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Livelli essenziali di assistenza (Lea) e malattie rare. A pagare le diseguaglianze regionali nelle prestazioni sanitarie – legate al mancato raggiungimento di una uniformità minima di assistenza e cura su tutto il territorio nazionale – sono, come e più degli altri, tutti i pazienti affetti da una malattia rara, che rari non sono affatto. In particolare tutti quelli, cittadini di serie B, nati o residenti nelle regioni del Mezzogiorno alle prese con piani di rientro e commissariamenti infiniti. Strumenti che sarebbero dovuti servire al ripianamento del debito e all’attuazione dei Lea, ma che fino ad oggi, causa un disavanzo incurabile, hanno prodotto chiusura di ospedali, taglio di posti letto, carenza di personale e di strumentazione diagnostica.

Gli ostacoli dei pazienti affetti da malattie rare, in particolare, riguardano sia l’accesso alle terapie farmacologiche che l’individuazione stessa della malattia rara ai fini dell’esenzione. E se il problema è nella normativa, le battaglie contro procedure, burocrazia e mancanza di risorse hanno in Italia, quotidianamente, il nome e il cognome di due milioni di pazienti, il 70% dei quali in età pediatrica, e delle loro famiglie. Come Marco e Paolo, i due bambini pugliesi di 1 e 2 anni affetti da Sma1 (di cui la cronaca di questo quotidiano ha raccontato solo due giorni fa), per i quali, nonostante l’intervento dell’Aifa e le sollecitazioni della Regione Puglia, non è possibile accedere all’unica terapia genica disponibile.

Alla luce di questa e di numerosissime altre storie di impossibilità di accesso alle cure, di corsa contro il tempo, di assistenza familiare in salita, di troppa e contraddittoria burocrazia, il Testo Unico sulle Malattie Rare – 16 articoli in tutto approvati dalla Camera e attualmente all’esame della Commissione Igiene e Sanità del Senato – è qualcosa di più di un semplice riordino della normativa di settore. Approvarlo in via definitiva consentirebbe sì di avere finalmente un quadro legislativo di riferimento organico, ma soprattutto di procedere in tempi spediti a quegli aggiustamenti (decreti attuativi e modifiche) necessari a superare le maggiori criticità, come sostengono le associazioni dei pazienti, il mondo civico, della ricerca e della clinica e come ha ribadito attraverso un’analisi dettagliata l’Alleanza Malattie Rare (Amr), che rappresenta più di 250 organizzazioni.

Il documento affronta l’impatto del nuovo disegno di legge sul mondo delle malattie rare, sulla vita e sulla presa in carico dei pazienti, ma evidenzia anche i principali ostacoli verso un’assistenza efficace ed effettiva.

Due le principali criticità contenute nel nuovo testo legislativo strettamente legate alle diseguaglianze tra regioni in ambito sanitario. La prima riguarda il rischio di non accesso alle cure per le malattie rare su tutto territorio nazionale. L’articolo 4 del Testo – Piano Diagnostico Terapeutico Assistenziale personalizzato e Livelli Essenziali di Assistenza per le malattie rare – fa riferimento infatti ai farmaci in fascia A e H, escludendo, anche in via interpretativa, quelli classificati in fascia C, in alcuni casi essenziali per il trattamento di alcune patologie rare.

Questi ultimi farmaci, tuttavia, se inseriti nel Piano Terapeutico del paziente con la dicitura “indispensabile e insostituibile”, potrebbero essere forniti in regime di esenzione. Potrebbero. Perché il problema si pone per le Regioni sottoposte a piano di rientro – al maggio 2021, secondo il Ministero della Salute, Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia, con l’aggiunta del commissariamento per Calabria e Molise – che non possono erogare questo tipo di prestazioni in regime di esenzione in quanto considerate extra LEA.

Qualche eccezione, faticosa quando non del tutto impraticabile, il Ministero della Salute l’ha prevista rispondendo ad alcune Regioni ed indicando, in casi eccezionali, la possibilità da parte degli interessati di fare un’istanza alla ASL per ottenere un provvedimento ad hoc dietro valutazione clinica specifica. Con il risultato ulteriore e prevedibile di trattamenti diversi a seconda del territorio di appartenenza della ASL.

Sulla seconda criticità tornano a pesare i Lea; o meglio, il loro mancato aggiornamento, che impedisce l’individuazione delle malattie rare ai fini dell’esenzione. Un’inerzia – contraria a quanto previsto dalla legge di stabilità del 2016, secondo la quale la “Commissione per l’aggiornamento dei Lea e la promozione dell’appropriatezza nel Servizio Sanitario Nazionale” presso il Ministero della Salute deve procedere ogni anno ad una relativa proposta di aggiornamento – a cui il nuovo Testo unico vorrebbe porre riparo con una nuova procedura di aggiornamento dei livelli, realizzata dal Ministero della Salute con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, e finalizzata “ad aggiornare l’elenco delle malattie rare individuate sulla base della classificazione orphan code presente nel portale Orphanet, dal Centro nazionale per le malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, nonché le relative prestazioni necessarie per il trattamento delle malattie rare”.

Una strada che non solo finirebbe per complicare procedure già complesse, ma che rischierebbe di lasciare inattuato un aggiornamento fondamentale in tema di salute – e di superamento del federalismo sanitario – come è quello dei Lea. Secondo Alleanza Malattie Rare, andrebbe poi reso perentorio il termine di 6 mesi per l’aggiornamento dei prontuari terapeutici ospedalieri, anche in questo caso per superare le attuali difformità regionali nei tempi di accesso ai farmaci. Così come andrebbe previsto l’aumento del Fondo per le misure di sostegno al lavoro, alla cura e all’assistenza e un finanziamento del Piano Nazionale per le Malattie Rare stabilito per legge.


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