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Oltre due mammografi su dieci in uso in Italia hanno 10 o più anni di “anzianità di servizio”, con “conseguente minor precisione nella capacità di individuare eventuali tumori al seno”.

E, manco a dirlo, i macchinari più obsoleti si trovano al Sud. Un Mezzogiorno che, non solo deve fare i conti con una minore dotazione, ma deve anche “accontentarsi” di strumenti più vecchi e datati.

Tra le Regioni, il record di certo non invidiabile spetta al Molise: mediamente i mammografi hanno 10,6 anni contro una media italiana di 7,6. In Calabria la situazione non è poi così migliore: età media 8,7, al pari del Lazio dove però ci sono 240 mammografi contro i 38 della Calabria e i 14 del Molise. Significa che c’è maggiore scelta.

Seguono la Sicilia (8,6 anni) e la Puglia (8,5 anni). Anche la Basilicata dispone di macchinari abbastanza vetusti, visto che l’età è di 7,7 anni, superiore alla media italiana. L’unica sotto la soglia nazionale è la Campania, età media 7,1 anni. Eppure, nonostante la regione di De Luca abbia 189 macchinari di cui 102 in funzione, è l’area italiana in cui si fanno meno prestazioni per mammografo: appena 1.476 contro, ad esempio, i 3.459 del Veneto che di macchinari in servizio ne ha 106, quasi lo stesso numero. Tornando all’età media, in Liguria e Lombardia i macchinari hanno 6,8 anni; in Toscana 6,1, in Veneto 6,8, in Umbria 5,7 anni, in Piemonte 7,2.

Fa eccezione solamente l’Emilia Romagna che ha mammografi con età media di 7,8 anni, sopra la media italiana. I dati emergono da uno studio dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che ha effettuato una ricognizione nazionale sui mammografi in Italia, analizzando il panorama tecnologico esistente con riferimento all’anno 2019. Dai risultati del monitoraggio condotto dall’Osservatorio di monitoraggio e valutazione delle reti oncologiche regionali, istituito presso Agenas, si rileva che il 40,5% dei mammografi presenta una vetustà di 1-5 anni, il 27% di 6-10 anni, il 22,5% uguale o superiore a 10 anni. Il rapporto evidenzia una distribuzione territoriale disomogenea in favore del Nord.

Disomogenea è anche la distribuzione a livello regionale dei mammografi, se analizziamo la situazione solamente nel settore pubblico la distanza tra Nord e Sud è abissale: Lombardia 126, Emilia Romagna 86, Lazio 81, Sicilia 68, Toscana 61, Veneto 51, Piemonte 44. In Campania sono 42 i macchinari, in Puglia 23, Basilicata 15, Molise 5. In sostanza, al Sud ci sono meno mammografi e sono anche meno tecnologici e più obsoleti. L’indagine nazionale “consente di valutare gap tecnologici all’interno delle Reti oncologiche regionali – si legge nella relazione di Agenas – al fine di individuare il fabbisogno complessivo necessario, le tecnologie su cui sarebbe prioritario investire” anche in considerazione con quanto previsto per l’ammodernamento del parco tecnologico dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).

Il report dell’Agenas conferma quanto già la Corte dei Conti, qualche settimana fa, ha evidenziato nella relazione sugli “Interventi di riorganizzazione e riqualificazione dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani”: secondo i giudici contabili, lo Stato italiano avrebbe dovuto e potuto, grazie ad un monitoraggio, garantire che le migliori tecnologie e attrezzature in campo sanitario fossero distribuite equamente sul territorio, ed invece ci sono ancora “marcate differenze tra regioni del Sud e quelle del Centro-Nord, con prevalente concentrazione di tali dotazioni strumentali in queste ultime”. Basta dare uno sguardo alla tabella che riporta i dati riguardanti le installazioni di chirurgia robotica negli ospedali pubblici e privati: in tutta Italia i famosi Robot “Da Vinci” sono 116 ma “il maggior numero è concentrato nelle regioni del centro-nord”, sentenziano i magistrati. Le regioni che presentano il maggior numero di installazioni sono la Lombardia (25), il Veneto (17), la Toscana (16), il Lazio (10)e il Piemonte (8).

Al Sud, invece, sono appena 22, meno di un quarto di quelle nel Centro-Nord, “a conferma, ancora un’altra volta, della marcata differenza di distribuzione sul territorio del Paese di tecnologie così importanti per il settore sanitario/curativo”, sottolinea la Corte dei Conti. Eppure, scrivono sempre i magistrati il “ministero della Salute avrebbe la possibilità di ricavare utili informazioni circa l’età dell’apparecchiatura e la data di collaudo che consentono di effettuare valutazioni dello stato di obsolescenza del parco macchine e quindi di indirizzare le risorse economiche dedicate all’ammodernamento tecnologico verso la sostituzione degli strumenti più vetusti”.

Insomma, il ministero avrebbe dovuto vigilare e intervenire indirizzando soldi e investimenti ma non lo ha fatto. Così il divario Nord-Sud è aumentato ancora: mentre in Lombardia, Veneto e Toscana venivano installate le migliori tecnologie e apparecchiature disponibili sul mercato, al Sud medici e infermieri continuavano a curare i pazienti con Tac, risonanze obsolete e malfunzionanti. Dai Robot Da Vinci ai ventilatori polmonari, macchine salvavita in questa emergenza Covid, il quadro non cambia. “I ventilatori polmonari – ragionano i magistrati contabili – si stanno rivelando preziosi supporti tecnologici nel contrasto alle gravi complicanze indotte dall’infezione da Covid 19. In considerazione dell’importanza del ruolo da essi assunto nei reparti di terapia intensiva, è stato pertanto predisposto dal ministero della Salute uno specifico monitoraggio con lo scopo di verificarne il loro numero nelle strutture sanitarie del Paese”.

Ebbene, dalle verifiche il ministero si è accorto che il Centro-Nord disponeva, al 2018, nelle strutture di ricovero di oltre 13mila ventilatori polmonari, il Sud esattamente un terzo, circa 5mila. Nelle strutture sanitarie, invece, il Nord disponeva al 2019 di quasi 500 ventilatori, il Sud di poco più di 100. “Come si può apprezzare – si legge nella relazione della Corte dei Conti – circa il 72% (strutture di ricovero) ed il 75% (strutture sanitarie) di tali attrezzature sono ubicate nelle regioni del Centro-Nord. In rapporto alla popolazione residente (dati Istat 2019) vi è un ventilatore polmonare ogni tremila persone nel Centro-Nord ed uno ogni quattromila soggetti (circa) nel meridione d’Italia”.


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