Roberto Speranza
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L’Italia è ormai un Paese daltonico. Ogni mattina c’è sempre più difficoltà a “identificare” il colore di giornata, da una regione all’altra, da una provincia all’altra, da un comune all’altro. Oggi che colore siamo? Cosa si può fare? Ormai è il tormentone quotidiano che ci perseguita e continuerà a perseguirci per mesi. Con la terza ondata che bussa alla porta, il governo è pronto a emanare un nuovo Dpcm cromatico.
E sull’introduzione dei ristori sulle nuove chiusure, la Calabria e la Sicilia fanno fronte comune con Emilia Romagna, Veneto e Lombardia. Prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 luglio: è questa la richiesta degli esperti del Comitato tecnico scientifico che ribadiscono la loro contrarietà all’allentamento delle misure restrittive e, anzi, invitano il governo a mantenere i provvedimenti emergenziali per altri sei mesi.
IL PACCHETTO DI MISURE
I presidenti delle cinque Regioni che da lunedì entreranno nella zona di rischio arancione scrivono al governo. Scongiurata, comunque, l’ipotesi di fare tutta Italia zona arancione il sabato e la domenica, come avvenuto il 9 e 10 gennaio, consentendo dunque alle Regioni più virtuose di tenere aperti bar e ristoranti se in zona gialla.
Bocciata anche la via del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, di dichiarare zona arancione tutta l’Italia. L’idea, avanzata dall’Istituto superiore di sanità (Iss), di decidere i passaggi di colore in base all’incidenza dei contagi sulla popolazione è stata scartata da tutti, perché avrebbe favorito chi fa pochi tamponi e avrebbe invogliato a farne ancora meno.
Altra novità è l’aggiunta di un quarto colore alle regioni: il bianco. Una sorta di ritorno alla normalità, con spostamenti liberi ovunque e la riapertura di tutte le attività finora rimaste chiuse, come cinema, teatri, musei, sale da concerto, palestre e piscine, ma sempre con l’uso obbligatorio di mascherine e distanziamento.
Domani ci sarà un incontro sul provvedimento che introdurrà le misure per il contenimento dell’emergenza Covid. Ma domani, o anche stasera, potrebbero esserci importanti sviluppi: è atteso il Consiglio dei ministri per il nuovo scostamento di bilancio, destinato a finanziare il decreto Ristori, e per il varo del decreto legge anti-Covid.
In base a nuovi parametri per decretare le zone a rischio, diverse Regioni potrebbero diventare arancioni. Sarà il prossimo monitoraggio regionale a fornire le indicazioni per le decisione da prendere. Dodici regioni domenica prossima potrebbero subire nuove regole e divieti. Se la Lombardia è ancora in bilico fra la zona rossa e arancione, Piemonte, Lazio, Marche e Liguria sembrano vicine alla zona arancione, come pure Puglia, Molise, Umbria, Sardegna.
LO STATO D’EMERGENZA
Oggi sarà il ministro della Salute Roberto Speranza a illustrare il Dpcm, alla Camera di mattina e al Senato nel pomeriggio. Quasi certo che al Parlamento saranno presentati due provvedimenti: un nuovo Dpcm e un decreto legge che prorogherà lo stato di emergenza al 30 aprile, e si procederà di tre mesi in tre mesi, sia per gestire al meglio la campagna vaccinale sia per consentire la proroga dello smart working.
Il nuovo provvedimento «si accompagnerà a nuovi ristori», mentre verrà prorogata la «norma Bonafede» sul divieto di spostamento tra Regioni anche nelle zone gialle.
Ci sarà una stretta sulla movida, con divieto di asporto per i bar dopo le 18. Confermati il coprifuoco alle 22 e il divieto di invitare a casa più di due persone non conviventi, anche in zona gialla. Ma il governo deve ancora decidere se porla come “forte raccomandazione” o inserirla come obbligo.
Gli impianti di risalita delle piste da sci resteranno ancora chiusi. Restano da definire eventuali date e termini per la riapertura di palestre e piscine. Porte chiuse ancora per cinema e teatri. I musei, invece, potrebbero riaprire, ma soltanto nelle regioni gialle.
«La norma che vieterà l’asporto dopo le 18 – dice il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini – rischia di colpire un settore già particolarmente colpito, quindi il vero tema dovrebbe essere quello del rafforzamento dei controlli».
Bonaccini ha confermato che l’ipotesi di vietare l’asporto nei bar dopo le 18 è sul tavolo, ma ha confessato di non trovarla confacente e di preferire che non venga inclusa nel Dpcm. Lo stesso discorso vale per la chiusura dei ristoranti a pranzo durante i weekend arancioni, che è ancora allo studio.
«Se la curva cresce va abbassata, altrimenti non risolveremo mai definitivamente» ha detto Bonaccini, sottolineando però l’accordo tra lui, Luca Zaia (Veneto), Attilio Fontana (Lombardia), Nello Musumeci (Sicilia) e Nino e Spirlì (Calabria) per la necessità che il governo metta in campo ristori adeguati: «Abbiamo scritto una lettera e ora ci aspettiamo altri ristori per queste chiusure».
Accordo, invece, sulla chiusura della mobilità tra regioni se non per le ragioni fin qui previste. Nella lettera al premier i capi delle Regioni chiedono «di fornire doverose e puntuali rassicurazioni circa un’immediata messa in campo di ristori e la loro quantificazione». Questo per evitare, scrivono Zaia, Bonaccini, Fontana, Spirlì e Musumeci, «ulteriori penalizzazioni alle categorie colpite e per scongiurare il rischio che interi comparti vengano definitivamente cancellati dalla geografia economica delle nostre Regioni».
LE PROTESTE
Su tutte le furie è Confimprenditori Nazionale, associazione che raggruppa 321mila piccole e medie imprese.
«Questo è il governo del singhiozzo – dice il presidente Stefano Ruvolo – Va avanti senza strategia e decide senza criteri scientifici sempre un minuto prima delle scadenze. È così anche stavolta, visto che a poche ore dal nuovo Dpcm ancora non sappiamo cosa sarà del nostro futuro. Si vive nell’incertezza e ciò impedisce agli imprenditori di organizzarsi. A questo punto, sarebbe meglio andare in lockdown adesso per riaprire a febbraio».
«Avevamo già chiesto di andare in lockdown a novembre – prosegue Ruvolo – cosicché in seguito si potesse riaprire con regolarità, a partire dagli impianti di sci, bar e ristoranti. Avevamo ragione, ma non siamo stati ascoltati e così, invece di fare programmazione come gli altri Paesi, siamo dovuti ricorrere agli spiccioli dei “Ristori”, che tra l’altro gravano sulla collettività. La strategia del governo è fallimentare».
L’Italia è uno Stato in totale confusione che ora deve fare i conti anche con una crisi politica.
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