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Lo Stato italiano avrebbe dovuto e potuto, grazie ad un monitoraggio, garantire che le migliori tecnologie e attrezzature in campo sanitario fossero distribuite equamente sul territorio, ed invece ci sono ancora “marcate differenze tra regioni del Sud e quelle del Centro-Nord, con prevalente concentrazione di tali dotazioni strumentali in queste ultime”. E’ ancora una volta la Corte dei Conti, nella relazione sugli “Interventi di riorganizzazione e riqualificazione dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani” approvata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato e pubblicata ieri, a bacchettare Roma e i governi centrali che si sono dati il cambio dal 1999 in poi e ad evidenziare che nel campo sanitario ci sono due Italie.
IL DIVARIO SULLA STRUMENTAZIONE OSPEDALIERA
Basta dare uno sguardo alla tabella che riporta i dati riguardanti le installazioni di chirurgia robotica negli ospedali pubblici e privati: in tutta Italia i famosi Robot “Da Vinci” sono 116 ma “il maggior numero è concentrato nelle regioni del centro-nord”, sentenziano i magistrati contabili. Le regioni che presentano il maggior numero d’installazioni sono la Lombardia (25), il Veneto (17), la Toscana (16), il Lazio (10)e il Piemonte (8).
Al Sud, invece, sono appena 22, meno di un quarto di quelle nel Centro-Nord, “a conferma, ancora un’altra volta, della marcata differenza di distribuzione sul territorio del Paese di tecnologie così importanti per il settore sanitario/curativo”, sottolinea la Corte dei Conti.
Eppure, scrivono sempre i magistrati il “ministero della Salute avrebbe la possibilità di ricavare utili informazioni circa l’età dell’apparecchiatura e la data di collaudo che consentono di effettuare valutazioni dello stato di obsolescenza del parco macchine e quindi di indirizzare le risorse economiche dedicate all’ammodernamento tecnologico verso la sostituzione degli strumenti più vetusti”.
Insomma, il ministero avrebbe dovuto vigilare e intervenire indirizzando soldi e investimenti ma non lo ha fatto. Così il divario Nord-Sud è aumentato ancora: mentre in Lombardia, Veneto e Toscana venivano installate le migliori tecnologie e apparecchiature disponibili sul mercato, al Sud medici e infermieri continuavano a curare i pazienti con Tac, risonanze obsolete e malfunzionanti.
I VENTILATORI POLMONARI
Dai Robot Da Vinci ai ventilatori polmonari, macchine salvavita in questa emergenza Covid, il quadro non cambia. “I ventilatori polmonari – ragionano i magistrati contabili – si stanno rivelando preziosi supporti tecnologici nel contrasto alle gravi complicanze indotte dall’infezione da Covid 19. In considerazione dell’importanza del ruolo da essi assunto nei reparti di terapia intensiva, è stato pertanto predisposto dal ministero della Salute uno specifico monitoraggio con lo scopo di verificarne il loro numero nelle strutture sanitarie del Paese”.
Ebbene, dalle verifiche il ministero si è accorto che il Centro-Nord disponeva, al 2018, nelle strutture di ricovero di oltre 13mila ventilatori polmonari, il Sud esattamente un terzo, circa 5mila. Nelle strutture sanitarie, invece, il Nord disponeva al 2019 di quasi 500 ventilatori, il Sud di poco più di 100. “Come si può apprezzare – si legge nella relazione della Corte dei Conti – circa il 72 per cento (strutture di ricovero) ed il 75 per cento (strutture sanitarie) di tali attrezzature sono ubicate nelle regioni del Centro-Nord. In rapporto alla popolazione residente (dati Istat 2019) vi è un ventilatore polmonare ogni tremila persone (circa) nel Centro-Nord ed uno ogni quattromila soggetti (circa) nel meridione d’Italia”. Insomma, curarsi è un affare per “ricchi”.
I RITARDI DEL NORD
Eppure, il Nord non è che brilli per rapidità nell’attuazione del “Piano straordinario per la ristrutturazione edilizia e l’ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario” su proposta del ministero della Salute. Già nel 1999 furono stanziati dallo Stato oltre 774 milioni di euro, somma salita a 1,1 miliardi di euro nel 2006 per ammodernare gli ospedali o costruirne di nuovi. Complessivamente, la somma avrebbe dovuto finanziare originariamente 302 interventi nazionali, diventati poi nel corso del tempo 258, ad oggi quelli conclusi risultano essere 206. “Dal punto di vista operativo – scrivono i giudici – gli stati di avanzamento delle iniziative mostrano alcune regioni, come, in particolare le Marche e il Piemonte, ancora attestate su valori particolarmente bassi; in Calabria non è stato ancora avviato alcun progetto nonostante siano stati già stanziati alla regione tutti i fondi previsti”. Anche la Liguria “presenta difficoltà”. In Piemonte, ad esempio, su 44 interventi finanziati, quelli conclusi sono 19, nelle Marche 11 su 45.
«Secondo il ministero – si legge nella relazione – la causa dei riscontrati ritardi per la realizzazione del programma sarebbe da correlare alle varie modifiche progettuali intervenute prevalentemente in conseguenza dell’avvicendarsi del colore politico dei vari governi regionali». «Oggi – prosegue la Corte dei Conti – si osserva come le regioni che presentano maggiori difficoltà al riguardo sono: la Regione Piemonte che presenta la percentuale di realizzazione più bassa tra gli enti territoriali interessati, in quanto impegnata a ricalibrare le proprie scelte e ad indirizzare i fondi disponibili per la risoluzione di problematiche ritenute attualmente più urgenti rispetto a quelle considerate in passato; la Regione Liguria che, contrariamente agli altri enti territoriali che hanno preferito destinare le risorse finanziarie disponibili verso interventi frammentati su più strutture e in più ambiti, ha deciso di concentrare tutte le sue disponibilità finanziarie per un unico intervento riguardante il nuovo ospedale “Galliera” di Genova(circa 41 milioni di euro); la Regione Marche che ha preferito operare una rimodulazione delle relative risorse destinandole solo alla realizzazione del nuovo ospedale “Salesi”. La Corte dei Conti, infine, bacchetta il ministero raccomandandogli “di non limitarsi a svolgere un ruolo di mero finanziatore delle Regioni, ma a sviluppare, nell’espletamento dei suoi compiti, azioni di coordinamento, vigilanza e controllo, al fine di stimolare gli Enti ritardatari a portare a termine il programma».
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