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LISTE di attesa, carenza nell’assistenza territoriale e nella prevenzione, rinuncia alle cure. Ancora una volta i numeri peggiori sono nel Mezzogiorno – destinatario, non a caso, del 40% degli oltre 20 miliardi di euro stanziati dal Pnrr per la missione 6 Salute – anche se la diffusione di numerose criticità continua a riguardare anche altre regioni del Paese. Se infatti il “Rapporto civico sulla salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità di Cittadinanzattiva fornisce il dato generale secondo cui in Italia si aspetta quasi due anni per una mammografia, un anno per una ecografia, una tac, o un intervento ortopedico e a rinunciare alle cure nel corso del 2021 è stato più di un cittadino su dieci, con screening oncologici in ritardo in oltre la metà dei territori regionali, le situazioni più preoccupanti si registrano ancora al Sud.
Il Rapporto di quest’anno fornisce una fotografia della sanità vista dai cittadini unendo due analisi: una riguardante le 13.748 segnalazioni giunte, nel corso del 2021, al servizio PIT (Progetto integrato di tutela) Salute e le 330 sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato; l’altra finalizzata ad esaminare, da un punto di vista civico, il federalismo sanitario per descrivere i servizi regionali come articolazione organizzativa e capacità di fornire risposte in termini di assistenza sanitaria.
LE PRINCIPALI CRITICITA’
Le liste d’attesa, già “tallone di Achille” del Sistema Sanitario Nazionale in tempi ordinari, durante l’emergenza hanno rappresentato la criticità principale per i cittadini, soprattutto per i più fragili, che di fatto non sono riusciti più ad accedere alle prestazioni (secondo l’Istat, la percentuale di cittadini che rinunciava alle cure per i lunghi tempi d’attesa e per l’impossibilità di rivolgersi al privato era già doppia nel 2018 nel Sud rispetto al Nord-Est).
Nel Rapporto di Cittadinanzattiva, a pesare sul dato nazionale – i lunghi tempi di attesa rappresentano il 71,2% delle segnalazioni di difficoltà di accesso – sono soprattutto i divari regionali. In particolare, secondo le analisi di Corte dei Conti e Agenas-Sant’Anna di Pisa, per la specialistica ambulatoriale, si è assistito a una riduzione fra 2019 e 2020 di oltre 144,5 milioni di prestazioni per un valore di 2,1 miliardi e il volume dei ricoveri totali nelle strutture pubbliche o private si è ridotto di circa 1.775.000 prestazioni (-21%, 14,4% di quelli urgenti e -26% degli ordinari).
Ma le variazioni più marcate riguardano Calabria con -30,6%, Puglia con -28,1%, Basilicata con -27,1% e Campania con -25%. E se nell’area oncologica tra il 2019 e 2020 c’è stata una riduzione di circa 5.100 interventi chirurgici per tumore alla mammella, a fronte di un -10% a livello nazionale, la Calabria ha raggiunto punte del -30%.
Un altro dato riguarda i 1.700 interventi chirurgici in meno per tumore alla prostata, che in Basilicata ha registrato -41,7%, in Sardegna -39,6% e in Lombardia -31,1%. Nel 2021, poi, ben l’11,0% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a visite ed esami per problemi economici o di accesso al servizio (Rapporto Bes Istat 2021). In Sardegna la percentuale sale al 18,3%, con un aumento di 6,6 punti percentuali rispetto al 2019; in Abruzzo la quota si stima pari al 13,8%; in Molise e nel Lazio la quota è pari al 13,2% con un aumento del 5% rispetto a due anni prima.
PREVENZIONE E ASSISTENZA TERRITORIALE
Per quanto riguarda gli screening oncologici organizzati, sono 7 le Regioni che non raggiungono lo score ritenuto sufficiente secondo la Griglia dei LEA, ovvero l’indice 9. Il Mezzogiorno è praticamente al completo, con Calabria (2), Molise (3), Campania (3) Puglia (4), Sicilia (5), Basilicata (6) e, con alcuni punti in più, Lombardia (7). Solo l’Umbria mostra un miglioramento, ma nei due anni di pandemia la riduzione del numero di persone esaminate (-35,6% cervice, -28,5% mammella, -34,3% colon retto) è piuttosto consistente per tutti e tre i programmi di screening con percentuali più contenute per lo screening mammografico.
La riforma dell’assistenza territoriale, principale sfida in ambito sanitario del PNRR, dovrà fare i conti con gravi inefficienze: il 17,4% delle 13.748 segnalazioni ricevute dal PIT di Cittadinanzattiva fa riferimento non a caso proprio all’assistenza territoriale, in particolare al rapporto con medici di medicina generale e pediatri di libera scelta (25,8%), di cui i cittadini lamentano lo scarso raccordo con gli specialisti e i servizi sul territorio, nonché la scarsa disponibilità in termini di orario, reperibilità e presa in carico. Seguono le carenze dei servizi di continuità assistenziale (13,9%) in particolar modo riferibile a irreperibilità o orari limitati della guardia medica e le carenze dell’assistenza domiciliare integrata (12.1%), in particolare per la mancata integrazione dei servizi sociali e sanitari, le difficoltà nell’attivazione, la mancanza di alcune figure specialistiche (fra cui gli psicologi), il numero inadeguato di giorni o ore.
Su tutto, il divario tra le varie regioni, in questo caso trasversale: nel 2020 hanno riportato una maggiore copertura l’Abruzzo (4,4% degli over 65 e 7% degli over 75), la Sicilia (4,0% e 6, 6%), il Veneto (3,8% e 6,2%), la Basilicata (3,7% e 6,1%) e l’Emilia Romagna (3,6% e 5,8%). Ma le coperture più basse tra la popolazione anziana sono state riportate dalla P.A. di Bolzano (0,5% tra gli over 65 e 0,7% tra gli over 75) e dalla Valle D’Aosta (0,5% e 0,7%), così come da Calabria (1,0% e 0,7%), Puglia (1,9% e 3,1%) e Lazio (2,2% e 3,7%).
LE CASE DI COMUNITA’ E IL MEZZOGIORNO
L’attuazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal Pnrr passerà attraverso le cosiddette Case della Comunità, riguardo le quali l’analisi di Cittadinanzattiva registra un coinvolgimento delle associazioni – civiche e di pazienti – ancora insoddisfacente. Si tratta di strutture sul quale il Piano nazionale punta moltissimo, soprattutto per le regioni del Mezzogiorno: se ne prevedono ben 1.350 (le vecchie Case della salute non raggiungevano le 500 unità), in media una ogni 18.069 persone con patologia cronica, con differenze regionali che vanno da una Casa ogni 12.428 malati cronici in Calabria ad una ogni 23mila malati cronici in Emilia Romagna, Liguria e Valle d’Aosta. Il Pnrr prevede anche 400 Ospedali di comunità, una struttura ogni 64.115 persone con patologia cronica, con la situazione migliore in Basilicata (rapporto 1 a 47mila) e quella peggiore (rapporto 1 a oltre 74mila malati cronici) in Friuli-Venezia Giulia, Umbria, P.A. Bolzano e P.A. Trento.
Dati che – se confermati – potrebbero consentire al Sud di ridurre almeno parzialmente il divario col resto del Paese, dal momento che la proporzione tra numeri di pazienti cronici e strutture previste dal Pnrr premia Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, oltre ad Abruzzo e Sardegna. Un dato che trova conferma nella ripartizione su base regionale delle risorse economiche previste dal Pnrr, in particolare degli investimenti pro-capite.
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