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C’è un’emergenza nell’emergenza della pandemia di coronavirus con risvolti sulla salute mentale delle persone dopo un anno di restrizioni, isolamento, regole e paura del contagio. Un problema su cui l’Oms a più riprese ha lanciato l’allarme, perché i danni esistenziali rischiano di accompagnarci per anni. Oggi, sottolinea la Società italiana di psichiatria (Sip), l’1,5% degli italiani usufruisce dei servizi di salute mentale, pari a circa 900 mila. Numero cui va aggiunto un ulteriore 5% (circa 4,5 milioni di persone) che si stima ne abbia bisogno ma non riesce ad avere accesso ai servizi di cura.
Situazione che, secondo la Sip, può essere risolta solo finanziando la salute mentale con circa 3 miliardi di euro in più, usufruendo del Recovery Fund per realizzare un nuovo “Progetto obiettivo”, come quello realizzato tra il 1998 e il 2000, ma che possa durare per 9 anni, dal 2021 al 2030. «Dopo 20 anni dall’ultimo Progetto Obiettivo Tutela della Salute Mentale è necessario costruire un nuovo strumento legislativo programmatorio nazionale che definisca, a partire dai grandi cambiamenti sociali, epidemiologici e psicopatologici di questi anni, un rinnovato modello dell’organizzazione, dei finanziamenti, del reclutamento del personale, dei rapporti con le altre agenzie sociali e sanitarie e con l’autorità giudiziaria», hanno spiegato Massimo di Giannantonio ed Enrico Zanalda, co-presidenti della Sip, e fondatori del coordinamento nazionale dei Dipartimenti di salute mentale Italiani.
Per i due esperti è «indispensabile rilanciare la rete della salute mentale per superare le diversità regionali tuttora esistenti e ridefinire la quota di spesa destinata alla salute mentale. L’Italia da oltre 20 anni è inchiodata a un budget sanitario del 3,6% del Fondo sanitario regionale, complessivamente poco più di 4 miliardi di euro. La spesa, compresi i servizi per le dipendenze deve essere portata al 6% e finanziata con un aumento di 3 miliardi. Con il Recovery Fund in arrivo si potrà così fare molto per rimettere in moto la psichiatria e fronteggiare un sommerso di 4,5 milioni di italiani con disturbi non ancora intercettati dal sistema e prevenire il peggioramento del loro decorso clinico».
Proprio la diversità di trattamento su base regionale è uno dei problemi più sentiti tra gli psichiatri italiani, che comunque pagano il prezzo di tagli che hanno visto impoverire il sistema delle cure mentali nel Paese. «Nei Dipartimenti di Salute Mentale, oltre 140 in Italia, con meno di 30 mila operatori e quasi 900 mila pazienti in cura, infatti, mancano all’appello 2.000 psichiatri, 1.500 psicologi, 5.000 infermieri, 1.500 terapisti della riabilitazione psichiatrica e altrettanti assistenti sociali – osservano Giuseppe Ducci, Direttore di Dsm Roma 1 e Giulio Corrivetti, Direttore Dsm Salerno – E poi sistemi informati e telemedicina per mantenere il contatto con il paziente anche quando non è possibile visitarlo in presenza».
La pandemia ha portato un fardello pesantissimo sulla salute mentale in tutti i Paesi del mondo; fra questi uno appena pubblicato sulla rivista Globalization and Health da ricercatori dell’Inserm, centro di ricerca per lo studio della popolazione a Bordeaux. La percentuale di persone che presentano sintomi di ansia è aumentata dal 17% al 20% nei mesi del lockdown e la quota di individui con sintomi di depressione è passata dal 27% al 28%. Il punteggio della salute mentale percepita è diminuito da 7,77 a 7,58. Questi numeri sembrano in linea con la realtà italiana, secondo gli esperti che sottolineano come a un anno dallo scoppio della pandemia di Covid-19 ci si ritrova con un mare di problemi irrisolti che si acuiscono ogni giorno di più. «Lo stanziamento di fondi per riformare la salute mentale in Italia – afferma, Carlo Fraticelli, Direttore DSM Como – è più che mai un’esigenza oggi in tempi di Covid, dove tanti disagi restano ‘in lockdown’ sepolti spesso tra le 4 mura e rischiano di fare da detonatore alle fragilità dei servizi, facendoli scoppiare definitivamente e costringendoli ad abbandonare chi ha bisogno».
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