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L’emergenza Covid ha amplificato le differenze il Sud e il resto del Paese nel settore della sanità: mentre le Regioni settentrionali hanno accresciuto la propria spesa del 3,74% rispetto al 2019, quelle del centro del 5,78%, nel Mezzogiorno l’aumento è stato molto più contenuto, +2,41%.
Non solo: delle 83.180 assunzioni fatte negli ospedali tra medici, infermieri e altro personale, 38.942, quasi la metà, sono concentrate al Nord, 15.992 al Centro, 18.970 al Sud, e 9276 nelle due isole.
E’ quanto emerge dal “Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica” della Corte de Conti, una fotografia amara per il Mezzogiorno che sostanzialmente vede ampliare la forbice e il divario, anziché ridursi.
Il Nord aumenta la spesa sanitaria
I dati relativi ai costi sostenuti nel 2020 dalle amministrazioni regionali evidenziano, nel complesso, una variazione dell’3,7 per cento, di molto superiore a quella registrata nel 2019 (+1,4 per cento). A consuntivo, la spesa sanitaria ha raggiunto i 123,5miliardi, con un incremento di quasi 7,8 miliardi rispetto al 2019, superiore a quella prevista di oltre 2,6 miliardi. Ma se il Veneto ha aumentato la propria spesa del 7,79%, la Toscana del 7,21%, l’Emilia Romagna dell’8,66%, al Sud la Puglia ha incrementato solo del 2,90%, la Campania del 3,57%, la Calabria ha ridotto dello 0,8%. “Nel Nord del Paese – si legge – l’aumento è superiore nelle regioni non in Piano (+3,4 per cento) rispetto a quelle in Piano (+2,7per cento)”.
Le Regioni in Piano di rientro sono tutte del Sud, quelle non in Piano quelle del Nord. “Sul fronte del ruolo sanitario – evidenziano i magistrati contabili – crescono sopra media, oltre Bolzano e Valle d’Aosta, il Lazio, l’Emilia e la Toscana (tra il 6 e il 4,9 per cento). Le regioni di minori dimensioni del Sud (Molise, Basilicata e Calabria) registrano una seppur contenuta riduzione, regioni queste che presentano (uniche nel quadro nazionale) una flessione complessiva della spesa rispetto al 2019”.
Più assunzioni negli ospedali del Nord
Sul fronte del personale, non solo il Nord ha assunto di più ma lo ha fatto garantendosi più medici e infermieri a tempo indeterminato rispetto al Sud. “Nelle aree del Nord (sia in quelle del Nord-ovest che del Nord-est) e del Centro, seppur in misura inferiore, l’aumento dei costi dell’area sanitaria – si legge – è in prevalenza riconducibile a contratti a tempo indeterminato.
Nel Sud l’aumento è invece solo per il 16 per cento riferibile a forme permanenti; di converso, l’incremento dei costi è per l’83 per cento riconducibile a posizioni a tempo determinato”. Insomma, dipendenti che, terminata l’emergenza, gli ospedali del Mezzogiorno perderanno e, quindi, arretreranno ulteriormente rispetto alle strutture del Nord. Secondo la Corte dei Conti, comunque “il sistema sanitario italiano, nonostante le difficoltà incontrate, ha retto all’impatto della crisi che dal marzo del 2020 ha interessato il nostro Paese”.
“Ciò – prosegue – ha comportato costi importanti, non solo di natura finanziaria, che richiedono che l’attenzione dedicata nell’anno appena passato a questo settore così fondamentale per il benessere dei cittadini non si riduca. È ancora presto per fare un bilancio di quale eredità la pandemia finirà per lasciarci. La crisi non si è ancora conclusa e, soprattutto, non è ancora chiaro a quali adattamenti e a quali costi i nostri sistemi regionali saranno sottoposti in un periodo non breve di “convivenza” con il virus”.
Obiettivo crescita alla portata dell’Italia
Oltre al settore della sanità, il documento riprende i principali temi di finanza pubblica, con un’attenzione ai settori più coinvolti dalla crisi emergenziale e dalle misure adottate dal Governo per farvi fronte. Per la Corte “le prospettive di breve e medio termine delineate nel Def appaiono alla portata del nostro Paese”.
Dopo la marcata caduta accusata dall’economia italiana, passata dal +0,3 % di crescita del Pil nel 2019 al –8,9 % del 2020, le stime del Documento di economia e finanza presentato ad aprile prevedono per l’anno in corso un aumento del 4,5% del Pil con un recupero di quasi la metà del terreno perduto.
“La scommessa implicita è sulla crescita potenziale”, scrive la magistratura contabile, che potrà essere significativamente innalzata grazie ai programmati investimenti pubblici, ma che non sarebbe solida e duratura se non facesse leva sul ritorno vigoroso delle iniziative imprenditoriali.
Infatti, “i dati mostrano che ampi spazi di recupero vi sono anche per gli investimenti privati” grazie agli stimoli del Pnrr. Vanno, al riguardo, superate le fragilità che caratterizzano la nostra economia con le attese riforme strutturali e la capacità di fare nuovi investimenti all’insegna della sostenibilità infrastrutturale ed ambientale.
Soffermandosi sui conti pubblici, la Corte osserva che “le misure discrezionali, insieme alle minori entrate e maggiori spese indotte dalla crisi (i cosiddetti stabilizzatori automatici), hanno portato nel 2020 ad un crollo del saldo primario, passato da un avanzo dell’1,8 % ad un valore negativo di -6 %. Ciò si è riflesso sull’indebitamento netto che, con un aumento di 7,9 punti, si è collocato al 9,5 % del Pil. Il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto è aumentato al 155,8%, con un incremento di 21,2 punti percentuali (era al 134,6 a fine 2019).
Indispensabili le riforme su giustizia e Pa
Ma, ammoniscono le Sezioni riunite, “sarà possibile rimettere in moto il Paese solo creando un contesto più trasparente ed efficiente con le riforme su giustizia, pubblica amministrazione, ammortizzatori sociali e fisco, al fine di attrarre imprese e capitali esteri, di offrire occasioni di lavoro ai giovani e di dare un consistente impulso alla lotta contro l’evasione fiscale per assicurare contestualmente una crescita del rapporto entrate su Pil e una riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese”.
Quanto al debito pubblico, per la sua necessaria riduzione, prevista a partire dal 2022, sarà fondamentale che siano preservati tassi di interesse contenuti, per garantire i quali, rileva la Corte, è “cruciale la credibilità degli impegni affinché si minimizzi lo spread che va a sommarsi al tasso di interesse di fondo”. Solo così potrà essere garantito “un favorevole sentiero prospettico per il costo medio”.
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