I governatori di Emilia-Romagna e Liguria, Stefano Bonaccini e Giovanni Toti
3 minuti per la letturaPremiate nella ripartizione delle risorse del fondo sanitario nazionale, premiati, di conseguenza, i loro cittadini con una quota parte maggiore della spesa, sono proprio le Regioni del Nord le principali responsabili del buco nei conti del settore sanitario. Nella battaglia contro la pandemia, proprio i sistemi regionali considerati d’eccellenza – per questo, magari, ritenute meritevoli di finanziamenti più sostanziosi rispetto a quelli sgangherati del Mezzogiorno – si sono rivelati deboli, soprattutto quelli che hanno smantellato la sanità pubblica foraggiando quella privata con gli accreditamenti. I numeri della Corte dei Conti, poi, hanno definitivamente smontato il mito della spesa “buona”: nonostante negli ultimi 15 anni le Regioni del Nord, a scapito di quelle meridionali, abbiano potuto contare su fondi più cospicui per garantire il diritto alla salute dei propri abitanti, ad aumentare i passivi sono state proprio Piemonte, Liguria e Toscana. I documenti della Corte dei Conti lo mettono nero su bianco.
“Nel 2018 i risultati di esercizio (senza considerare i contributi aggiuntivi disposti a livello regionale per la garanzia dei Lea) sembrano presentare un seppur limitato peggioramento – si legge nel “Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica” – le perdite crescono, passando dagli 893 milioni del 2017 a poco più di 1.106 milioni”. Il saldo è simile tra Regioni in piano di rientro (cioè quelle del Mezzogiorno) e quelle non in piano (quelle del Nord): le prime vedono crescere la perdita da 139,5 a 205 milioni; per le seconde, il deficit complessivo passa dai circa 753 milioni del 2017 a poco più di 900 milioni. Ma “il peggioramento dei conti – evidenzia la Corte dei Conti – è da ricondurre soprattutto alle Regioni a statuto ordinario del Nord, che passano da un avanzo di 38,1 milioni del 2017 a un disavanzo di circa 89 milioni (un andamento essenzialmente dovuto a Piemonte e Liguria che presentano nel complesso un disavanzo di oltre 104 milioni) e alla Toscana (in deficit prima delle coperture per circa 32 milioni)”. E così la “virtuosa” Toscana nel 2018 ha prodotto un passivo di 32 milioni circa; il Piemonte ha avuto un risultato negativo di 51,7 milioni; la Liguria ha coperto il disavanzo di 56,1 milioni con risorse iscritte nel bilancio 2019 per 60 milioni.
E questo nonostante dal 2012 al 2017 sei regioni del Nord (Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana) abbiano potuto registrare un aumento della quota del fondo sanitario mediamente del 2,36% – pari a quasi un miliardo (944 milioni) – a fronte dell’1,75% di altrettante regioni meridionali (Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria). Di fronte a questi numeri la sperequazione nella spesa pro capite, che segna ancora più marcatamente il divario tra le due Italie, rende oltremodo intollerabile la “sopravvivenza” del criterio della spesa storica. Ancora nel 2020 il riparto del Fondo sanitario nazionale “tradisce” il diritto alla salute e alle cure sanitarie garantito in ugual misura a tutti i cittadini, a qualunque altezza dello Stivale si trovino. E infatti, per un cittadino pugliese, alla fine dell’anno, lo Stato avrà speso 1.826 euro, a un emiliano e un veneto ne avrà riservato, rispettivamente, 1.918 e 1.877. Ad ogni lombardo sono state destinati 1.880 euro, 1. 827 a ciascun campano. I friulani avranno ricevuto 1.916 euro a testa, 1.935 pro capite i piemontesi, 1.917 i toscani. Anche quest’anno la Calabria conserverà il ruolo di “Cenerentola” con i 1.800 euro in cure e assistenza che riuscirà ad assicurare ai propri cittadini.
Spostando l’obiettivo sugli investimenti fissi nella sanità, il quadro non cambia: lo squilibrio territoriale emerge anche dalla spesa per l’edilizia e gli arredamenti sanitari: dei 47 miliardi totali degli ultimi 18 anni (2000-2017), oltre 27,4 sono stati spesi nelle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 nel Mezzogiorno. In termini pro-capite, significa che mentre la Valle d’Aosta ha potuto investire per i suoi ospedali 89,9 euro, l’Emilia Romagna 84,4 euro, la Toscana 77 euro, il Veneto 61,3 euro, il Friuli Venezia Giulia 49,9 euro, Piemonte 44,1, Liguria 43,9 euro e Lombardia 40,8 euro; la Calabria ha dovuto accontentarsi di appena 15,9 euro pro capite, la Campania 22,6 euro, la Puglia 26,2 euro, il Molise 24,2 euro, il Lazio 22,3 euro, l’Abruzzo 33 euro.
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