Infermieri al tempo del coronavirus
3 minuti per la letturaLONTANO dalla campagna vaccinale il sistema sanitario fatica ad assicurare la giusta assistenza ai pazienti no Covid, su cui la pandemia ha avuto un effetto drammatico. Un trend che emerge dal Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica, rilasciato pochi giorni fa dalla Corte dei conti.
Durante le fasi calde dell’emergenza sono, complessivamente, mancati all’appello 747mila ricoveri e 145 milioni di prestazioni ambulatoriali ordinarie. Un gap non ancora recuperato, se si considera che (hanno rilevato i giudici contabili) è stato stanziato solo il 62% delle risorse necessarie per farlo. Dato che, in alcune regioni, scende addirittura al 20%.
Numeri ancora più impietosi sul fronte degli infermieri di famiglia e di comunità; a maggio 2020 il decreto Rilancio prevedeva l’assunzione di circa 9mila e 600 unità (9.552 per la precisione), il primo anno con contratti flessibili e dal 2021 a tempo indeterminato; ne sono stati arruolati poco più di 1.100, ossia l’11,9%.
Entrando nel dettaglio: nel Nordovest gli infermieri di comunità in servizio sono 465 sui 2.560 previsti (18,2%), al Centro 241 su 1.888 (12,8%), al Sud e nelle Isole 272 su 3.256 (8,4%) e nel Nordest 154 su 1.848 (8,3%). Limitato, quindi, secondo la Corte «è il grado di attuazione di misure, quali l’utilizzo degli infermieri di comunità» e «incerti anche i risultati sul fronte del potenziamento dell’assistenza domiciliare o del recupero dell’attività ordinaria sacrificata nei mesi dell’emergenza, che rappresenta forse il maggior onere che la pandemia ci obbliga ora ad affrontare».
«Constatiamo, con grande amarezza, e non ne siamo certo soddisfatti, che le nostre previsioni hanno trovato riscontro nei recenti dati della Corte dei Conti: durante il Covid, il peso dei ricoveri nelle terapie intensive e le difficili situazioni dei pronto soccorsi ogni giorno allo stremo, legate anche alla cronica carenza di personale, hanno agito come un boomerang sulla sanità ordinaria e sulle cure ambulatoriali» ha commentato ieri Antonio De Palma, presidente nazionale del Nursing Up, il Sindacato infermieri italiani.
Questi dati, ha proseguito, «delineano il quadro desolante di una sanità italiana con molte criticità, le cui lacune sono state messe a nudo da un virus che ha obbligato a concentrare le già scarse energie sui pazienti infetti, chiudendo reparti su reparti, anche a causa di quel triste picco di 80-85 mila infermieri mancanti all’appello solo nel Ssn». In tutto questo, ha aggiunto, «appare evidente che, al di di fuori della realtà ospedaliera, avevamo bisogno come il pane di quel progetto degli infermieri di famiglia, quello che il governo prima ha promosso con squilli di tromba, arrivando anche a promuovere una legge ad hoc, e che poi ha lasciato che si realizzasse solo in minima parte».
Per Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionali degli ordini delle professioni infermieristiche, «l’assistenza sul territorio, ma a che quella in ospedale non si può limitare all’emergenza difronte ai milioni di prestazioni ‘saltate’ e che per ora non si accenna a recuperare. Per questo non si può pensare di utilizzare personale assunto in modo precario: è necessario riorganizzare i servizi e integrare gli organici. La carenza di infermieri supera le 60mila unità e il peso si questa situazione si fa sentire in modo sempre più serio sull’assistenza».
Con il contributo del Recovery, secondo Mangiacavalli, il governo dovrà mettere «in campo tutte le misure per potenziare gli organici infermieristici e per stabilizzarne l’inquadramento contrattuale».
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