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Sabino Cassese

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I “MITOLOGICI” Lep, Livelli essenziali delle prestazioni, sono un elemento fondamentale per la piena attuazione della riforma sull’autonomia differenziata: senza la loro definizione, attesa da oltre 20 anni, e la costruzione del relativo “armamentario” tecnico-finanziario – ovvero l’individuazione dei fabbisogni e costi standard – le materie che li prevedono non potranno essere oggetto delle intese tra Stato e Regioni, e quindi non potranno essere trasferite. Parliamo di sanità, istruzione, trasporto, assistenza sociale, materie su cui si misurano i diritti civili e sociali – che la Costituzione chiede siano garantiti a tutti i cittadini, dalle Alpi a Lampedusa – e da cui emerge il divario tra il Nord e il Sud. Una frattura nel Paese che si teme l’autonomia possa far diventare ancora più profonda. La riforma “promette” la determinazione dei Lep”, che tuttavia senza un’attuazione compiuta lascia la parità dei diritti dei cittadinanza sulla carta. Il disegno di legge delega per l’attuazione dell’autonomia messo a punto dal ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli, – che dovrebbe diventare legge all’inizio del 2024 – affida a una Cabina di regia il compito di stabilire i Lep, i costi e i fabbisogni standard.

A supportarlo in questa missione c’è un Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Clep), una “piccola Costituente” l’ha definita il ministro Calderoli, composta da 61 esperti e a presiederlo è stato chiamato Sabino Cassese, ex giudice della Corte Costituzionale, accademico e profondo conoscitore della “questione meridionale”. Quella che – è il timore diffuso – la riforma Calderoli potrebbe aggravare ulteriormente, attraverso – è l’accusa al governo rilanciata da più parti – un processo legislativo che relega il Parlamento ai margini. Cassese ridimensiona l’uno e l’altra. In un’intervista all’Adnkronos sottolinea l’esistenza di «una duplice esigenza, quella della diversificazione e quella dell’uniformità: occorre farle convivere, perché sono esigenze entrambe importanti».

«Quella della diversificazione – spiega l’ex giudice della Corte costituzionale – deriva dall’impostazione pluralistica della nostra Costituzione: se i padri costituenti non avessero voluto la differenziazione, non avrebbero introdotto le regioni. L’esistenza stessa delle regioni comporta un ordinamento differenziato. Dall’altra parte, i diritti civili e sociali dei cittadini devono essere garantiti in maniera uniforme, su tutto il territorio. Si tratta di conciliare, raggiungendo il giusto equilibrio, autogoverno delle collettività locali e tutela dei diritti fondamentali in modo che ogni collettività locale possa decidere in maniera autonoma, ma anche che tutti i cittadini possano vedersi garantiti diritti fondamentali, come, tra gli altri, quello all’istruzione e quello alla salute». Cassese, poi, esclude il rischio di un Parlamento esautorato: «Resterà dominus», afferma indicando tra i problemi ancora aperti solo quello relativo all’atto con il quale determinare i livelli essenziali delle prestazioni. A questo punto, c’è una norma costituzionale contenuta nell’articolo 116 terzo comma e ci sarà una legge, quella per cui il governo ha preso l’iniziativa, che, una volta approvata dal Parlamento, provvede all’attuazione della norma costituzionale. Quest’ultima prevede che possono essere attribuite con legge altre materie alle regioni che lo richiedono, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali e rispettando i principi di cui articolo 119. Quella legge – evidenzia – deve essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti dopo un’intesa tra lo Stato e la regione interessata. Quindi, una procedura complessa che mi pare assicuri tutte le necessarie garanzie. Come si evince dalla procedura che ho appena riassunto, il Parlamento – rimarca – è il ‘dominus’ della decisione e tutti gli altri organi sono strumentali rispetto al Parlamento».

Se in tanti vedono in contraddizione l’autonomia differenziata inseguita dalla Lega e il presidenzialismo su cui punta la premier Giorgia Meloni per garantire maggiore stabilità di governo, per Cassese sono riforme che derivano da esigenze diverse, ma collimanti». «In tutti gli ordinamenti moderni vi è una tensione verso una maggiore concentrazione di poteri al vertice, necessaria per poter dialogare in un mondo sempre più pieno di organizzazioni sovranazionali e globali; nello stesso tempo, un’altra tensione verso un maggiore conferimento di poteri alle collettività locali. I membri dell’assemblea costituente – dice – hanno visto chiaramente questa seconda esigenza, meno la prima, perché è emersa a pieno solo alla fine del secolo scorso». Accanto a Cassese, nel comitato dei saggi siedono nomi di spicco nelle istituzioni, nel campo amministrativo, accademico, del diritto costituzionale, europeo ed internazionale, dell’economia e della matematica: tra questi, Giuliano Amato, presidente emerito della Corte costituzionale; Pietro Curzio, presidente emerito della Corte Suprema di Cassazione; Alessandro Pajno, presidente emerito del Consiglio di Stato; Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia; Biagio Mazzotta, Ragioniere Generale dello Stato; Luciano Violante, presidente emerito della Camera dei deputati; Franco Bassanini, presidente della Fondazione per l’analisi, gli studi e le ricerche sulla riforma delle istituzioni democratiche e sull’innovazione nelle amministrazioni pubbliche – Astrid; Paola Severino, presidente della Scuola Nazionale dell’Amministrazione; Elena D’Orlando, presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard (Ctfs); Marco Stradiotto, responsabile per i rapporti con i committenti pubblici presso Soluzioni per il Sistema Economico – Sose Spa.

Non è mancato il commento sferzante del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. «Leggendo i nomi, si ritrovano personalità di indiscusso valore nel proprio campo di attività, che per la maggior parte dei designati ha poco a che fare con i Lep. In ogni caso, si tratta non di un gruppo di lavoro, ma di un “sinedrio”. E considerato il fatto che per riunire una commissione di concorso di cinque docenti universitari si impiegano in media tre mesi, è prevedibile che il nominato “sinedrio” potrà riunirsi in seduta plenaria ogni 10 anni, se va bene». Meglio sarebbe stato per il governatore affidare l’incarico all’Ufficio parlamentare di Bilancio, che, sostiene, «avrebbe garantito competenze più specifiche e operatività. Ma si è scelto il “sinedrio”. Noi ne accompagneremo comunque l’attività con animo solidale e con commossa partecipazione».


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