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Non è quel che si dice un grande attestato di fiducia quello recapitato alle Rsa dal ministro Roberto Speranza. Per i prossimi tre anni i principali interlocutori delle residenze per anziani saranno i carabinieri. Un trattamento riservato non solo alle strutture lombarde, devastate durante la prima ondata della pandemia, ma a tutte, nessuna esclusa.
Lo prevede un protocollo siglato nella sala Anselmi del dicastero di Lungotevere Ripa tra la Commissione per la riforma dell’assistenza sociosanitaria della persona anziana, guidata da monsignor Vincenzo Paglia, e dal generale dell’Arma Teo Luzi.
Il comunicato che ne dà notizia fa riferimento ad una stretta collaborazione con la direzione generale del ministero.
Per i militari una mission insolita: la mappatura a livello comunale delle residenze «variamente denominate, case di riposo, case alloggio, case-famiglia» presenti sul territorio. Un’inchiesta, secondo qualcuno, dai contorni vagamente investigativi. «Non sarebbe bastato chiedere questi dati alle regioni?», si sono chiesti nelle strutture.
Le stesse residenze che avevano visto entrare il contagio dalla porta principale – anche grazie alle sventurate delibere della Regione Lombardia – riceveranno le ispezioni dei militari che avranno il compito di definire anagrafe e capacità ricettiva.
«L’Arma – si legge nel protocollo firmato dal direttore generale della programmazione del ministero della Salute, Andrea Urbani – si impegna a effettuare il censimento delle strutture e a svolgere le successive verifiche in relazione a situazioni meritevoli di approfondimento».
Il ministero fornirà consulenza tecnico-giuridica. «L’attenzione per gli anziani deve essere più che mai una priorità per le istituzioni e per tutta la comunità nazionale», ha dichiarato, lapidario, il ministro alla Salute, Speranza.
LA STRANA COPPIA
Ci sono anziani blindati nelle loro stanze. Da 14 mesi non ricevono un abbraccio, non stringono mani, non incontrano un amico o un parente. Ora riceveranno i militari in divisa. Sull’operato della Commissione ministeriale erano già state espresse alcune riserve.
Il fatto stesso che a guidarla fosse un ministro di Papa Francesco, l’arcivescovo Vincenzo Paglia aveva attirato molte critiche. Una strana coppia: il gran cancelliere del Pontificio istituto teologico per le scienze del matrimonio e della famiglia, nonché presidente della Pontificia accademia per la vita, e Sua eccellenza reverendissima, cofondatore di Sant’Egidio, e il ministro più a sinistra del governo Draghi.
Il monsignore che ha sempre espresso nel modo più intransigente le sue posizioni sul fine vita e il ministro che ha reintrodotto l’aborto farmacologico con la pillola Ru486.
UNA LINEA GUIDA E 20 STANDARD DIVERSI
Luca Degani è il presidente di Uneba Lombardia, e ha un’idea di chiara di cosa rappresenti per il Terzo settore l’accordo firmato mercoledì scorso: «È figlio della deresponsabilizzazione e della voglia di trovare un colpevole da parte di una commissione che non rielabora la tutela della popolazione anziana partendo dalla analisi del bisogno».
«In tema di evoluzione demografica il nostro Paese è fermo all’atto di programmazione generale, anni 1992/94, nonostante da allora il numero degli anziani sia notevolmente cresciuto – riprende Degani – ma dicendo più assistenza domiciliare e meno residenze ideologicamente si banalizza tutto senza comprendere che la base di ogni presa in carico è l’appropriatezza dell’intervento. Anziché andare a leggere il bisogno e chiedere con la forza la reale costruzione di una filiera di servizi, si mandano i carabinieri a vedere che cosa c’è. Vuol dire che il ministero non sa che questi dati basta chiederli alle regioni… se non fosse un dramma ci sarebbe da ridere».
Le linee guida per definire i bisogni degli anziani risalgono a poco meno di 3 decenni fa (1992/94). I requisiti strutturali furono indicati a livello nazionale solo nel 1997 accompagnati da 20 standard diversi per stabilire i livelli di bisogno, uno per ogni regione.
In Lombardia si usa la scala “Sosia”, un acronimo per prendere in considerazione i vari indicatori: mobilità, cognitibità, comorbillità etc, etc. Nelle altre regioni si utilizzano altre scale e in alcuni casi nulla.
«Sarebbe opportuno utilizzare un criterio omogeneo – suggerisce il presidente lombardo di Uneba – mandare i carabinieri nelle nostre residenze vuol dire invece indagare per trovare un colpevole. Ma se parliamo di colpevoli – conclude amaro Degani – il ministero deve interrogare prima se stesso per aver scelto di dare priorità agli ospedali senza comprendere il dramma che si stava vivendo nelle Rsa».
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