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Il vaccino sembra che funzioni e questa è (l’unica) buona notizia, per ora. Ma i punti interrogativi e i dubbi sono molti, troppi: è possibile bloccare una sperimentazione di un farmaco in fase avanzata senza che ci siano presupposti scientifici?

E di noi volontari che ne sarà? Chi ci seguirà per i due anni di test previsti dal “contratto” firmato? E ancora: dovremo sottoporci ugualmente alla vaccinazione con uno dei sieri autorizzati da Ema e Aifa? A cosa è servito mettersi al servizio per testare un vaccino se poi tutto finisce in una bolla di sapone? E con la green card come la mettiamo?

Tante domande e, al momento, poche risposte. Faccio parte della schiera dei 900 volontari italiani che hanno deciso di dare la propria disponibilità a verificare, in fase 2, l’efficacia del siero anti Covid made in Italy, Reithera o GRAd-COV-2, che dirsi voglia.

Lo scorso fine marzo mi è stata iniettata la prima dose, 21 giorni dopo la seconda: a dirla tutta, solo martedì prossimo saprò con certezza se ho ricevuto il vaccino sperimentale oppure solamente placebo. E a questo punto non so cosa sperare.

Non per scetticismo sulla bontà del siero che, stando ai primi dati, anzi sembra funzionare, ma per l’incertezza su quello che accadrà dopo, nel caso mi fosse stato somministrato il siero.

In questi giorni, lo sconcerto per quanto sta accadendo attorno al vaccino italiano batte di gran lunga il sentimento della paura, lo stop ai finanziamenti imposto dalla Corte dei Conti (LEGGI) fionda 600 italiani in una terra di nessuno, nel limbo. Innanzitutto occorrerebbe maggiore chiarezza da parte di tutti, ieri sono arrivate le motivazioni della Corte dei Conti ma, come era facile presumere, lo stop è, per così dire, solamente “tecnico”.

È dal ministero della Salute, dal governo, dai centri che portano avanti la sperimentazione, dallo Spallanzani o Reithera stessa che sarebbe lecito attendersi una parola nei confronti dei volontari. Iniziando, magari, dal rispondere ad una prima domanda semplice: cosa succede ai circa 600 che hanno ricevuto il siero?

Se, ipotesi non da scartare, la sperimentazione non dovesse andare avanti chi seguirebbe queste 600 persone che, comunque, dovranno sottoporsi ad esami, analisi, controlli per almeno i prossimi due anni? Gli ospedali e laboratori pubblici continueranno a farsene “carico”?

Ricevere delle rassicurazioni su questi punti sarebbe già un passo in avanti che allevierebbe il senso di frustrazione che provano molti volontari con i quali ho avuto modo di confrontarmi in questi giorni. C’è delusione, inutile nasconderlo. A marzo si era partiti orgogliosi di poter dare una mano alla ricerca italiana, di poter partecipare a creare un’arma in più contro il Covid-19 che, solamente in Italia, si è portato via 125mila persone.

Tutti noi, chi direttamente chi indirettamente, ha avuto a che fare con il coronavirus in questo anno e mezzo. Sapere di poter contribuire a bloccare la pandemia avevo spinto 900 persone a fare da cavia, perché di questo si tratta.
E ora? Come dicevo, dubbi e perplessità sono molti, ad esempio: su 900 volontari, circa 600 sicuramente hanno ricevuto il vaccino.

Hanno quindi, in linea di massima, maturato gli anticorpi, potrei rientrare in questo gruppo. Trattandosi, però, di un farmaco sperimentale non viene riconosciuto da Ema e Aifa ed è, quindi, “inutile” per ottenere la green pass. Allo stesso tempo, non possono o non potrebbero sottoporsi all’inoculazione di un vaccino autorizzato.

Un problema non di poco conto, soprattutto per chi viaggia e si sposta per lavoro. La burocrazia rischia di complicare ulteriormente la vita delle 600 cavie. Anche su questo punto sarebbe il caso che chi di dovere dia informazioni precise e definitive, perché al momento non ce ne sono.

C’è il medico che ti consiglia di attendere, qualcun altro invece ti invita a vaccinarti ugualmente trascorsi due mesi dalla seconda somministrazione di Reithera.

Tante voci, molti consigli, nessuna certezza. Ancora una volta. Eppure, l’inizio dello sviluppo del vaccino made in Itay era stato accolto con molto entusiasmo. La prima fase della sperimentazione era iniziata a luglio 2020, quando l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, aveva autorizzato la prima fase condotta all’istituto Spallanzani di Roma e al Centro Ricerche Cliniche di Verona.

Il vaccino sperimentale è stato chiamato GRAd-COV-2: come i vaccini di AstraZeneca e di Johnson & Johnson, utilizza un adenovirus, un particolare tipo di virus per trasportare all’interno del nostro organismo il materiale genetico del coronavirus.

In questo modo il sistema immunitario impara a sviluppare una difesa contro la proteina del coronavirus. Non un vaccino tradizionale come qualcuno erroneamente dice, una sua evoluzione. A gennaio il professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, aveva spiegato che dopo la prima fase della sperimentazione erano arrivati risultati incoraggianti: nessuna delle 100 persone coinvolte aveva segnalato effetti avversi a 28 giorni dalla vaccinazione e oltre il 90 per cento aveva sviluppato anticorpi contro il coronavirus con una sola dose.

Anche in fase 2 sembra che i risultati siano incoraggianti.3 E allora se così è, che chi di dovere trovi una soluzione per non gettare in mare mesi di ricerca, di investimenti e 900 volontari.


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