Il governatore della Toscana Eugenio Giani
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È BASTATO che Mario Draghi dicesse “dobbiamo andare avanti insieme perché soltanto attraverso un sincero rapporto di collaborazione si riuscirà a vincere questa battaglia” e un minuto dopo, sfumate le immagini del premier, ognuno ha continuato ad andare per la sua strada. Il Veneto a sperimentare nuovi criteri anagrafici di vaccinazione; la Toscana a fidarsi della sua piattaforma; la Liguria a fare i conti con i no vax, entrati anche nel gruppo parlamentare del presidente ligure Toti. E la Lombardia a rimanere nel caos.
Con gli ospedali strapieni che, non bastasse tutto il resto, ora devono occuparsi anche delle prenotazioni. Non c’è alcun piano. Si decide giorno per giorno. In questo clima di grande confusione e incertezza il generale Figliuolo è atteso come il messìa. Arriverà domani a Milano con il capo della Protezione civile Curcio.
Più che la locomotiva che trainava il Paese, la Lombardia sembra quel portacontainer Ever green incagliato nel canale di Suez. Chi si aspettava una risoluzione comune, la decisione di adottare uno stesso sistema, sotto un’unica cabina di regia, è rimasto deluso. L’incontro in video-conferenza con il presidente del Consiglio che doveva sancire la pace Stato-Regioni è andata avanti secondo un cliché ormai noto. E si è concluso con una affermazione di intenti che non basterà probabilmente a unire le forze contro il Covid, nemico comune. Mettere in sicurezza il Paese, rilanciare l’economia, “un sincero rapporto di collaborazione”.
IL FALLIMENTO DEL MODELLO-MILANO
Gli annunci più importanti sono rimasti a margine della video-conferenza ricucitrice. L’accordo con i farmacisti siglato dal ministro della Salute Roberto Speranza, nella speranza, appunto, che in tutte le regioni si seguano le stesse regole. Che il farmacista di Abbiategrasso possa vaccinare come il suo collega di Paternò. La ministra agli Affari regionali Maria Stella Gelmini ha promesso, da parte sua, che prima di Pasqua arriveranno 3e milioni di dosi. Una mano santa. serve una regola comune riguardo l’obbligo vaccinale per “garantire la salute degli operatori sanitari ma anche dei malati”. E se lo ha detto, vuol dire che esiste il rischio concreto che anche su questo delicato problema che ogni regione vada per conto suo.
Il balletto delle reciproche contumelie, il rimbalzo delle responsabilità, è rimasto sotto traccia. Se il piano è partito al rallentatore – è la tesi di molti presidenti delle regioni – è perché «non c’è chiarezza sulla fornitura dei vaccini e manca una verifica delle disponibilità sul mercato». Il che è vero ma solo in parte e non basta a scagionare le regioni pronte a muoversi come prima, come sempre in ordine sparso. La Toscana si affida alla sua piattaforma per le prenotazioni e continua ad arrancare.
BOERI E PEROTTI: «BASTAVA CHIEDERE ALL’INPS»
Un caso a parte, dicevamo, è la Lombardia. In mancanza di qualsiasi tipo di esercitazione il fallimento è totale. Roberto Perotti, professore della Bocconi, è stato tra i primi – insieme a questo giornale – a segnalare le incongruenze del piano vaccinale. «A cominciare dalla scelta di somministrare il siero ai docenti universitari. Assistenti, personale di segreteria, persino – ha puntato il dito il professor Perotti – gli addetti della casa editrice Bocconi».
Il “peso” delle categorie si è fatto sentire. Ma è stata una precisa scelta politica, non tecnica. Non bastassero gli svarioni di Aria Spa, il carrozzone imbottito di politici che ha gestito finora la sanità lombarda, ci si è messa anche Letizia Moratti, neo assessore al Welfare con la sua richiesta di dare la precedenza alle regioni con i redditi più alti. Fa il paio con la lettera inviata dalla direzione sanitaria lo scorso anno alle Ats con la richiesta di porsi come obiettivo il fatturato del 2019. Prima il profitto, poi la salute. Un mantra che vale per il passato ma che ora fa acqua da tutte le parti.
«Bastava chiedere all’Inps l’elenco delle persone che percepiscono un assegno per disabilità gravi o elevata fragilità per metterle in sicurezza. La Lombardia invece lo ha chiesto agli ospedali che tra l’altro erano già abbastanza impegnati, si sono fatti trovare impreparati», ha osservato l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri, ospite, domenica scorsa, insieme al professor Perotti, al programma di Lucia Annunziata su Rai3.
LA SCUOLA DELLE DISEGUAGLIANZE. TRENTO ASSUME E APRE LE AULE
La provincia di Trento è in zona rossa. Ciò nonostante da lunedì scorso gli alunni sono tornati a scuola. Lo ha deciso il presidente trentino Maurizio Fugatti, deputato e sottosegretario leghista “per lanciare un segnale”. «Essere una provincia autonoma – ha ammesso candidamente al Corriere della Sera – ci ha consentito di assumere nuovi insegnanti e creare più classi con meno bambini e distanziamento». Già… c’è chi può permetterselo. E chi non riesce neanche a pagarsi il bus navetta per andare a scuola o la mensa. Ma questo al presidente Fugatti interessa poco.
Ecco cosa accadrebbe con la regionalizzazione del sistema di istruzione. E poteva andare anche peggio. L’attuale ministra alle disabilità Erika Stefani, all’epoca ministra alle Autonomie, presentò una proposta di legge che prevedeva l’assunzione diretta dei docenti su base regionale. Chi ha le risorse va a scuola, chi non le ha resta a casa.
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