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La pubblicazione da parte all’Istat dei dati pre-pandemia sui rischi per la salute legati alla scarsa prevenzione è un richiamo – l’ennesimo – alla necessità per il nostro Paese di colmare i divari geografici sia da un punto di vista del reddito e del benessere dei cittadini (tutti) che dei Livelli essenziali delle prestazioni. Oltre che di razionalizzare investimenti e risorse in un settore come quello della sanità che, insieme alla previdenza, rappresenta uno dei maggiori capitoli di spesa pubblica.
Non a caso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) – che stanzia oltre 15 miliardi per la Missione 6 dedicata alla Salute, con un nuovo assetto proprio riguardo la prevenzione – destina al Mezzogiorno oltre il 40% delle risorse, con una integrazione di quanto previsto inizialmente.
Se infatti l’emergenza da Covid-19 ha messo sotto pressione un po’ ovunque i servizi sanitari, saturato l’offerta e comportato la rimodulazione delle prestazioni sanitarie differibili, con un rallentamento di screening e controlli in assenza di gravi problemi di salute, l’indagine europea sulla salute (EHIS), condotta nel 2019 e ripresa dall’Istat nel Report sulla prevenzione e sui fattori di rischio per la salute in Italia e in Europa, mette in evidenza le carenze ancora da colmare dal punto di vista della diagnostica di prevenzione.
Non a caso, se tra i vari fattori di rischio per la salute, nell’Ue27 l’Italia conferma livelli molto bassi di obesità e una percentuale minore di fumatori abituali, i dati sull’obesità infantile e sul rapporto fumatori-livello di istruzione (inversamente proporzionale) spostano ancora una volta le percentuali peggiori nelle regioni del Mezzogiorno. Inchiodate, del resto, ad una aspettativa di vita per chi nasce in Calabria di 9 anni e 1 mese inferiore a chi nasce in Emilia-Romagna e 15 anni inferiore ai nati in Trentino Alto Adige.
Screening oncologici e vaccinazioni antinfluenzali
Prima dello shock pandemico, l’Italia si posizionava sopra la media Ue27 per gli screening raccomandati, ma con profonde diseguaglianze interne. Un dato per tutti: nel 2019, il 70,9% delle 50-69enni ha fatto un controllo mammografico negli ultimi due anni (65,9% la media Ue27), ma mentre al Nord si registrano quote elevate simili a quelle della Danimarca, al Sud e nelle Isole i valori restano bassi, poco sopra quelli dei Paesi dell’Europa dell’Est. In particolare, nel Nord-est, dove i livelli di copertura sono più elevati, il 79% delle donne dichiara di aver eseguito la mammografia tramite programmi organizzati, nel Sud questa quota scende al 46,5%.
A livello regionale, in Basilicata – unica regione del Sud con un elevato tasso di copertura, pari al 75,6% – oltre l’80% delle donne di 50-69 anni che hanno fatto una mammografia, dichiarano di aver fatto l’ultimo controllo nell’ambito di programmi organizzati e solo il 10% di propria iniziativa.
Di contro, in Campania, regione con il più basso tasso di copertura (47,5%), solo il 42,3% dichiara di avere eseguito l’ultima mammografia mediante screening organizzati, il 37,7% di propria iniziativa e il 19,6% su consiglio del medico di famiglia o dello specialista. Di conseguenza, in Campania resta elevata sia la quota di donne di 50-69 anni che mai hanno fatto una mammografia (11,6% contro 2,4% del Nord-est), sia quella di coloro che l’hanno eseguita oltre tre anni prima della rilevazione (16,3% contro 6,6% del Nord-est).
Valori elevati, da questo punto di vista, si registrano anche in Sicilia (rispettivamente 17,4% e 14,1%) e Calabria (18% e 9,6%). In Friuli-Venezia Giulia e nella Provincia autonoma di Trento, invece, anche sommando entrambi i valori, le quote sono più basse, rispettivamente 5,8% e 6,4%, a confermare il successo della diffusione dei programmi di screening pubblici.
Se invece la propensione a vaccinarsi non varia in modo troppo netto in base allo status socio-economico dell’anziano o al territorio di residenza, le disparità restano diffuse a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale. Eliminando l’effetto della diversa struttura per età, tra gli anziani di 75 anni e più il ricorso alla vaccinazione antinfluenzale oscilla infatti dal 59,9% nel Nord-est al 56,8% nelle Isole; per le persone di 65- 74 anni i valori oscillano tra il 38,8% nelle Isole e il 33,6% nel Nord-Ovest.
Attività fisica solo per un adulto su cinque. Minori esclusi al Sud
Ancora troppo contenuta la quota di adulti che svolgono attività fisica secondo i livelli raccomandati dall’Oms per migliorare le condizioni di salute. Quota a cui va aggiunta quella dei minori, che soprattutto del Mezzogiorno hanno dovuto fare a meno fino ad oggi di palestre e mense scolastiche in grado di garantire stili di vita e di alimentazione oltre che certi, anche corretti. Non a caso, il Pnrr assegna al Sud – con una inversione di tendenza storica per il nostro Paese – oltre il 55% delle risorse previste per mense scolastiche, asili nido (due miliardi solo per questi ultimi) e palestre (tra le 10 province con meno palestre, 9 si trovano oggi nel Mezzogiorno).
In generale, secondo il report Istat, nel 2019 solo il 19,0% delle persone di 18 anni e più ha svolto attività fisica aerobica nel tempo libero per almeno 150 minuti a settimana e tra bambini e adolescenti le quote sono ancora più basse, con il 13,9% per l’attività fisica aerobica (almeno 60 minuti al giorno).
Solo che – secondo l’ultimo Rapporto nazionale sui minori e lo sport dell’Osservatorio #conibambini, promosso da Con i Bambini e Openpolis nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile – nel Nord-est vive il 18% dei minori e si trova quasi il 40% delle aree sportive all’aperto presenti nei capoluoghi italiani, mentre al Sud, i minori sono il 19% della popolazione e le aree sportive all’aperto solo il 10%.
Friuli e Piemonte sono le uniche regioni in cui il numero di scuole con strutture sportive supera il 50%, mentre Calabria (20,5%) e Campania (26,1%) sono quelle con il minor numero di ragazzi e ragazze che praticano sport con continuità.
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