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“SERVE sinergia tra pubblico e privato”, dice Vincenzo Alaia, presidente della commissione regionale sanità in Campania, che ha voluto una riunione ad hoc sulla famigerata delibera 599 dello scorso dicembre che fissa un tetto di spesa per le strutture in convenzione, rifacendosi allo storico del 2019, quando non solo non c’era il covid, ma quando la stessa somma per il consiglio di Stato fu ritenuta insufficiente al reale fabbisogno di un territorio.
La delibera porta delle novità sostanziali: fissa un tetto per struttura, dà un budget mensile e (anche se questo punto non è chiarissimo) riporta l’utente al Cup regionale. Ebbene, come pure ha ribadito l’assessore al Bilancio, Ettore Cinque in questo Cup (in realtà ad oggi esiste ma solo se si va fisicamente in ospedale) potenziato «dovranno confluire le prenotazioni sia nel pubblico che nel privato, secondo i criteri della vicinanza territoriale e della minore attesa della prestazione».
Ebbene viene da chiedersi se, come pure dice l’assessore in commissione, il Cup per pubblico e privato, va creato, perché deliberare a dicembre quando questo tipo di struttura che è ancora da attuare? Inoltre si sta verificando che il tetto di spesa fissato mensilmente porta gli utenti a dover rinunciare all’esame in convenzione e doverlo pagare, considerando che gli ospedali sono ancora in emergenza covid, chi può paga, chi non può aspetta il mese successivo o rinuncia. Ed è gravissimo.
L’assessore in Commissione aggiunge: “La Regione Campania ha stanziato 560 milioni l’anno, confermando le risorse del triennio precedente, per la specialistica ambulatoriale e, l’anno scorso, 72 milioni aggiuntivi per il recupero delle liste di attese nel privato”, ha ricordato Cinque. I 72 milioni aggiuntivi non erano però per la genetica, gli esami più costosi e meno rari di ciò che si pensa (amniocentesi, hpv, batteri patogeni in gravide, familiarità per il tumore) e aggiunge e ammette Cinque: “Il sistema che abbiamo conosciuto negli ultimi anni per l’assegnazione dei tetti di spesa per la specialistica ambulatoriale non può considerarsi soddisfacente perché, verso i mesi di settembre/agosto di ogni anno, essi venivano ad esaurimento, ma ciò non dipende solo un problema economico ma anche di sbilanciamento, in questo settore, verso il privato accreditato.
La Campania è la quarta tra le regioni che destinano più risorse al privato in questo settore, dopo Lombardia, Lazio, Molise, con il 23/24%. Il settore pubblico deve crescere, ma, in questo periodo storico, a seguito dell’emergenza pandemica, non ci sono state le condizioni affinchè crescesse”. La differenza è che da due anni con gli ospedali oberati dalla pandemia è andata ancora peggio e il tetto stavolta si supera il 10 di ogni mese. La coperta resta troppo corta.
Lo stesso assessore ammette: “La delibera sui tetti di spesa mensili di struttura per la specialistica ambulatoriale nel privato accreditato, approvata il 28 dicembre scorso, è un provvedimento provvisorio, che entro il 30 aprile dovremo ridefinire”. Ecco non sarebbe stato meglio far finire la pandemia, aver organizzato tutto (compreso il cup potenziato) e poi partire? Chi coglie nel segno, anche in commissione è Valeria Ciarrambino del Movimento 5 Stelle: “Bisogna riequilibrare l’offerta tra pubblico e privato ma si deve garantire il diritto alla salute. E’ positivo riordinare i tetti di spesa, ma bisogna definire con efficacia il fabbisogno delle prestazioni”.
Già un fabbisogno di cui già non si era tenuto in conto nel 2019, come aveva pure detto il prefetto, Ambrosiano, come commissario ad acta. Inoltre le categoria sono state assolutamente ignorate. “Se lo spirito della delibera è positivo va detto – ribadisce Francesco Emilio Borrelli consigliere di Europa Verde – che non è stato concordato con le categorie e provoca ulteriori disagi ed occorre un lavoro di razionalizzazione per garantire un servizio di qualità ai cittadini”. Servizio che ad oggi non c’è. Anzi. La situazione attuale ha esasperato ancor di più gli animi.
E su questo punto si spacca anche la maggioranza del presidente governatore, tant’è che in commissione il consigliere Diego Vananzoni, lista De Luca presidente ammette: “La distribuzione della spesa su base mensile ha evidentemente provocato dei problemi, perché quello che accadeva a settembre adesso si verifica a gennaio e determina la corsa alle prestazioni all’inizio del mese”. Un dato quest’ultimo palese a tutti, almeno quelli che vivono sui territori. Sulla stessa linea anche la consigliera Maria Muscarà (gruppo misto): “La delibera ad oggi provoca solo problemi enormi di ritardi nell’accesso delle prestazioni e danni ai pazienti”. Già esattamente ciò che nei giorni scorsi ha denunciato il Quotidiano e la Muscarà ammette che proprio qui, in Campania, le percentuali di malattie e morti sono tre volte superiori a quelle di altri territori. Alla commissione sono intervenuti anche i biologi, Salvatore Scognamiglio, in rappresentanza di Federbiologi Conpapi ha sottolineato: “Manca alla base della delibera una reale programmazione”.
E Lorenzo Latella, segretario del tribunale del malato ha aggiunto: “Servono 8 – 10 milioni in più solo per il reale fabbisogno”. In realtà per capire di che cosa c’è bisogno bastava seguire una sentenza del consiglio di stato che già riteneva inidoneo i conti della Regione, quando ancora non c’era la pandemia, figurarsi adesso. Alla riunione ha partecipato anche Aspat, Uil, Confindustria Sanità. Ora si aspetta la mossa di Cinque, intanto le strutture sono chiamate a sottoscrivere contratti capestri, prima ancora la rivisitazione dell’assessore, pena il blocco delle strutture. Mentre tutti litigano chi deve curarsi resta al palo.
Lo ripetiamo, in Campania il 10 del mese o ti paghi le prestazioni o resti in attesa, sperando che la tua malattia non ti porti alla morte. E se non ci saranno modifiche a questo atto deliberativo va aggiunto che il paziente campano non avrà neanche più la libertà di decidere dove curarsi, dove farsi un esame o semplicemente continuare a curarsi magari da chi lo segue da anni. Follie del sistema. Il Pnrn, i soldi che arriveranno dall’Europa, dovranno certo servire a potenziare la sanità pubblica che ha dimostrato durante il covid tutta la sua fragilità, ma prima di allora non si può pensare che gran parte della diagnostica sia a spese del cittadino, visto che le liste di attesa così si allungano. E le prove sono sotto gli occhi anche dei consiglieri di maggioranza della giunta di De Luca.
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