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Solamente nel 2019, 148.452 residenti in Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Molise si sono spostati verso le regioni del Nord per curarsi. Un esodo. E’ il dato choc che emerge dal “Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero” del ministero della Salute sulla base del numero dei pazienti dimessi dagli ospedali.
I “viaggi della speranza” proseguono e hanno un doppio risvolto negativo: causano disagi e problemi a chi deve allontanarsi di casa anche di 800-900 chilometri per tutelare la propria salute; arricchiscono le casse delle Regioni settentrionali e impoveriscono quelle del Meridione, finendo così per allargare la forbice della qualità assistenziale. Basti pensare che solamente alla Puglia, ogni anno, la mobilità passiva costa poco meno di 300 milioni: tanti sono i soldi che la Regione deve tirare fuori per ripagare le cure ricevute dai propri cittadini.
E’ la conseguenza diretta di una iniqua ripartizione del fondo sanitario nazionale, che privilegia il Nord da ormai quasi 20 anni, e di un potenziamento infrastrutturale e di macchinari che ha riguardato quasi esclusivamente gli ospedali lombardi, veneti, emiliani, toscani. Come, d’altronde, evidenziato dalla Corte dei Conti mercoledì scorso nella relazione sugli “Interventi di riorganizzazione e riqualificazione dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani” approvata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni. Lo Stato italiano avrebbe dovuto e potuto, grazie ad un monitoraggio, garantire che le migliori tecnologie e attrezzature in campo sanitario fossero distribuite equamente sul territorio, ed invece ci sono ancora “marcate differenze”.
Ad esempio, in tutta Italia i famosi Robot chirurgici “Da Vinci” sono 116, ma “il maggior numero è concentrato nelle regioni del centro-nord”, sentenziano i magistrati contabili. Le regioni che presentano il maggior numero d’installazioni sono la Lombardia (25), il Veneto (17), la Toscana (16), il Lazio (10)e il Piemonte (8). Al Sud, invece, sono appena 22, meno di un quarto di quelle nel Centro-Nord, “a conferma, ancora un’altra volta, della marcata differenza di distribuzione sul territorio del Paese di tecnologie così importanti per il settore sanitario/curativo”, sottolinea la Corte dei Conti.
Se le migliori strumentazioni si trovano negli ospedali del Nord, l’esodo dal Sud è una naturale conseguenza. Così, accade che in Basilicata, nel 2019, il tasso di mobilità passiva – cioè la percentuale di ammalati che sono stati assistiti fuori regione rispetto al totale dei pazienti – si attesta al 24,7%, in Molise addirittura al 28,6% e in Calabria al 19,6%. Si “salvano”, si fa per dire, Puglia (9%) e Campania (9,7%).
Basti pensare che il tasso di mobilità passiva in Lombardia è appena del 4,5%, quello fisiologico in sostanza, in Emilia Romagna del 5,7%, in Veneto del 6,1%, in Toscana del 6,3%, in Piemonte del 6,6%. Unica eccezione al Nord è rappresentata dalla Liguria, che presenta un tasso di mobilità passiva elevato, pari al 13,5%. I pugliesi che si sono recati fuori regione per risolvere un problema di salute sono stati 38.095, i campani 52.178, i calabresi 35.538, i lucani 13.698 e i molisani 8.943.
A fare da polo di attrazione sono cinque regioni: la Lombardia in primis che ha assistito 113.396 pazienti arrivati da altre aree d’Italia; seguono l’Emilia Romagna (80.449), il Lazio (43.116), Veneto (43.026) e Toscana (36.670). Le Regioni del Sud, invece, sono quasi tutte in coda della classifica della mobilità attiva: la Campania nel 2019 ha curato solo 14.670 ammalati provenienti da altre zone, il 2,9%; la Puglia 19.427 (4,8%), la Calabria 3.846 (2,6%). La Basilicata ha una discreta mobilità attiva, sono stati 8.272 gli ammalati provenienti da altre regioni assistiti, però oltre 7.400 sono pugliesi, campani e calabresi.
Eppure, sottolinea la Corte dei Conti, sarebbe bastato maggiore controllo per evitare di creare due Italie: il “ministero della Salute – dicono i giudici – avrebbe la possibilità di ricavare utili informazioni circa l’età dell’apparecchiatura e la data di collaudo che consentono di effettuare valutazioni dello stato di obsolescenza del parco macchine e quindi di indirizzare le risorse economiche dedicate all’ammodernamento tecnologico verso la sostituzione degli strumenti più vetusti”. Insomma, il ministero avrebbe dovuto vigilare e intervenire indirizzando soldi e investimenti ma non lo ha fatto.
Così il divario Nord-Sud è aumentato ancora: mentre in Lombardia, Veneto e Toscana venivano installate le migliori tecnologie e apparecchiature disponibili sul mercato, al Sud medici e infermieri continuavano a curare i pazienti con Tac, risonanze obsolete e malfunzionanti.
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