Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano
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Puglia e Campania, rispetto ad altre Regioni del Nord, continuano a ricevere meno dosi di vaccino in proporzione alla popolazione residente e Michele Emiliano sbatte i pugni sul tavolo.
In una lettera inviata al commissario straordinario, Paolo Francesco Figliuolo, il governatore ha sottolineato che «la ripartizione dei vaccini deve essere fatta in parti eguali tra le regioni in base alla popolazione per consentire gli stessi tempi di inoculazione».
LA LETTERA
La Puglia ha ricevuto un milione e 71mila dosi e ha 4,2 milioni di residenti, l’Emilia Romagna, invece, con 4,4 milioni di abitanti ne ha ricevute un milione e 418mila; il Piemonte (4,3 milioni) ne ha ottenute 1,36 milioni; il Veneto, 4,9 milioni di residenti, ne ha avute 1,41 milioni; la Campania (5,8 milioni) 1,44 milioni.
«La Puglia – evidenzia Emiliano – è la terza regione in Italia per vaccini somministrati rispetto a quelli ricevuti. Ma non ci consegnano abbastanza vaccini da Roma per tenere questo ritmo. E quindi dobbiamo rallentare la nostra velocità di somministrazione per mancanza di vaccini. Ho scritto al commissario Figliuolo per ottenere altri vaccini, almeno sino a che non arriveranno i carichi previsti per mercoledì, che ho chiesto comunque di anticipare».
Emiliano evidenzia le disparità tra i territori in materia di sanità: «La Puglia – scrive – oggi è per capacità vaccinale sopra quasi tutte le più grandi Regioni italiane, alla pari dell’Emilia Romagna che, a parità di abitanti, ha il doppio degli ospedali e della medicina territoriale della Puglia, ventimila medici, infermieri e operatori sanitari in più rispetto a noi e un budget sanitario su cui contare di circa 400 milioni all’anno più ricco del nostro. Questo a causa di uno storico divario tra regioni del Nord e quelle del Sud. Facciamo le nozze con i fichi secchi, siamo stremati dalla fatica per la mancanza di personale, ma stiamo facendo da pugliesi tutto il nostro dovere fino in fondo. Se avessimo vaccini per tutti potremmo mettere in sicurezza la popolazione entro l’estate».
LA PENALIZZAZIONE
Il Sud è effettivamente penalizzato dal punto di vista degli organici: la Campania, infatti, che ha 5,8 milioni di residenti, può contare soltanto su 42mila operatori sanitari; in Emilia Romagna (4,4 milioni) i dipendenti sono invece oltre 57mila, in Veneto (4,9 milioni) quasi 58mila, in Toscana (3,7 milioni) sono quasi 49mila, in Piemonte (4,3 milioni) sono 53mila, e non parliamo della Lombardia dove si sfiorano le 100mila unità.
In Puglia, dove si conta una popolazione di 4,1 milioni di abitanti, il personale sanitario a tempo indeterminato impegnato negli ospedali supera di poco le 35mila unità; persino il Lazio (5,8 milioni di abitanti) ha appena 41mila dipendenti a tempo indeterminato nella sua sanità. I numeri sono messi nero su bianco dalla Corte dei conti nel suo “Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica”. Far funzionare una Terapia intensiva, un reparto di Malattie infettive, uno di Pneumologia, per di più durante una pandemia, senza avere il personale numericamente adeguato è roba da acrobati.
La sanità è il settore che, più di altri, necessita di una iniezione di liquidità al Mezzogiorno per recuperare quel gap che si è creato negli ultimi 20 anni di sottofinanziamento rispetto al Nord. La spesa per investimenti in sanità, ad esempio, è stata del tutto squilibrata territorialmente: dei 47 miliardi totali impegnati in 18 anni (2000-2017), oltre 27,4 sono finiti nelle casse delle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 al Sud.
È questa l’analisi che emerge dal sistema dei Conti pubblici territoriali (Cpt): in termini pro-capite significa che mentre la Val d’Aosta ha potuto investire per i suoi ospedali 89,9 euro, l’Emilia Romagna 84,4, la Toscana 77, il Veneto 61,3, il Friuli 49,9, il Piemonte 44,1, la Liguria 43,9 e la Lombardia 40,8. La Calabria, invece, ha dovuto accontentarsi di appena 15,9 euro pro-capite, la Campania di 22,6, la Puglia 26,2, il Molise 24,2, il Lazio 22,3, l’Abruzzo 33.
IL GAP NEI FINANZIAMENTI
Altri indicatori confermano che, ogni anno, al Nord arrivano maggiori trasferimenti da Roma destinati alla sanità: dal 2017 al 2018, ad esempio, la Lombardia ha visto aumentare la sua quota del riparto del fondo sanitario dell’1,07%, contro lo 0,75% della Calabria, lo 0,42% della Basilicata o lo 0,45% del Molise.
Dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno visto aumentare la loro quota, mediamente, del 2,36%; mentre altrettante regioni del Sud, già penalizzate perché beneficiarie di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno. Significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Ecco come è lievitato il divario tra le due aree del Paese: mentre al Nord sono stati trasferiti 1,629 miliardi in più nel 2017 rispetto al 2012, al Sud sono arrivati soltanto 685 milioni in più.
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