Regioni, a lanciare la “crociata” contro il governo Meloni. Nel 2022 nel bilancio sanitario pugliese  si è creato un “rosso” da 450 milioni (cifra simile a quella che si sarebbe generata  in Emilia Romagna) e c’è stato anche il rischio, sventato un paio di giorni fa, che si dovessero  aumentare le tasse, Irpef e Irap.

I maggiori costi, almeno in parte, sono effettivamente dovuti a fattori “esterni”: dal Covid all’aumento imprevisto di energia elettrica e gas, quindi non preventivabili. «I costi del Sistema sanitario regionale –  si legge in una delibera della Giunta pugliese – superano le risorse trasferite e incassate e il disavanzo per l’esercizio 2022 si dovrebbe attestare a circa 450 milioni di euro».

Il maggiore finanziamento dal fondo sanitario nazionale per la Puglia è stato nel 2022 di 260 milioni ma, allo stesso tempo, le Asl e la Regione hanno dovuto sopportare costi aggiuntivi pari a 710 milioni.

Quali sono questi costi? Sono elencati nella delibera: per esempio, 110 milioni di costi energetici, 50 milioni costi Covid non coperti da finanziamenti specifici, 105  per il rinnovo del contratto collettivo nazionale, 100  per la stabilizzazione del personale impegnato nell’emergenza Covid.

L’ATTACCO DI EMILIANO

Emiliano attacca a testa bassa il governo, a tutto campo: «Il rosso nel bilancio sanitario pugliese non è un buco – specifica il governatore – ma è la conseguenza dell’aumento dell’energia elettrica, dei soldi del Covid che il governo non ci ha dato e non ci ha dato l’aumento fisiologico del fondo sanitario. Noi riusciremo a parare il buco, perché siamo bravissimi, senza alzare le tasse».

«Il deficit sarà coperto risparmiando – ha aggiunto – però risparmiare significa non fare alcune cose che avremmo potuto fare, se il governo avesse fatto la sua parte. Questo governo  sta bloccando i fondi europei, sta bloccando i fondi dell’Fsc, la rivoluzione pugliese si è fatta con i fondi europei e con l’Fsc. Se si bloccano queste fonti di finanziamento e le si trattengono al centro per completare il Pnrr sostanzialmente si fa un disastro perfetto».

Poi il governatore Emiliano ha rincarato la dose: «Il governo è allo  sfascio, hanno convocato un Consiglio dei ministri dove in sostanza hanno discusso per ore di come distribuire tre miliardi, perché quella è la somma di cui disponevano. E si immagini che tre miliardi sono il bilancio della Asl di Bari, cioè una somma irrilevante a livello nazionale».

Emiliano ha anche sottolineato che la distribuzione del fondo sanitario è iniquo e danneggia il Sud, ma questo è un dato ormai “storico” e acclarato, non certo legato all’attuale governo. Una situazione che si è incancrenita negli anni per colpa del criterio della spesa storica.

I DANNI DELLA SPESA STORICA

I numeri, certificati dalla Corte dei conti, parlano chiaro e sono a prova di smentita: dal 2012 al 2017, nella distribuzione del fondo, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%. Altrettante regioni del Sud, invece, già penalizzate perché beneficiarie di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno.

Tutto ciò significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato  944 milioni in più rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Ecco come è lievitato il divario tra le due aree del Paese, e oggi se ne pagano le conseguenze.

«Le politiche di finanziamento dei sistemi sanitari –  ha evidenziato la Corte dei conti – condizionano l’accessibilità alle cure, la qualità dei servizi e la stessa efficienza dell’organizzazione del sistema sanitario. Il tema del finanziamento del Servizio sanitario nazionale costituisce, dunque, momento fondamentale della problematica connessa alle esigenze di tutela della salute, in virtù dello stretto legame tra l’effettività di tale diritto, costituzionalmente garantito, e le risorse disponibili e investite per renderlo concreto e sostenibile».

Qualcosa dovrebbe cambiare nel riparto del fondo nazionale, visto che, dopo un lungo braccio di ferro tra Sud e Nord, in particolare tra Campania e Lombardia, le Regioni hanno trovato un accordo sui nuovi criteri che, almeno parzialmente, vanno a mitigare gli effetti nefasti dell’applicazione tout court della spesa storica.


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