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Qual è il colmo per una sanità devastata da una pandemia? Rimanere senza infermieri. È quello che sta accadendo in Lombardia, la regione italiana che ha pagato in termini di vite umane il prezzo più alto. Ma anche in Veneto, dove i medici di base scarseggiano, al punto che è stato necessario alzare la quota di assistiti.

E a soffrire di questa carenza ormai strutturale sono proprio le strutture dove il Covid-19 ha colpito più duro: le Rsa, le residenze sanitarie per anziani. Confinate in un recinto dimenticato, hanno un disperato bisogno di camici bianchi. E hanno deciso di fare da sé: formare il personale in Sudamerica. Si stima che solo nell’ambito socio-sanitario manchino circa 3 infermieri ogni 100 posti letto, ovvero 4000 solo in Lombardia. Tradotto in standard assistenziali vuol dire minore qualità, stress, aumento dei rischi correlati alle cure, servizi chiusi, impossibilità di garantire la presenza di un professionista 24 ore su 24 e dunque difficoltà nella gestione delle cronicità.

Che cosa si è fatto finora per risolvere il problema? Hanno prevalso investimenti in ambito ospedaliero e medico rispetto a quello socio sanitario ed assistenziale, non considerando che – come ha ampiamente dimostrato la crisi pandemica – la risposta più efficace e sicura per tutelare la salute dei cittadini e, più in generale, delle persone è un servizio sanitario integrato e capillare. Un sistema in cui le diverse parti si integrano tra di loro. L’Uneba, associazione di fondazioni, imprese sociali e altre realtà che operano in campo socio-sanitario è da tempo in sofferenza proprio per la difficoltà di reperire il personale.

“La carenza di professionisti sanitari, e di infermieri in particolare – spiega l’associazione, che giovedì prossimo per denunciare questa situazione ha organizzato un convegno a Milano – è un tema ricorrente negli ultimi trent’anni di mercato del lavoro sanitario lombardo. Lungo gli anni ci sono stati diversi interventi legislativi per evolvere la professione, per renderla più attrattiva e allineata agli standard internazionali, e per sgravare i professionisti infermieri da attività e compiti non propri, vedasi la nascita dei percorsi per operatori di supporto (ASA-OSS). Ma questi tentativi sono risultati inefficaci”.

Il ragionamento è: non possiamo permetterci di aspettare i futuri laureati (sempre che si abbia la volontà politica di aumentare i posti nelle diverse università) e dunque l’unica strada rimane accedere al mercato internazionale, ovvero reclutare infermieri formati nelle università dei loro Paesi e offrirgli un lavoro stabile negli enti socio sanitari lombardi.

Luca Degani, presidente Uneba Lombardia, spiega: “Tanto per lo Stato tanto per la Regione l’effettiva volontà di determinare una programmazione sanitaria attraverso un intervento ospedaliero e territoriale deve necessariamente passare da una riforma delle professioni”.

“Ci troviamo davanti ad una assoluta carenza di professioni mediche e infermieristiche – prosegue Degani – ma soprattutto davanti ad una modificazione del sistema sanitario che, con la realtà della cronicizzazione degli ultimi 20/30 anni, con la possibilità di operare in termini di telemedicina e con il pensiero sui luoghi di cura spostati nella dimensione territoriale, necessità di una implementazione del personale infermieristico a cui garantire però più il ruolo di coordinamento che di operatività diretta ed immediata, così da avere invece una significativa componente di operatori socio-sanitari specializzati in tutte le regioni che possa effettivamente garantire l’attenzione e la garanzia di continuità e di presenza tanto per la popolazione cronica quanto e soprattutto per la popolazione fragile anziana e disabile, tematica comunque correlata anche alla revisione della figura del medico di medicina generale che deve passare da una dimensione autonoma e individuale come l’attuale ad strutture di collaborazione e cooperazione per essere poi posto in filiera con tutti i servizi territoriali”.

Requisiti richiesti: la conoscenza della lingua italiana, competenze relazionali ed educative, condivisione di valori e convinzioni, sovrapponibilità delle competenze maturate nell’iter formativo straniero. Già avviata in questo senso la sperimentazione e un dialogo con alcune università del sud America, (Universidad Católica Sedes Sapientiae del Perù; Universidad Católica Nuestra Señora de la Asunciòn del Paraguay; per i medici Ospedale Italiano di Buenos Aires) per la vicinanza valoriale, linguistica e formativa: la proposta è inviare un video, realizzato con la collaborazione di alcuni nostri enti (Fondazione Molina di Varese, Fondazione Uboldi di Paderno Dugnano), agli infermieri e/o studenti infermieri per presentargli le opportunità di lavoro e le peculiarità del settore sociosanitario.

Ma l’ultimo scoglio è forse anche il più difficile: il riconoscimento del titolo e la richiesta di equipollenza per l’iscrizione all’Ordine professionale indispensabile per l’esercizio della professione. L’iter attualmente previsto dalla normativa italiana è molto articolato. Dal momento in cui l’infermiere extra-comunitario prende la decisione di venire in Italia passano dai 16 ai 20 mesi prima che questo si possa realizzare. Si sta lavorando per ottenere l’accreditamento e la certificazione delle università straniere così che i professionisti siano riconosciuti come tali anche da noi.


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