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Il Covid frena i viaggi della speranza da Sud a Nord di migliaia di malati in cerca di cure e strutture migliori, fenomeno specchio di un’Italia divisa, con la sanità meridionale colpevolmente abbandonata a se stessa, nonostante le eccellenze prodotte nel campo medico e della ricerca.
I numeri parlano chiaro. Secondo lo studio Censis “Migrare per Curarsi”, ogni anno 218mila persone raggiungono il centronord per motivi di salute. E nel 30% dei casi si tratta di viaggi particolarmente lunghi che seguono la direzione Sud-Nord. Le regioni di accoglienza di questi flussi sono prevalentemente la Lombardia con 62.700 ricoveri, il Lazio con oltre 55.000 pazienti accolti e l’Emilia-Romagna con quasi 40.000 ricoveri l’anno.
In relazione, invece, alle partenze dal sud verso il nord, la Campania è al primo posto con 56.000 partenze, seguita dalla Sicilia con 43.000 partenze, la Puglia e la Calabria con circa 40.000 partenze.
L’85% dei pazienti è seguito da un accompagnatore, il quale spesso deve trattenersi per tutto il tempo del ricovero, dovendo far fronte a ingenti spese per l’alloggio. Pochissimi infatti (circa il 15%) riesce a trovare ospitalità in strutture non a pagamento, spesso gestite da associazione no profit. Fra queste c’è “Casamica onlus”, che ha lanciato un nuovo allarme sul rallentamento, causa pandemia, della migrazione sanitaria.
Se nel 2019 la rete dell’associazione – che conta sei strutture di accoglienza distribuite tra Milano, Roma e Lecco per un totale di circa 200 posti letto – ha accolto complessivamente circa 7mila persone per un totale di quasi 50mila notti di accoglienza, nel 2020 le persone accolte sono state poco più della metà. Un trend, secondo la onlus, «che lascia pensare a scenari futuri preoccupanti, in quanto caratterizzati da un possibile picco del bisogno in corrispondenza con il superamento di questa pandemia, ovvero quando le nuove persone che avranno bisogno di aiuto si sommeranno a quelle che hanno rimandato le cure o le visite di controllo nei mesi precedenti».
In ballo c’è il diritto alle cure, che la Costituzione assicura a tutti i cittadini. Un’altra associazione, A Casa Lontani da Casa, alla fine del 2020 ha pubblicato dati preoccupanti relativi all’inversione di tendenza della migrazione sanitaria relativa al lockdown della scorsa primavera. Con i limiti agli spostamenti, disposti all’inizio della pandemia e per la gran parte tuttora vigenti, muoversi in direzione di altre regioni per accedere alle cure è diventato molto più complesso.
Come conseguenza, aveva spiegato l’associazione, migliaia di persone malate in cerca di interventi specialistici e multidisciplinari, ha dovuto interrompere o rimandare il proprio percorso terapeutico. E la proiezione, già allora, parlava di un calo almeno del 40% dei viaggi verso i poli specialistici del Nord. Senza assistenza adeguata a rimetterci sono soprattutto i malati di patologie gravissime.
Basti pensare che secondo un recente rapporto di “Crea Sanità” – relativo ai dati del 2018 – circa l’8,5% dei pazienti oncologici prima del Covid decideva di farsi curare fuori dai propri confini regionali. Una percentuale che non considera, tuttavia, la cosiddetta mobilità di prossimità: quegli spostamenti che, pur oltrepassando un confine regionale, non superano i 100 km. «La mobilità non va vista con un’accezione solo negativa – ha detto Daniela D’Angela, direttore dell’area Ricerca Crea Sanità -. Quella di prossimità a volte è anche funzionale a minori tempi d’attesa per i pazienti. Inoltre, per alcune patologie, come quelle rare, i centri di eccellenza sono pochi».
La scelta di muoversi per farsi curare è legata alla lunghezza delle liste d’attesa e scarsa fiducia nelle strutture esistenti. Un sentimento negativo, quest’ultimo, che sembra animare in particolare i cittadini del Sud. Dalla stessa ricerca, infatti, emerge che le regioni più penalizzate dal fenomeno sono Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Ciò si traduce in un’ingente perdita economica.
«Nel nostro studio – ha spiegato D’Angela, direttore dell’area Ricerca di Crea Sanità – abbiamo cercato di fotografare chi siano queste persone, quali sono le patologie per cui si spostano di più e quale sia la conseguenza economica sulle regioni, che a causa della mobilità sanitaria perdono in media il 14% del finanziamento statale, con punte che arrivano al 30%». Ma oggi questo flusso sembra interrompersi, costringendo migliaia di cittadini a doversi confrontare con strutture meno attrezzate e ingolfate dall’emergenza sanitaria.
Nascono così le iniziative delle associazioni rivolte ai pazienti costretti a migrare per motivi di salute. È inaccettabile che al dolore di una malattia debbano aggiungersi le difficoltà pratiche, economiche e organizzative legate alla necessità di trovare una sistemazione lontano da casa per un lungo periodo – ha affermato la presidente di Casamica Lucia Cagnacci Vedani – per questo abbiamo deciso di ampliare ulteriormente la nostra rete di accoglienza e accettare una nuova importante sfida: la realizzazione della nostra settima Casa» di accoglienza.
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